Il Ballo del Doge

[Marzo 2024 | Quest #1]

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    « Allora ci troviamo d'accordo. Mi spiace non avere un abito adatto al tango. » Xaden annuì alquanto disinteressato, la moda femminile non era esattamente elencata tra i suoi interessi; a meno che non si parlava di lingerie. Inoltre non aveva la minima idea di quali fossero i dettami in merito all'abbigliamento adeguato per il tango; ancora una volta argomento che esulava dai suoi interessi. « Dubito che qualcuno verrà a redarguirla per l'abbigliamento non adatto. » La signora Lovercraft aveva infatti seguito alla lettera le regole dell'invito; scegliendo insieme al marito un costume di coppia particolarmente diffuso. « Il solito in realtà...Se si toglie l'ansia che provo giornalmente nell'avere un marito Auror e le scaramucce del mio ufficio... Va tutto bene, sì. » Riconobbe la sua preoccupazione con un cenno del capo. A quanto sapeva Xaden la donna era impiegata nell'ufficio per la cooperazione magica internazionale; un lavoro certamente più pacato e meno pericoloso rispetto a quello scelto dal marito. I rapporti dei Carrow con il ministero erano continui e all'ordine del giorno; dopotutto non si poteva costruire una delle più importanti società di investimento senza l'appoggio del ministero. Abraxis Carrow aveva saputo sfruttare la sua maschera di uomo d'affari per dare nuovo prestigio alla famiglia; prestigio di cui Xaden e i suoi fratelli avevano potuto godere. « Allora deve ritenersi fortunata a vivere in un'epoca di pace... » almeno per ora. Le ombre erano sempre in agguato, nascoste nell'oscurità, in attesa del momento migliore per emergere nuovamente. Quelle stesse ombre tramite cui Xaden gestiva i suoi affari personali. « Devo essermi assolutamente persa qualcosa, perché mi è sfuggito il fatto che tu e Lucien Black siete così amici. » La stessa obiezione che più volte aveva avanzato sua madre Sagitta. Xaden e Lucien erano ben consapevoli delle loro differenze e di come ad un occhio esterno potessero sembrare male assortiti; ma se c'era una cosa da cui Xaden era del tutto immune erano le idee e il pregiudizio degli altri. Dopotutto solo un pazzo poteva permettersi di amare la propria sorella alla luce del sole; poco importava che fosse la sua sorellastra quando avevano lo stesso padre. Solo un pazzo si concedeva di sfidare le convenzioni sociali senza alcuna remora. Abraxis aveva più volte provato a spingerlo a sposarsi con figlie di suoi amici con l'unico scopo di accrescere il loro prestigio; una mera transazione economica a cui Xaden si era sempre sottratto. « In realtà siamo molto simili sotto certi aspetti...entrambi sembriamo avere una sorta di attrazione verso ciò che è considerato profano. » Senza provare vergogna alcuna. Per lui, i confini tra il sacro e il profano erano sfumati, se non del tutto invisibili. Cresciuto in una famiglia di maghi oscuri, era stato educato a guardare oltre le convenzioni sociali e a abbracciare il potere sotto qualsiasi forma si manifestasse. Per la società, il profano poteva essere rappresentato da tabù culturali, comportamenti moralmente riprovevoli o pratiche considerate eretiche dalle istituzioni religiose. Ma per Xaden, il profano era semplicemente un'altra manifestazione del potere, una forza da manipolare e padroneggiare a proprio vantaggio. Guardando gli altri ospiti alla festa, Xaden vedeva persone che si nascondevano dietro maschere sociali, aggrappandosi alle convenzioni per mantenere un'apparenza di rispettabilità. Ma sotto quella sottile vernice di moralità, sapeva che ciascuno di loro portava con sé i propri desideri oscuri e le proprie ambizioni nascoste. Per Xaden, il profano rappresentava l'opportunità di sfidare le norme, di infrangere le catene dell'ipocrisia e di abbracciare la propria vera natura senza vergogna. Era una filosofia che lo rendeva sia pericoloso che liberatorio, permettendogli di muoversi attraverso la società con una visione distorta della realtà, ma anche con una chiarezza di proposito che pochi osavano perseguire. In fondo al suo cuore oscuro, Xaden trovava un piacere malizioso nel provocare lo sdegno e lo scompiglio tra coloro che si consideravano custodi della moralità. Per lui, la società non era altro che un teatro di marionette, e lui era determinato a tirare i fili per vedere fino a che punto poteva spingere i suoi limiti. Quando la musica terminò lasciò gentilmente andare Dorothea, chinando lievemente il capo. Prima ancora che potesse preferite un saluto di congedo si ritrovò solo. Come se Dorothea si fosse volatilizzata all'improvviso. Così impaziente di tornare dal marito?! Si voltò tra la folla, alla ricerca del volto di Lucien; spinto dall'idea di sapere se la serata gli avrebbe riservato altre sorprese. Prese un bicchiere di whisky e si concesse qualche minuto per osservare ciò che lo circondava. Una parte di lui avrebbe voluto strapparsi la maschera dal volto, ma così facendo non avrebbe fatto altro che attirare l'attenzione altrui.
    BIPOeYS
    E' quasi all'improvviso che sente un brivido percorrergli la schiena; brivido che solo lo sguardo di una persona è in grado di provargli. La cerca tra la folla famelico, inondato da quella famigliare tensione che la loro vicinanza gli scaturiva. Il suo cuore batte un po' più forte mentre si sforza di mantenere la sua maschera di indifferenza, anche se sa che lei è sempre stata in grado di percepire le sue emozioni più profonde con una precisione che lo sorprende ancora. È come se lei fosse capace di leggere la sua anima oscura come un libro aperto, senza paura di ciò che potrebbe trovare. E' il guizzo di un'ombra a catturare la sua attenzione, veloce e inaspettato. Di fronte ai suoi occhi si muove un piccolo felino dal pelo nero e gli occhi scuri. Occhi scuri in grado di trasportarlo nel passato; in un passato in cui non era solo. Possibile che?! Xaden si sente diviso tra il desiderio di avvicinarsi a lei e la paura di mostrare troppo di sé, di rivelare le sue debolezze e le sue paure più profonde. Ma non può ignorare il calore che sente nel suo cuore quando Violet è vicina, né il modo in cui il suo sguardo lo rassicura e lo incoraggia ad essere sé stesso, senza maschere né barriere. Ed è sempre lui ad inseguirla mentre scappa, facendosi largo tra la folla a suon di spallate; incurante delle persone che travolge al suo passaggio. « Violet... » Un sussurro il suo, un debole richiamo. Un tentativo per spingere quella creatura sinuosa a voltarsi verso di lui. Un tentativo vano. Il giovane mago è costretto ad affrettare il passo per starle dietro, seguendola fuori dalla sala e su per una rampa di scale. Non può essere lei...se n'è andata. Ma nonostante ciò non smette di seguirla fino a quando anche lei non scompare all'improvviso; lasciandolo ancora più confuso di prima. « Quant'è stato facile, dimenticarti di me, Xaden. » La voce di Violet è come una melodia familiare che risuona nel suo cuore, portando con sé ricordi di momenti felici e di connessione profonda. Ma insieme alla gioia c'è anche una profonda tristezza e rimorso. Xaden può sentirsi sopraffatto dalla consapevolezza di quanto tempo sia passato senza la presenza di Violet, di quanto sia stato isolato nella sua oscurità senza di lei. « Guardati. Sei qui a trastullarti e stringere fra le braccia una donnucola da quattro soldi, anziché cercarmi. Sei così cieco, lo sei sempre stato. Sono sempre stata qui sotto il tuo naso e non mi vedi. Ho perso tutto, per te. Soltanto per te. » A dividerli una porta chiusa. Quando Xaden prova ad abbassare la maniglia e spingere per aprirla non succede nulla. La porte non si smuove; indipendentemente da quanta forza lui applichi. E' la sua mano ad abbattersi con violenza sull'uscio, scuotendo il legno massiccio. Neanche un alohomora castato perfettamente è in grado di aprire la porta. « Non ascoltarla, Xaden! Ti ha abbandonato, ha abbandonato entrambi. Non puoi scegliere lei. Liberami. Sono io. Non lasciarmi anche tu, ti prego. Lui sta arrivando, sta arrivando di nuovo e ci farà male. » E' la voce di Merope a risuonare dietro una seconda porta. Ricca di quel terrore che tutti i figli di Abraxis hanno provato nella loro vita. « Merope! » Colpisce la porta con una spalla, caricando tutto il suo peso nella speranza di sfondare l'uscio per liberarla. « Xaddy ti prego. Non so che mi sta succedendo, io..mi sto slegando. Mi ha fatto qualcosa, da piccola, quando l'ho visto..aiutami, non riesco ad aprire la porta. Non c'è più tempo, lui sta arrivando. Se scopre la verità, io sono morta. » Si strappa la maschera dal viso, gettandola a terra mentre si scaglia sulla terza porta da cui riecheggia la voce di Scylla. E' un bombarda quello che scaglia successivamente contro la porta, incurante dei danni che potrebbe procurare alla struttura. Ma quando il fumo si dissipa le tre porte sono ancora in piedi; intonse e per nulla scalfite. E' una rabbia cieca quella che pervade il giovane Carrow, per nulla intimorito dall'idea di lasciarsi guidare dalla sua follia distruttiva. « Raderò al suolo questo posto prima che possa torcere loro un altro capello. » Gli occhi infuocati e il cuore accelerato. La mano stringe la bacchetta con una forza tale da rendere le nocche completamente bianche; come le ossa stessero per perforare la pelle. « Non rimarranno neanche le fondamenta quando avrò finito. » Non gli importava di chi fosse il padrone di casa, delle persone raccolte nella sala principale. La famiglia, le sue sorelle e i suoi fratelli erano per lui l'unica cosa per cui avrebbe dato fuoco al mondo intero.


    Interagito con Thea, citato Luce dei miei occhi
    Ora Xaden segue l'abile gattino...io avviso che non è bene stuzzicare il can che dorme, speriamo che la casa sia assicurata <3
     
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    Maeve sembra scegliere una via alternativa per la fuga da quell'improvvisa scenata, ignorando completamente la mano che Caleb allunga verso di lei qualche attimo prima di attraversare la tela. Se solo non fosse tanto sorpreso dall'improvviso cambio di atmosfera forse sarebbe in parte deluso da quell'improvviso allontanamento dalla rossa, ma il silenzio e la calma che lo circondano sembrano scivolargli addosso come un balsamo in grado di cancellare ogni forma di disagio. Sente i muscoli distendersi in quell'improvvisa pace, mentre le voci della festa sembrano sempre più lontane ed irreali. C'è solo calma attorno a lui, quelle pareti bianche ed oltre la natura sconfinata con i suoi sussurri piacevoli pronti a cullarlo lontano dalla sensazione di essere fuori posto. « Sembra che anche lei abbia preferito altro. Che sciocchina, eppure noi rosse eccelliamo per intelletto.» La voce morbida che si fonde a quell'atmosfera lo costringe a volgere lo sguardo verso la rossa figura che ha già avuto modo di vedere racchiusa nella cornice dorata nella quale è entrato. È bella come sanno esserlo solo gli esseri dipinti da mani esperte, così intensa nelle tinte dei capelli di fuoco e delle vesti blu che le fasciano il corpo morbido, in netto contrasto con la pelle tanto candida. Un angolo della bocca carnosa del ragazzo si piega istintivamente nell'ombra di un sorriso, mentre le mani accolgono la ciotola che la donna gli porge per poterla guidare fino alle labbra e saggiarne il dolce sapore del vino. Eppure qualcosa continua a dirgli di prestare attenzione. Ma il biondo vuole solamente lasciar scivolare via ogni preoccupazione, concedendosi volontariamente la possibilità di credere che per una sola volta la fortuna gli stia semplicemente sorridendo. Ignorando ogni possibile pericolo nascosto in quel corpo morbido come una promessa di felicità che gli sta davanti. « Sono felice di avere finalmente un po' di compagnia che sia alla mia altezza. Dall'acume ingiustamente ignorato. Dalle mani che hanno saputo donare gioia, ridare vita a trame avvizzite, la cui morte era ormai certa. Dalla lingua tanto schietta, diretta e tagliente d'esser riuscito a far arrossire numerose dame, ritratte e reali. So molte cose sul tuo conto, Caleb Judas Walsh. » Lascia che quelle manine esili stringano le proprie, che mostrino senza più vergogna allo sguardo di entrambi le macchie di tempera che le macchiano, prima di sentirla scivolare alle proprie spalle con un lieve fruscio delle vesti. Si rende conto di non aver spiccicato parola, cosa piuttosto insolita per chi è sempre stato accusato di non saper tenere a freno la lingua... eppure per la prima volta in vita sua, Caleb non sente la necessità di difendersi. Non ha bisogno di usare le parole od i pugni per mettere al proprio posto qualcuno e può semplicemente... respirare. Persino rimanere in silenzio sembra un lusso, ora, mentre davanti agli occhi compare una valigetta che attira istintivamente la sua attenzione e mentre quelle dita suadenti arrivano a carezzare le tempie. « So per esempio che non sei soltanto un bel faccino e un bel corpo da ritrovarsi sopra, di lato, dietro, sotto. So che c'è aspirazione qui dentro. C'è grandezza, c'è una strada luminosa che potresti raggiungere senza dover continuare a camminare sotto l'ombra di un tutore che ti tiene sotto scacco con la minaccia di estrometterti dal testamento. » Ed ancora più giù, i polpastrelli a carezzare la linea del collo e le spalle, mentre quelle promesse risuonano alle sue orecchie come il più dolce del canti. Allunga istintivamente le mani verso la valigetta, Caleb, seguendone le cuciture con la punta delle dita mentre la curiosità accende gli occhi di una scintilla di urgenza. « Apri la valigia e prenditi il tuo futuro grazie al segreto che ti renderà celebre in tutto il mondo. Quello che tanti della tua specie hanno ricercato, dannandosi dietro al sorriso, tanto enigmatico, della Monna Lisa. » Lo vuole davvero. Vuole crederci con ogni fibra del suo corpo... eppure Caleb è cresciuto in un ambiente ben diverso da quello che ora lo circonda. Un ambiente dove le bugie erano all'ordine del giorno. Un mondo nel quale cercare di truffare l'altro era la normalità. Sa bene che nessuno dà nulla in cambio di niente. La fortuna non esiste, non per quelli come lui. « Cazzate... tutte cazzate. » Un sospiro sconfitto abbandona le labbra schiuse, mentre con un'improvvisa spinta allontana da sé quella valigetta e qualsiasi cosa contenga, chiudendo a tutti gli effetti il collegamento con quel sogno di perfezione nel quale si è concesso di affondare senza pensieri negli ultimi minuti. Si volta ora verso la donna dipinta, gli occhi tinti di una delusione che sembra bruciare. Tornare a fare i conti con la realtà dopo essersi concesso un sogno tanto bello non è affatto piacevole, eppure non sembrano esserci alternative. « Nessuno regala qualcosa di tanto prezioso senza esigere qualcosa in cambio. Dovresti dire il prezzo prima di concludere le trattative.»
     
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    Cordelia RosierA trip for darkness one more time.

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    Il buio si dileguò più in fretta di quanto pensasse, tanto che Cordelia non ebbe neppure il tempo di domandarsi cosa stesse accadendo e perché fosse cieca di fronte a una realtà che iniziò a solleticarle la pelle e annebbiarle la mente quasi come quasi si trattasse di un sogno.
    Quando la realtà che la circondava smise di essere sfocata e una figura ben nota le si materializzò davanti, nei suoi lineamenti la corvina riconobbe la sorella maggiore con indosso un abito che la rendeva a tutti gli effetti una partecipante alla festa. «Che ci fai tu qui?» Che si riferisse al ballo o in quella peculiare circostanza non fu chiaro, si limitò invece a domandarsi il motivo per cui l'altra non le avesse detto che avrebbe partecipato anche lei al ballo.
    Vestite di luce e ombra, le due sorelle tanto diverse si ritrovarono ad ascoltare una voce familiare a entrambe: parlava di doni, di giovani, di stagioni.
    «Impegno?» Corrucciò la fronte e lanciò uno sguardo in tralice a Eva, domandandosi se quella voce fosse un dilemma comune o l'ennesimo scherzo della sua mente. Eppure, si disse mentre ammirava - e non privi di fascino e attrattiva - gioielli, profumi e pozioni, tutto ciò che gradiva e qualcosa di cui non avrebbe potuto fare a meno, una volta ottenuta. Le sarebbe bastato allungare la mano per ottenerla, e la tentazione si fece molto forte, quasi insopportabile.
    Una seconda voce si insinuò tra loro, e ancora una volta si considerò sufficientemente abile dal comprendere quale suono fosse a lei riservato e quale invece condiviso con qualcuno che non possedeva le sue capacità.
    Trasalì guardando intorno, come per individuare la fonte di quella voce gracchiante, quasi intenta a graffiare le pareti che le circondavano.
    «Chi sei?» Una domanda banale almeno quanto quella che la seguì, ma necessaria a permetterle di capire cosa stessa accadendo da quando una prima voce l'aveva attratta di fronte a un inquietante quadro, interrompendo così la festa. La vaga immagine di un diavolo vestito di cremisi le attraversò la mente in un battito di ciglia, e inconsciamente Cordelia si ritrovò a domandarsi se aver danzato con lui non fosse stato il preludio di ciò che sarebbe accaduto in seguito. Il diavolo e l'aver osato sfidare apertamente i propri genitori. «Perché ci hai portate qui?»
    Poco prima che la magia decidesse di colpirle nuovamente, la mora allungò la mano per afferrare quella della sorella e, come se l'infausta sorte avesse captato con fastidioso anticipo la sua mosse, fece svanire l'altra sotto i suoi occhi.
    «Eva!» Chiamò il suo nome più e più volte, portandosi le mani tra i capelli e arpionando le dita alle loro ciocche. L'acconciatura si sfaldò tra quelle mani, e la testa iniziò a dolere nel tentativo di allentare le briglie che la tenevano prigioniera, così da allungare i propri artigli a scalfire le barriere della psiche altrui. Tentò di trovare la sorella, di captarla tra le onde sonore che le impedivano di concentrarsi, deviandola verso altre sponde. Decise di lasciarsi trasportare solo per cogliere qualcosa che andasse al di là di ciò che il suo udito era in grado di ascoltare, cogliendo singole parole che le labbra ripeterono con tono incerto, in un riflesso che le permise di metterle a fuoco.
    «Prezzo... prezzo, sorella.» Considerò le varia ipotesi: che Eva avesse un prezzo che lei avrebbe dovuto pagare per salvarla era certamente la più accreditata. Tuttavia, sciogliendo l'intrico delle dita dalla chioma corvina, Cordelia si ritrovò a far virare il verde fumoso dei propri occhi verso i doni che le erano stati concessi. Non pensò affatto agli spasimanti che glieli avevano offerti, piuttosto si focalizzò sul pensiero di quanto azzeccati fossero per l'una e per l'altra.
    Rammentò le parole che la voce aveva rivolto loro, soffermandosi su quello a cui i cuori di entrambe anelavano rispettivamente: «onniscienza e accesso alla mente altrui. »
    Eva era sempre stata una studentessa modello e diligente, ma non lo aveva mai fatto per la gloria, i voti o l'andamento della propria Casa. La sua era fame di sapere e sete di conoscenza e nulla avrebbe potuto definire questa sua sfumatura come l'onniscienza.
    La voce aveva detto loro di lasciarsi guidare dall'istinto, la medesima componente che aveva condotto in quello stesso istante lo sguardo di Cordelia verso la pila di doni a lei destinata. Non avrebbe avuto dubbi su cosa avrebbe scelto l'istinto, dunque era una fortuna che la sua mente le giocasse il brutto, pessimo scherzo della razionalità. Desistere dai desideri più reconditi della propria anima fu una delle cose più difficili che avesse mai fatto, ma riuscì nell'intento quando pensò di aver compreso cosa quella scelta avrebbe comportato. Per quanto avesse appena scelto di non fare del male a Eva, si domandò se la sorella avrebbe colto la minaccia scegliendo dunque di preservare il sangue del proprio sangue prendendo la medesima decisione.
    Nulla veniva concesso per nulla, vi sarebbe sempre stato un prezzo da pagare. «Eva! Eva, non toccare niente!» Urlò lasciando vagare gli occhi intorno a sé, ritornando nel punto in cui la sorella era scomparsa e augurandosi che anche l'altra restasse nell'impasse in cui lei stessa si era costretta. «Non prendere niente!»
    Che Eva l'avesse sentita o ascoltata, era qualcosa che a quel punto Cordelia avrebbe potuto unicamente sperare.

    Scheda | Role





    Cordelia NON accetta "l'accordo".
    Ho dato per buono che capisse che tutto ha un prezzo urlando a Eva di non fare niente.
     
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    Ashanti Farisa GwalTHIS IS A MAN'S WORLD, BUT IT WOULDN'T BE NOTHING WITHOUT A WOMAN.

    LEO ☽ ARIES
    19 y.o.

    Non era abituata a maneggiare l'inquietudine, Ashanti, il suo stomaco non sapeva come digerirla e il fegato non era certo di riconoscere la quantità giusta di bile da riversarle nello stomaco: non usciva mai da sola a tarda notte, evitava le strade poco illuminate e non le capitava mai di perdersi in qualche vicolo appartato. Sapeva come badare a se stessa, era una delle certezze più concrete di tutta la sua vita, e allora com'era finita nel cuore di un labirinto vegetale in piena notte, a cercare l'unica persona che non era saggio per lei trovare?
    «Inutile che lo aspetti, mia cara. Caleb non arriverà.»
    Sobbalzò così forte da mordersi la lingua, vittima del sapore ferroso del sangue che le diluì il terrore sulle papille gustative. Si accorse allora di star letteralmente tremando, quando il rintocco delle arcate dentarie intente a sbattere tra loro le accapponò la pelle d'orrore, permettendole di riconoscere anche la paralisi muscolare in cui si era lasciato intrappolare il proprio corpo, un'immobilità che forse le avrebbe addirittura impedito di scappare talore ce ne fosse stato bisogno, un così scarso istinto di sopravvivenza che le fece collassare le viscere di autocommiserazione.
    Tutto questo accadde nella frazione di un unico secondo, tempo sufficiente a convincerla almeno a voltarsi di scatto per rintracciare l'origine della voce, una fonte ancora anonima che pareva irradiarsi da ogni punto del giardino e da nessuno in particolare al contempo. Fu con un velo di brividi a vestirle le spalle, a quel punto, che la nigeriana trascinò gli occhi sulla Statua, quasi come se la sua umana personificazione la rendesse effettivamente l'unico potenziale interlocutore in quel luogo: stava iniziando a delirare, le sembrava ormai più che evidente. «Non ti considera degna, come tutti gli altri.» La testa iniziò a girare, e con lei cespugli ed arbusti, un lento ma inesorabile vorticare che le innescò presto un moto di nausea nello stomaco, un basso tumultare che avrebbe potuto sollecitare i succhi gastrici da un momento all'altro; e sarebbe successo, era indubbio, se solo il terrore non fosse tornato presto ad accecarla, snodato dallo scatto dell'Angelo che adesso la guardava per davvero ed a lei rivolgeva la medesima voce udita prima, cristallizzando di oscena concretezza ciò che la Gwal avrebbe piuttosto gradito identificare come allucinazioni.
    Il latino delle sillabe altrui si mescolò allo strazio del grido gutturale strappato dalla gola della giovane, quando infine la lama puntò ad abbatterlesi sulla gola in un'esecuzione che sortiva l'invidia dei suoi incubi peggiori. Gridò dunque, Ash, gridò con tutta la disperazione che sentiva di poter generare, la gola rovente di dolore e gli occhi ricolmi di lacrime di panico.
    Poi il buio.
    Un limbo sensoriale nel quale la Corvonero tentò vigliaccamente di rintracciare sollievo, un nero opaco che le permettesse di tornare a percepirsi senza ancora domandarsi che cosa diavolo le fosse appena successò. Non durò più di un battito di ciglia, però, ché una prima vertigine spalancò la voragine del rapido precipitare al quale presto sopperì. Allora cadde - senza sapersi definire altrimenti - scivolò senza margine di rallentamento, strozzata nell'asfissia gemella alla sensazione del cadere nel sonno, solo terribilmente più duratura in un tempo dilatato; si sforzò di riaprire gli occhi in quel buio denso spalancandoli con forza, come si fa senza lenti infrarossi, e finalmente li vide: uno sciame di familiarità concretizzata, oggetti e cimeli che avevano adornato la sua infanzia e sorvegliato la sua adolescenza, in rapido vorticare attorno al suo corpo precipitante come detriti di un'esplosione vulcanica.
    Per qualche assurdo motivo che tardò a identificare, la mente rallentò per domandarsi quale fosse il contrappasso per il suo inferno, riconoscendolo nell'ipotetica frenesia di una vita sempre affannata; avrebbe trascorso l'eternità a cadere, Ashanti, poiché non si era mai concessa di farlo in vita.
    Fu uno spasmo istintivo a muoverla, incapace di arrendersi all'inerzia persino adesso che l'oblio la attanagliava, distese quindi un braccio per trovare appiglio sul quadro di una mandria di cavalli in corsa, quello sotto al quale i suoi genitori si addormentavano ogni notte da anni, l'unico che le parve poter essere sufficientemente esteso da sostenerla, ma fallì miseramente quando l'ennesimo vortice d'aria la respinse, permettendole di raggiungere solo il ridicolo bottone della giacca preferita di Bashir, quella delle occasioni importanti, la quercia con cui più facilmente la adombrava. Trovò infinitamente triste, che proprio durante il suo ultimo viaggio, l'immagine di suo fratello si sostituisse a quella di Caleb nel suo tacito cercarli: una vita a rifuggire uomini, e l'intera morte ad inseguirli.


    Aiuuuuuuto
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    MarsCarter-JohnsonDeath in my pocket

    CLEVELAND, OHIO, USA
    22 ANNI
    28 FEBBRAIO ♓
    Oppresso,
    schiacciato,
    soffocato.
    Le maschere non smettevano di circondarlo, toccarlo, stringerlo, torturarlo. E non importava quanto forte tentasse di divincolarsi, di spingerle via, di opporsi: come nel suo peggiore incubo, Mars si sentiva intrappolato, privato della sua libertà e della possibilità di proteggere l'ennesima persona cara, come era già successo in passato.
    Allungò il collo, si divincolò, tentò di guardarsi intorno in cerca di una scappatoia, un'idea, una fottuta via di fuga, ma era tutto così strano. Ciò che c'era oltre alle maschere era sfocato, evanescente, una sorta di miraggio sbiadito. Strizzò gli occhi, il biondo, quando una sagoma cominciò ad aggirarsi pesante nella sala. L'eco dei suoi passi era assordante. Il tacchettìo rimbombava quasi la sala fosse improvvisamente rimasta vuota, quasi ci fossero solo loro: lui, Mars, e quell'oscura presenza. Ma le maschere non smettevano di tenerlo stretto, e da qualche parte doveva esserci anche Kira. Dove cazzo era Kira? L'idea che qualcuno avesse potuto metterle le mani addosso e farle del male lo infastidiva al punto che lo stato più superficiale della sua pelle cominciò a scottare tanto da fargli temere di poter prendere fuoco. «Sei rimasto, questa volta, mh?» Un alito caldo gli solleticò l'orecchio, provocandogli un irrigidimento di ogni muscolo del corpo. Quella voce... così roca, cupa, ed estremamente familiare. «Sei rimasto come non hai fatto con tua madre. Ma mi dispiace dirtelo, figliolo: è troppo tardi, anche questa volta.» All'udire l'uomo nominare sua madre, tutto il corpo di Mars fece un balzo in avanti e non importava quante mani lo stessero trattenendo, il sentimento di odio e disgusto che il biondo provava per quell'uomo erano motori più forti di qualsiasi altra cosa. «Mia madre. Non dovresti nemmeno nominarla, schifoso bastardo.» sputò Mars, mentre la sagoma del Mangiamorte prendeva finalmente forma davanti a lui. «Anche la tua amichetta chiamava il tuo nome, mentre la uccidevo. Mi ha ricordato Sophie. Curioso non trovi? - Pausa. - Dov'eri, eh, Mars? Dov'eri mentre tua madre moriva implorando il tuo aiuto?» L'effetto che quelle parole ebbero su Mars furono le stesse di una doccia ghiacciata. L'americano rimase immobile per degli istanti, poi si disse che no, non poteva essere vero. Stava bluffando. Non poteva averlo fatto davvero. Non... «Tu non... KIRA. KIRA, TI PREGO RISPONDI. Kira...» sussurrò infine Mars, con la voce spezzata, colto da un'improvvisa consapevolezza. Era colpa sua, ancora una volta. Se alla Grayson era successo qualcosa era soltanto colpa sua. Ma non ebbe il tempo di concentrarsi sulla propria sofferenza, perché altro dolore fisico lo piegò al punto che non riuscì a non urlare. Le gambe, l'addome, il petto, le braccia, il collo: andava tutto a fuoco. Le mani delle maschere si erano trasformate in veri e propri strumenti di tortura con cui il patrigno si dilettò, ancora una volta, dopo tanto tempo. Sudato e stanco, Mars cercò di raccogliere tutte le proprie forze per resistere alla tentazione di urlare ancora. Trattenuto da quelle dannate figure e stremato, tenne alto il mento, cercando di nascondere il tremolio delle labbra provocato dalle continue scariche elettriche che gli percuotevano il corpo.
    «Quanti ancora devono morire, prima che tu prenda una decisione?» Eccolo lì il nocciolo della questione. Il patrigno aveva sempre considerato la sua esistenza inutile, il suo sangue non degno, la sua persona non meritevole... eppure, per qualche ragione, sarebbe stato disposto a dimenticare tutta un'esistenza, se solo Mars avesse scelto di fare il salto. Non rispose a quella provocazione, ma con lo sguardo riuscì a intravedere la propria bacchetta e un barlume di speranza lo spinse a non mollare.
    Agisci, Mars.
    AGISCI!
    AGISCI!
    AGISCI!
    E, il biondo, agì. Un movimento improvviso del braccio in direzione del proprio catalizzatore, gli permise di recuperarlo con un incantesimo non verbale. «Incendio.» abbaiò Mars, puntando la bacchetta verso il basso, punto dal quale si generò un anello di fuoco che incendiò finalmente le maschere, che si rivelarono incorporee e prive di volto, sparendo nel nulla. Poi, senza indugiare, si voltò in cerca dell'uomo e tese davanti a sé il legno. «Dimmi dov'è. Dimmi dove sono entrambe, o giuro che ti farò pentire di avermi cercato.» lo minacciò a denti stretti, evidentemente provato da quanto appena subito. Ancora tremante e col corpo livido, Mars stringeva la presa sulla sua bacchetta, e non smetteva di puntarla contro il patrigno. «DOVE SONO?!» urlò, sguarciando l'aria.


    Scheda | Role




    Mars Carter-Johnson, Superior, Ex-Tassorosso.
     
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    « Nicky! È un piacere vederti » La tensione degli sguardi tra lei e Orion era palpabile, un'intensità che si avvertiva nell'aria carica di emozioni contenute e non dette. Si scrutavano reciprocamente, gli sguardi che si incrociavano rivelavano una miscela di sentimenti complessi e irrisolti. C'era un'attrazione magnetica che ancora persisteva tra di loro, un legame emotivo che sembrava resistere nonostante il tempo e le circostanze. Le loro pupille si dilatano mentre si osservavano a vicenda, cercando di decifrare i segreti celati dietro gli sguardi dell'altro. C'erano domande senza risposta che si agitavano nella loro mente, desiderose di essere pronunciate ma trattenute dalla paura del confronto. Eppure, nonostante la complessità delle loro emozioni, c'era anche un'energia carica di possibilità nell'aria. I loro sguardi si sfioravano come due magneti che si attraggono inesorabilmente. « oh no, solo me medesimo » La risata del ragazzo la spinse a sorridere, la conosceva fin troppo bene; aveva perso il conto del numero di volte che aveva udito quella stessa risata con la testa poggiata sul suo petto. Beandosi di un'intimità che tra loro era stata travolgente e naturale al tempo stesso. « tu invece sei... la bellissima Madre Natura in persona? O la Primavera? » Sfiorò i fiori del suo abito, saggiando ancora una volta la loro morbidezza. « Demetra e come il più saggio Omero disse Sùbito i frutti fe' germogliar da le zolle feraci, e tutta si coprì la terra di fiori e di fronde. » Demetra, figlia di Crono e Rea, era la dea della natura. Pregata dai popoli affinché concedesse loro raccolti rigogliosi; artefice del ciclo delle stagioni, della vita e della morte. Solo la voce della cugina fu in grado di distogliere la sua attenzione da Orion. « Uelà, ma che gnocca abbiamo qui? » Si voltò verso Roxie con fatica, quasi come se fosse imprigionata dal magnetismo che la legava a lui. Le sorrise, osservando le linee eteree del vestito della cugina. Linee romantiche che ricordavano una dea greco-romana. « Sei stupenda... » Poteva chiaramente immaginare l'espressione contrariata di Freddie vestire i panni del geloso fratello maggiore. « Oh, ehi, Orion. » Nicky le rivolse un'occhiata eloquente, un po' come se la stesse pregando di fare la brava. Le sue cugine erano anche le sue migliori amiche e sapevano cosa l'aveva legata ad Orion e allo stesso tempo cosa aveva provato dopo che si erano separati. « Oh, caspiterina, il mio bicchiere è vuoto! Vado a riempirlo. Immagino che la serata sarà piuttosto lunga. » Ovviamente Roxie aveva capito subito quanto avessero bisogno di parlare tra di loro; quanto quel confronto era più che desiderato da entrambi. Quando si congedò non poté fare a meno di regalarle un sorriso di gratitudine; cosciente che non appena possibile le avrebbe chiesto un reso conto dettagliato. « Non le piaccio proprio » Nicky scosse la testa sorridendo; Roxie non aveva mai espresso opinioni sfavorevoli nei confronti di Orion, soprattutto perchè se c'era una persona da accusare per la fine della loro storia era proprio lei. « E' solo una cugina molto protettiva... » Una cugina che l'aveva confortata e abbracciata quando le aveva raccontato di come ancora una volta avesse rovinato tutto. « ad ogni modo... sono contento di averti incrociata, tra una cosa e l'altra sembra non accada mai e mi manca passare semplicemente ore insieme a te a parlare » Una mancanza che Nicky conosceva fin troppo bene. Le mancavano quelle lunghe chiacchierate che si estendevano fino a notte fonda, quando sembrava che il tempo si fermasse e fossero solo loro due al mondo. Allo stesso tempo, Nicky ha fatto tesoro delle risate sincere e gioiose che condivideva con Orion. Le mancava il suono delle loro risa che riempivano l'aria, la sensazione di leggerezza e felicità che provava quando era con lui. Aveva perso quel senso di complicità e connessione che solo Orion riusciva a regalarle, facendola sentire viva e piena di gioia. « ...oppure le volte che ci incontriamo veniamo prontamente divisi. » Il fato meschino sembrava provare piacere nel tenerli separati. All'ultima festa aveva provato a raggiungerlo, ma prima ancora che potesse fare un passo nella sua direzione era scoppiato un vero e proprio putiferio. « potremmo...prenderci da bere anche noi e fare due chiacchiere? Non ce lo siamo concesso molto, ultimamente » Aveva bisogno di parlare con lui, c'era una parte di lei che sentiva il disperato bisogno di vuotare il sacco; di raccontargli delle ombre che la attanagliavano, ma allo stesso tempo non voleva costringere qualcun altro a portare quel peso. Però voleva disperatamente parlare con lui. « Sì, beviamo qualcosa. »
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    Il cambio di atmosfera non fu in grado di distogliere la sua attenzione, era troppo concentrata su Orion per accorgersi di ciò che li circondava. Quando i loro sguardi si incrociavano, c'era un istante di silenzio carico di significato, in cui le emozioni non dette si trasmettevano attraverso lo sguardo. Si scrutavano reciprocamente con una miscela di curiosità, desiderio e una punta di nostalgia per ciò che è stato. Ogni movimento, ogni gesto, sembrava amplificare la tensione che esisteva tra di loro, come due magneti che si attraggono irresistibilmente. Nicky sentiva il cuore battere più forte nel petto ogni volta che era vicina a Orion, mentre l'attrazione magnetica che provava nei suoi confronti si faceva sempre più intensa. Non è mai riuscita a ignorare il desiderio che bruciava dentro di lei, il bisogno di avvicinarsi a lui, di toccarlo, di sentirlo vicino. « e vorrei davvero- » Le sembrava quasi di poterlo sfiorare nuovamente, di potergli essere vicina ancora una volta, ma evidentemente non aveva fatto i conti con il fato. Vennero bruscamente allontanati; se prima erano così vicini da potersi sfiorare, ora faticavano a scorgersi tra la folla. « ehi, basta, giù le mani » «Lasciatemi! » I circensi non facevano altro che spingerla nella direzione opposta, senza lasciarle il tempo di capire cosa stesse realmente succedendo. «NICKY! Parliamo dopo..?» Cercò di alzarsi sulle punte, per guardarlo ancora una volta; per cercare quel contatto visivo così totalizzante tra di loro. « dopo... » Il suo tono era sconfitto mentre si lasciava guidare controvoglia. Le buone maniere non sono per tutti. Intorno a lei continuavano a formarsi coppie del tutto casuali che scambiato qualche convenevole iniziavano a danzare sulle note di quel seducente tango. Prima che potesse rendersene conto si ritrovò tra le braccia di sua cugina Roxie. Tirò un sospiro di sollievo, quasi abbandonandosi tra le sue braccia. « Cosa devono fare due persone per poter parlare in pace? » Non le sembrava di chiedere la luna, un momento di intimità che fosse loro senza lo sgambetto del destino. Si mossero insieme a passo di danza, in quella che era chiaramente una pallida imitazione del tango argentino. Cercò tra la folla il volto di Orion, impegnato a ballare con un'altra ragazza che non riusciva a distinguere bene da quella distanza. « Eravamo a tanto così... » Si avvicinò al corpo della cugina per darle dimostrazione della piccola distanza che fino a poco prima l'aveva separata da Orion. « ...e poi questi buffoni mascherati ci hanno separati. » Senza lasciar loro alcuna scelta. Più resistenza dimostravano, più diventavano prepotenti ed insistenti; rendendo chiaro a tutti che non c'era alcun modo di sottrarsi a quel ballo designato. « Io ci provo a parlargli, ma ogni santissima volta c'è qualcosa che ci separa. » Se non era il caso erano le sue stupide paure. Si rassegnò a quella separazione, con la speranza di poter tener fede a quel dopo che si erano scambiati. Ballare con sua cugina fu un modo per staccare la spina e non pensare. Fu solo quando le coppie iniziarono a separarsi che cercò il ragazzo; desiderosa di non lasciarsi sfuggire una seconda occasione. Le bastò un'occhiata con Roxie per farle capire da chi stesse andando. Si mosse tra la folla, cercando la sua figura famigliare. Fece appena in tempo a scorgerlo mentre si recava a passo di carica fuori dalla sala; tanto che per poco non si scontrò con un cameriere. Un comportamento agitato, quasi preoccupato. Accelerò il passo per raggiungerlo, cercando di schivare gli altri ospiti con agilità. « Scusate. » Si ritrovò a dire a qualcuno a cui per sbaglio pestò un piede. Non appena uscì dalla sala principale lo vide imboccare un corridoio. Raccolse lo strascico e lo seguì prontamente. Si arrestò all'improvviso quando lo vide fermo di fronte a un quadro dalla cornice dorata con un volto dalla triplice forma. Sembrava in qualche modo chiuso in sé stesso. « Orion... » Non diede alcun segno di averla sentita. Si allungò verso di lui, cercando di richiamare la sua attenzione; ma non appena sfiorò la sua spalla fu come respinta da una sorta di forza invisibile che nemmeno lei era in grado di spiegarsi. Si portò la mano al petto, quasi scottata e del tutto ignara di ciò che stava succedendo.


    Interagito con Orion e Roxie
     
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    Hye-Rin condivideva la sua quotidianità con il sempiterno fruscio, sottofondo dei suoi pensieri, che pareva albergare in ogni angolo della sua scatola cranica da quando ne aveva memoria. Riusciva, più o meno abilmente, a destreggiarsi nei suoi compiti giornalieri (inclusa la mondanità come quella a cui stava partecipando) nonostante quella presenza indesiderata, che cercava di tenere a bada provando ad ignorarla e, talvolta, persino a spegnerla, non senza qualche aiuto esterno.
    In quello specifico istante, le fu però impossibile imbrigliare quella presenza indesiderata. Portò una mano alla tempia, mentre l’altra era ancora impegnata con il flute (ancora intoccato) che si era servita poc’anzi. Fu un gesto automatico, lontano dalla perfezione a cui aspirava quando era in mezzo a quelli che i suoi genitori definivano come loro pari. Tese le labbra in una linea bianca, con il volto ancora celato dalla maschera che s’era abbassata. Si maledisse di aver lasciato il porta pillole sopra il comodino, di aver abbandonato la torre Superior senza aver cenato, d’aver bevuto (anche se poco) a stomaco vuoto. Il filo dei discorsi e il sottofondo musicale le apparvero, d’improvviso, sempre più ovattati, come se la sua realtà tangibile fosse soltanto quello che si consumava all’interno della sua testa.
    «Vogliate scusarmi» Hye-Rin fu sbrigativa a congedarsi dalle due donne, seppur non peccando di maleducazione: prima di allontanarsi dal ritmo incalzante del tango che ancora si consumava sulla pista da ballo, si esibì in un brevissimo inchino, durato giusto il tempo di un battito di palpebre.

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    Sarebbe stato automatico seguire le frequenze, implicite e indecifrabili, che risuonavano nella sua testa: il suo obiettivo primario, al momento, era quello di allontanarsi da quella che riteneva essere la fonte del disturbo, non curandosi se fosse stata o meno condizionata da qualcosa oltre al suo volere. Al primo passo che mosse all’interno del corridoio buio, le parve di ritornare a respirare, tanto che allontanò persino la maschera dal volto per prendere la prima boccata d’aria che non sapesse di un miscuglio indefinito di colonie e qualsiasi alcolico fosse stato servito nei pressi della pista da ballo.
    Le parve quasi di arrancare lungo il corridoio, con l’abito trascinato lungo il pavimento, seguendo l’unica fonte luminosa offerta dalla luce tremola e indefinita che rischiarava abbastanza l’ambiente da non permetterle di inciampare nell’orlo. Gli occhi erano bagnati da una patina acquosa causata dal ronzio improvviso.
    Bambini. Non ricordava se Lucien Black avesse figli (legittimi), ma l’aver sentito chiaramente delle risate infantili pareva testimoniare che non fosse sola… o almeno che non fosse tutto frutto della sua mente.
    Quando la coppia di mani la spinse all’interno del salottino, Hye-Rin non riuscì a trattenere un’imprecazione, che sferzò l’aria sibilando. Studiò l’uomo immerso dalla penombra, non capendo immediatamente che stesse aspettando proprio lei, anzi lo scambiò per qualcuno che era fuggito dal caos alla stessa sua maniera. Accolse il suo invito con un sorriso meno plastico rispetto a quello offerto a Euphemia Black e Mali Saeli. Non però notò il libro poggiato sul tavolino da caffè, ma le attenzioni della figura misteriosa parevano essere rivolte soprattutto a quello. Gli occhi scuri dunque presero a saltare alternativamente sui due profili, non senza confusione e quando l’uomo prese parola la sensazione parve amplificarsi lungo ogni singola sinapsi del suo cervello.
    «Chi diamine sei?» il suo tono non fu morbido, tantomeno conservò la piega educata che aveva assunto solamente sino a pochi istanti prima. Si soffermò sulla prima foto e scorse la seconda: suo fratello con una scopa giocattolo e lei con una bambola il giorno di Natale, che ondeggiavano la mano plastici e sorridenti davanti l’obiettivo. Scene di vita quotidiana e ritratti in posa, lui accanto al padre, lei tra le braccia di una madre che teneva il volto a dedita distanza da quello della figlia per non sbavarle addosso la faccia accuratamente pittata. Ritratti che le sembrarono anni luce rispetto alla vita che conduceva adesso e a quella che aveva condotto una volta abbastanza grande per abbandonare il nido.
    «Jun-Hyeok, se è un tuo scherzo…» la minaccia troncata vibrò nell’aria, come se si aspettasse realmente che il fratello sbucasse dalla penombra ridendo. Ridendo poi per cosa non sapeva dirlo. «Cosa vuoi sapere?» si rivolse dunque all’uomo «Se sono contenta di vedere una vita che non esiste più? O vuoi sapere se penso che mi meritassi di meglio?» Le domande che aveva appena posto non necessitavano di risposta, ma comunicavano chiaramente la sua frustrazione nel vedersi ancora una bambina spensierata. Mentre parlava lo stesso fastidio le crebbe in petto, bloccandole la gola. Si sarebbe alzata, non senza fatica, dal divanetto, incapace di affrontare il suo passato un secondo di più.
     
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    «Cosa vorresti in cambio da me?» Inclinò il viso, Alycia, fissando le proprie iridi viride in quelle della Dubois non appena la donna le si rifece vicina. Fino al quel momento l'aveva provocata e stuzzicata senza un pian ben delineato in mente, seguendo soltanto quella flebile vocina nella sua testa, che le diceva di osare ancora... di continuare a sondare quel territorio inesplorato, per capire fin dove la guardia di Azkaban avrebbe potuto - e voluto - spingersi. Non conosceva Camille, non nello stretto senso del termine. La Yaxley poteva vantare di ben poche persone, nella propria cerchia ristretta, ed i colleghi ministeriali non erano di certo un'eccezione. Era tuttavia curiosa, desiderosa di apprendere quale fosse il reale scopo dell'altra. In quel gioco di allusioni ed istigazioni, ritrovandosi faccia a faccia in prossimità della sponda del lago, la bionda non accennò minimamente a retrocedere per prima. « Se te lo chiedessi io, dove sarebbe il divertimento? Sorprendimi piuttosto. » proseguì allora, il tono innocente della voce in netto contrasto con lo scintillio di sfida degli occhi. «Potrei svelarti tante cose, molte delle quali non capiresti. Per esempio che mio fratello ha i miei stessi occhi. E questa era facile. Che nella mia testa si affollano spesso tante, tantissime voci.» Si guardavano dritto negli occhi, mentre Camille cedeva a quell'insolita richiesta di 'do ut des'. Sebbene Lycia ne fu confusa, di quella mole di informazioni criptiche, mantenne un’espressione neutra: non voleva darle la soddisfazione di vederla confusa. Camille aveva un fratello? Non ne aveva la benché minima idea, ma non ricordava d'averlo mai incrociato prima. Per quanto riguardava il sovrappopolamento di voci nella propria testa, chi più di lei, avrebbe potuto comprendere? Non si trattava di vere e proprie voci, le sue; sentiva piuttosto d'essere suddivisa in due metà. Fra luce ed ombra. Il più delle volte, l'aveva vinta la seconda. Forse era quello, che Camille intendeva. O forse era un essere ancor più complicato di quanto le apparenze potesse dare a vedere. Non controbatté, a quelle rivelazioni, sondando piuttosto gli occhi della donna per cercare delle risposte che - con ogni probabilità - non avrebbe ottenuto quella sera. «O che desidero la libertà più di qualsiasi altra cosa.» Non le strinse la mano che andò a ricercare la propria, la fronte a corrugarsi appena dietro quei gesti e delle parole sempre più enigmatiche. «E che sono stufo* di lasciarmi soffocare da lei.» Ormai vicinissime, in prossimità della sponda del lago, l'Hit Witch percepì il respiro dalla donna solleticarle il viso. Non era minimamente attratta, dal suo stesso sesso. Non poté riscuotere in lei nessun effetto, quantomeno fisicamente, avvertire indistintamente le intenzioni dell'altra bionda e percepirne un flebile guizzo dei denti. Lasciò correre di proposito lo sguardo sulle sue labbra, un pensiero fisso a martellarla: cosa diavolo aveva appena ascoltato? « Immagino che, per capirne di più e sapere chi sia questa lei, dovrò rivelarti altro a mia volta? » Di che tipo di libertà stai parlando, Camille? «Un altro tatuaggio, Yaxley.» Le labbra le si distesero in un ulteriore sorriso enigmatico e gli occhi le brillarono. Era già pronta a darle un'altra risposta vaga, non entrando davvero nei dettagli di ciò che significassero i suoi tatuaggi e soprattutto chi si celasse dietro ognuno di essi. Indietreggiò di un passo infine, spostandosi di lato affinché i piedi sfiorassero il filo d'acqua gelido. Non era più certa dello scopo di quel suo "gioco". Inizialmente avrebbe soltanto voluto punire Camille o addirittura metterla in ridicolo; adesso...
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    « Ehi voi, sì, dico a voi » Una voce estranea le interruppe, prim'ancora che potesse aprire bocca e decidere. Voltò il viso, in direzione dello specchio d’acqua opaco e trasparente che pareva dilatarsi all’infinito, con una linea indistinta di vegetazione a delimitarne il perimetro. Alycia sbatté le palpebre e aspettò che gli occhi le si abituassero all’oscurità; sapeva quanto il lago fosse profondo, ma non era mai stato un problema, immergersi in quelle acque. Studenti e giovani lo facevano continuamente, lei in primis ai tempi di Hogwarts aveva spesso fatto festa nella Foresta con Kai e Maze, per un bagno di mezzanotte. Non sicura di aver sentito e visto bene la figura bionda che scorse più in là, dopo qualche attimo riuscì a mettere fuoco una donna sbracciarsi a bordo di una di quelle gondole a ridosso del litorale. « La conoscete la poesia della donzella di Ealing? Se ci aiutate, vincete una - ..una bella regata competitiva. Che chiaramente ha un premio per il vincitore a dir poco delizioso Ma dice sul serio? La poesia di... che? Rimase perplessa. Una rapida occhiata all'indirizzo di Camille, per carpire se almeno lei stesse capendo una singola parola pronunciata dalla sconosciuta. « A meno che non abbia interrotto qualcosa. In quel caso, ops! » Allora stasera hanno proprio deciso di portarmici, a compiere un atto efferato. « Non conosco nessuna poesia di Ealing, ma ti consiglio di smetterla di agitarti così su quella bagnarola, se non vuoi trovarti a mollo fra poco. » Alzando la voce, per farsi ascoltare dalla disturbatrice e il suo accompagnatore sullo sfondo, compì soltanto un ennesimo piccolo passetto verso l'acqua. Rabbrividì, nell'entrare in contatto con la superficie fredda che la lambì fino alle caviglie. Degli altri movimenti attirarono però la sua attenzione e cominciò a capirci ancora meno, dell'assurdo teatrino che andò scatenandosi. « Non entrate in acqua! Non entrate! » Ma questa festa è un ritrovo di gente scappata dal CIM del San Mungo? Un uomo, del quale non riuscì a scorgere il volto, non solo iniziò ad inveire frasi alla rinfusa... ma si gettò per primo nel lago, addirittura fungendo da causa principale per la quale la barca alla fine si rovesciò. « Ma che combina, quello? » Borbottò, ricercando l'attenzione dalla Dubois, sbuffando e scostando lo spacco del vestito per sfilare la bacchetta da una cucitura interna. Impugnato il catalizzatore, rimase in piedi nell’acqua gelida, benché le gambe iniziassero a tremarle. Ci manca solo che ora la affoghi, questo pazzo... facendomi beccare come minimo un richiamo, per essermene stata qui, ad assistere anziché intervenire. Era pur sempre un membro delle forze dell'ordine, la Yaxley. Per cui, per quanto seccata, mosse qualche altro passo e urtò un sasso nascosto sotto la superficie scura del lago, imprecando fra sé e sé. Il chiaro di luna e le luci a distanza non erano sufficienti a mostrarle cosa stesse accadendo tutt'attorno e se la donna necessitasse davvero d'aiuto, quindi sollevò semplicemente il braccio ed agitò il legno di tasso castando un « Lumos Maxima », per illuminare a giorno la zona circostante. « Smettila di agitarti come un dannato o la farai affogare tu. Ma che caz-... diavolo ti prende? Lasciala in pace. »

    Interagito con Camille (Lucien), Pervy e Xian (sorry 🦇)
     
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    [Ashanti]
    Ancora precipitava, giù, giù e sempre più giù, in quella caduta libera che -sembrava- non potesse avere mai fine. Gli oggetti avrebbero continuato a vorticarle attorno, alcuni sfrecciandole persino pericolosamente accanto, come quel pugnale da collezione che suo padre aveva sempre sfoggiato all'interno del sontuoso studio. Eppure, tra tutti, le mani della Gwal si sarebbero poggiate su di uno di loro in particolare, forse il più insignificante. Un bottone. Il bottone di suo fratello. D'improvviso, le urla dei dannati s'arrestarono. Il mondo parve bloccarsi per un istante. Rewind. Come all'interno di un gigantesco videoregistratore la Nigeriana, adesso, si sarebbe ritrovata a risalire verso su, con la stessa velocità mediante la quale -soltanto un istante prima- stava ancora cadendo. Quandunque sarebbe giunta finalmente sulla terra ferma, tuttavia, non sarebbe stato il giardino di pocanzi, a palesarsi davanti agli occhi scuri. No. Quel posto, l'avrebbe riconosciuto ben presto: era casa sua. La sfarzosa Reggia Gwal, avrebbe preso immediatamente forma tutt'attorno a lei. I corridoi. Le stanze. I quadri. Gli alberi aldilà delle ampie finestre ed il caldo torbido sulla pelle. « A breve sarà qui. » Era la voce di suo padre? Sì, sembrava proprio lui. « Cosa le dirai? » E.. - Suo fratello? « La verità, figliolo, la verità. Ashanti non è pronta, e mai lo sarà. E' una donna - ed è debole, non forte abbastanza per portare avanti il nostro buon nome. » « Eppure si sta sforzando tanto, padre, i suoi voti a scuola sono ottimi. Eccelle in praticamente ogni materia, e sta cominciando ad ottenere buoni contatti nell'ambito. » Un sospiro avrebbe scosso il petto del più anziano, e qualora Ashanti si fosse avvicinata alla porta semichiusa dello studio, li avrebbe visti. Suo fratello di spalle, suo padre seduto aldilà della scrivania. Parlavano del suo futuro come fosse già stato scritto. Decidevano della sua vita come ne avessero il più completo patrocinio. « Non basta. E non basterà mai. Lo sai tu, lo sappiamo tutti. Ashanti non sarà mai all'altezza di nulla, e qualsiasi suo sforzo, non avrà alcun successo. Le concederò parte della nostra eredità, magari, e sarò così magnanimo da trovarle un buon partito da sposare per mandarlo -nell'unico modo che sarebbe capace di fare, per natura- avanti, il nostro buon nome. Sfornando figli. » D'improvviso, a quelle parole, sarebbe stato il più giovane dei due, a voltarsi verso di lei. Suo fratello avrebbe piegato la testa di lato, facendosi da parte, e suo padre le avrebbe fatto cenno d'avvicinarsi. « Avvicinati, figliola, avvicinati. Hai sentito tutto? » Un sorriso avrebbe disteso le labbra del ragazzo. Pareva quasi stesse trattenendo una risata. Rideva di lei? Rideva del suo esser donna? Rideva dell'ingiustizia che si perpretrava sotto i loro occhi, nei suoi confronti, e la ignorava apertamente? Crudelmente. Egoisticamente. « Non credo riuscirai a convincermi, ma voglio darti una possibilità. Voglio vedere se scorre giusto un minimo della Forza di noi uomini Gwal nelle tue fragili vene. Cos'hai da dire, Ashanti? » Adesso, però, se anche la giovane Corvonero avesse parlato, nessun suono sarebbe uscito dalla sua bocca. Silenzio. « Nulla? Mmh.. » Ed in quella crudele tortura, catene sembravano ora serpeggiare lungo i suoi polsi e le sue braccia. « Proprio nessun'idea utile, per liberarti delle tue catene? »

    N.B. Ashanti si trova improvvisamente a casa. Le figure del padre e del fratello sono quanto più concrete possibili. Le catene si stringeranno sempre più contro i suoi polsi e le sue caviglie. Può provare ad agire e liberarsi in qualche modo, ma anche a voler parlare, è come se la sua voce fosse magicamente scomparsa.

    [Caleb]
    La figura dai capelli rossi, l'Incantatrice, lo fissa con un guizzo di cupidigia, un sorriso sinistro a piegarle le labbra mentre gli gira intorno, come un serpente a sonagli che sonda il terreno prima di attaccare la preda. « Oh, ma tu mi hai già dato qualcosa in cambio. » La voce suadente arriverà al ragazzo come un eco lontano, ovattato, proveniente da un ambiente diverso. Così come gli occhi di quella figura tanto sensuale, occhi scuri come i propri, occhi scuri come il primo amore, occhi scuri come il fastidio di un rifiuto ricevuto, sembreranno sfocare di fronte alla sua vista. Una vista sempre più offuscata, i sensi più stanchi ma la mente necessariamente lucida, vigile, obbligatoriamente ancorata alla realtà che lo circonda. I lineamenti della donna si fanno sempre meno nitidi, potrebbero quasi sembrare quelli di una donna matura ora. O forse no, potrebbero essere quelli di un uomo. « Mi hai dato la tua anima. » Ed è proprio quel pezzo di sé che ha scambiato bevendo il vino della Maga, tentatrice di uomini dall'alba dei tempi, in quel suo promontorio che dà a picco sul Mar Tirreno. Che per farla pagare a quegli istinti biechi che muovono il più comune degli animi maschili, li trasforma in..« Maiali, tu e tuo padre siete uguali. » La voce sembrerà familiare al poveretto, le cui gambe potrebbero cedere da un momento all'altro. « Sempre pronti a pensare che sia stata io la causa di ogni vostro malanno, la giustificazione per ogni vostro comportamento di merda. » Ride, nervosamente. « Eppure..siete voi, sei tu la mia rovina. Sei tu che mi hai portato a farmi fino a stare male perché l'opzione sarebbe stata capire di aver sbagliato tutto nella vita. Anche il decidere di farti venire al mondo. » Si abbassa al suo stesso livello, la figura, i lineamenti contorti che prendono forma, dei capelli scuri a far bella mostra di sé. « Quante volte te lo sei chiesto "Perché mi ha lasciato", mh? » Il tono di voce è lo stesso ma sembra cambiare il punto di vista. « Ma la domanda giusta era un'altra. Perché sono stata con te da principio, Caleb? » Sorride nell'allungare una mano a carezzargli il volto. « Per questi occhi neri che mi ricordavano lui, il mio unico amore. Perché mentre scopavamo, sono i suoi occhi che mi facevano tremare, le sue mani da cui mi lasciavo toccare. » La carezza si accompagna ad un broncio quasi malinconico. « Poi però ho preso a vederti veramente, ad amarti veramente. E tu hai cominciato a farmi male, a uccidermi con quella speranza di un futuro che non sarebbe stato mai nostro. Perché anche tu, come lui, quando hai cominciato a capire, volevi lasciarmi, volevi passare alla prossima preda. Come il maiale che sei. » Un sospiro spezza il singhiozzo che le nasce in petto. « Hai fatto tutto questo male ad ogni donna della tua vita poi però ti sorprendi di un rifiuto, ti senti ferito pensando di non meritartelo, non se non hai mai palesato alcun interesse. » C'è un nuovo cambio di prospettiva, ora il viso si fa più vicino e Caleb potrà riconoscerlo, potendosi specchiare nel riflesso di se stesso. « Perché tu non hai interesse, tu sei un involucro vuoto, privo d'emozione. Che fa di tutto per farmi stare male, portandoti una ragazza a sera nella nostra fottutissima camera, senza alcun riguardo per i miei sentimenti. Scopi sconosciute che diventano un numero l'indomani, non ricordandone nemmeno il nome, eppure sono io la stronza che ti ha rotto con un rifiuto preventivo, che mettesse tra me e te un muro capace di difendermi dal male che mi fai giornalmente. Che mi faresti. » Si fa avanti, il doppelganger, per lasciargli un bacio sulle labbra prima di rialzarsi, giudicandolo dall'alto. « Sei un maiale, esattamente come tuo padre. »

    N.B. Caleb è in balia dell'effetto del vino magico che la Maga gli ha fatto bere, per questo motivo, seppur la mente rimarrà sempre razionale e presente, il corpo sembrerà non rispondere agli stimoli del cervello. Se vorrà uscire dal quadro, per allontanarsi dalla visione, non dovrà far altro che descrivere la modalità in cui tenterà di farlo.

    [Cordelia, Orion e Dominique]
    È di nuovo il silenzio l'unica cosa ad essere udita da Cordelia. Non ottiene alcuna risposta dalla sorella ma non viene colpita da alcun dolore, questo dovrebbe sembrarle una grazia non da poco. Ciò che però non può aspettarsi di certo è il vedersi piombare davanti Orion, che sembra arrivare dall'alto, chissà dopo quanti metri di caduta libera. Il tonfo con cui sbatte a terra è secco, scricchiolante. Potrebbe di certo aver rotto qualche osso nell'atterraggio maldestro e scomposto. In lontananza, ancora ferma di fronte al quadro, Dominique avverte distintamente il cambio di polarità della forza che fino a quel momento l'ha respinta. Ora la risucchia, come un buco nero al quale non si può resistere. Finisce anch'essa nel quadro, ed è come una specie di visione che si fa sempre più concreta e reale alla vista degli altri due ospiti, in quella cameretta infantile, che ad ognuno di loro apparirà come la propria. « Ben trovati, miei signori. » La figura a tre facce si fa avanti, superando l'oscurità per stagliarsi di fronte a quei sei occhi dalle più disparate tonalità. Fa un inchino reverenziale, lasciando ai tre la possibilità di ammirarlo in tutto il suo splendore. « Siete stati così gentili da unirvi a me in questo pomeriggio finora così tedioso -» fa una pausa, la faccia centrale sembra sogghignare «- sono certo che d'ora in avanti mi farete cambiare idea. » Ora si siede, su una poltrona che appare essere simile ad uno scranno regale, le mani a ciondolare fuori dai braccioli. Succede tutto in un attimo: la maschera di Orion comincia a stringersi intorno ai suoi candidi lineamenti, lasciandolo in pochi istanti quasi senza fiato, le vie aeree irrimediabilmente compromesse. « Bene bene, che sfortunato inconveniente, non pensate anche voi? Mentre l'oggetto dei vostri desideri rischia un collasso polmonare, voi due signorinelle farete bene a dire la verità, nient'altro che quella. Su cosa pensate veramente l'una dell'altra, cercando di portare acqua al vostro mulino, affinché il vostro caro Orion, possa scegliere. » E mentre lo faranno, dire la verità sulla propria avversaria, non faranno altro che sentire la voce dell'altra rimbombare nella testa, pronta a dire le peggiore meschinità, che altro non apparirà che la pura, limpida realtà dei fatti. Gli occhi vuoti di tutte e tre le facce ora son fissi su quel ragazzo che si ritrova nel bel mezzo di due dame, a fare forse la figura del salame? « Loro ti salveranno parlando. Ma tu dovrai scegliere chi delle due salvare. Dalla scure di Sorella Morte. Non potrai sottrarti, dovrai ascoltare il tuo cuore e scegliere. Il giovane amore che fu o quello che potrebbe essere? » Un battito di mani eccitato della stramba figura dà il via a quell'avvincente puntata di un Giorno in Pretura.

    N.B. Non vi sono modi per aggirare il tranello, se i personaggi proveranno ad utilizzare la bacchetta, altro non faranno che far rimbalzare i propri incantesimi (rendendoli offensivi, in caso non lo fossero) contro gli altri due. Quando una delle ragazze comincerà a parlare, nella testa dell'altra la voce della sfidante o dirà il contrario di ciò che sta esprimendo nella realtà, in caso stesse dicendo cose buone, o ingrandirà iperbolicamente quelle cattive (andateci giù pesante). Orion se deciderà di scegliere se stesso, vedrà davanti ai propri occhi le due contorcersi per i dolori che internamente cominceranno a provare (esternamente si vedranno dei lividi neri affiorare sotto pelle).

    [Cyrus e Dorothea]
    È un omaccione a non spostarsi quando Cyrus cerca di toglierlo dal suo cammino, è alto, grosso, talmente grosso da essere il doppio della stazza del Selwyn, tanto da sembrare un gigante. Non sentirà ragioni, non si sposterà per sgombrare il passo quando Cyrus tenterà di attraversarlo ma anzi, lo prenderà di peso e, attraversato il corridoio e aperta una porta, lo lancerà dentro di peso, per poi richiudersela alle spalle. Dal letto, in penombra, si alzano gemiti che a lui risulteranno decisamente familiari. Potrà avvicinarsi, potrà vedere con i suoi occhi se i dubbi che nel suo cuore si stanno affollando, corrispondono a realtà. O forse gli basterà semplicemente aspettare perché un corpo di donna rotola nel letto per salire sopra la carne nuda dell'uomo che l'accoglie con le mani già pronte sui fianchi. « È così che dà la caccia alle sue prede, signor Carrow? » Deride l'uomo sotto di lei, Dorothea, mentre lo cavalca con la testa reclinata all'indietro, un sorriso estatico a drappeggiarle le labbra. « Me lo dicevano, le mie amiche, ma non pensavo fosse vero che lasciarsi andare alla tentazione è il più squisito dei sapori del tradimento. » Ridacchia mentre Xaden si alza per poterla stringere a sé, aiutandola a muoversi ancora più velocemente. « E tuo marito? » È a quel punto che Dorothea ride, di una sfumatura maligna mentre abbraccia l'uomo con ancora più forza. « Mio marito non mi ha mai fatto arrivare così in alto. E tanto basta. Non esiste, ora ci sei tu. »
    Dorothea, d'altro canto, una volta toccatoa la melograna, si ritroverà catapultata di fronte ad una porta che, se ne accorgerà ben presto, è molto simile ad una delle tante entrate del suo locale. La porta è socchiusa, dalla fessura è possibile intravedere una flebile luce, probabilmente di candela. Dall'interno dei rumori inequivocabili, con una donna che non ha paura di far sentire le urla del suo piacere mentre un uomo la prende contro la libreria. « Continua, di più, cielo.. » Se solo Dorothea muovesse qualche passo in avanti per dare un'occhiata, potrebbe riconoscere di certo il pesante vestito rosso abbandonato sul pavimento, così come la capigliatura, ora disordinata, di Pervinca Spellaman, chiusa tra le braccia di..«..Cyrus, porca troia! » « Piccola, quanto mi sei mancata. Da quando ti ho rivista prima, non ho immaginato altro che questo. » I gemiti e i grugniti si fondono in un'unica deliziosa sinfonia. « Il sesso con te è sempre stato diverso. Tutto è stato sempre diverso. Dovevo capirlo, dovevo capirlo che ti stavo cercando in lei, solo perché non potevo avere te per sempre. »

    N.B. Se Cyrus e Dorothea proveranno ad interagire con ciò a cui stanno assistendo (tramite bacchetta, solo verbalmente, fisicamente), si ritroveranno realmente insieme nella stessa stanza, con la percezione che sia passato del tempo. A Dorothea, il marito apparirà seminudo, l'inconfondibile traccia di rossetto rosso sul collo e su tutto il petto, a scendere. A Cyrus, la moglie apparirà con il vestito fuori posto, i capelli scompigliati e un rossore sbavato, quello del suo rossetto, tutto intorno alle labbra.

    [Danika]
    Il bagliore azzurrino dell'incanto si sprigiona all'istante dalla bacchetta della giovane, espandendosi nell'oscurità della radura ed assumendo la famigliare figura del suo Patronus. Il coyote evocato, nella sua forma argentea ed opalescente, prende subito a scacciare quel fosco mantello privo di forma. Tempestivo, l'intervento e deduzione della Bellchant, prima che il Lethifold potesse stringerla in un ultimo gelido abbraccio. Davanti ai suoi occhi, la forza dell'incantesimo difensivo allontana sempre di più la creatura rara e temibile, esiliandola con l'unico e solo mezzo capace di poterla contrastare, rispedendola così nell'antro oscuro dal quale proviene. Come sia stato possibile, che un Fatalmanto, una bestia carnivora altamente pericolosa si sia ritrovata sul suo cammino, nessuno avrebbe saputo dirlo. Probabilmente, se ne avesse parlato a qualcuno o fosse corsa nel Palazzo a raccontare l'accaduto, qualsiasi altro ospite o membro dello staff avrebbe attribuito la visione all'alcol ingerito durante la serata. Eppure, la biondina, ha ancora addosso la sensazione d'essere stata sfiorata ed accarezzata da quel manto nero. « Wow, sei stata davvero brava! All'ultima persona che ho lanciato il mio aiuto, non è andata così bene... Eheh, non è stato uno spettacolo piacevole, quella volta. È un vero peccato, che tu faccia parte dei Grifondoro. » È sempre il piccolo circense, apparso alle sue spalle, ad attirarne nuovamente l'attenzione. La vocetta ancora stridula, il volto mascherato, passeggia sul posto con le braccine dietro la schiena. « Saresti stata una brava Corvonero, forse. Intelligente ed arguta. Anche se... mh, quanto brucia non essere stata selezionata come gli ambiziosi e di successo Serpeverde? Però sei così coraggiosa, probabilmente il Cappello Parlante non si è sbagliato sul tuo conto. » Sembra sapere dove andare ad infierire, l'ometto, rivelando dettagli e desideri sopiti in profondità nell'animo di Danika. Eppure, dacché risuoni strafottente e pungente, all'improviviso il tono del figuro cambia. Si stringe nelle spalle, un sospiro perso oltre la maschera. « Oh, ma a breve non ti importerà di queste piccolezze, sai? Per essere stata così audace, ti svelo un piccolo segretuccio: qualcosa sta arrivando. Qualcosa di più oscuro e terribile di quell'esserino lì. Non basterà un incantesimo così semplice, per contrastarlo. Farai meglio a trovarti preparata e a dare ascolto ai sussurri, fino ad allora. » Un consiglio, una rivelazione... od un avvertimento? Niente, delle parole di quel circense, sembra avere un senso logico. « Buona fortuna, Danika Bellchant. » Tuttavia, prima di riprendere a sgattaiolare fra gli alti arbusti ed i corridoi di rampicanti, si dimostra sincero nel rivolgerle quell'ultimo saluto - con tanto di nome e cognome, quasi avesse saputo sin dal principio con chi avesse a che fare.

    N.B. Danika è riuscita a contrastare l'attacco del Lethifold e può recuperare il braccialetto sottratto. Il piccolo circense le rivela quello che considera un "segreto", per poi scappare nuovamente via. Se proverà a seguirlo o rintracciarlo, se lo vedrà scomparire al primo incrocio del labirinto e non lo ritroverà più in nessun angolo. È in ogni caso libera di tornare alla festa, continuando ad interagire con altri ospiti, o terminare qui la sua Quest col prossimo post. Tenga conto, tuttavia, di uno strano quanto brutto presentimento, e che suo fratello Orion, sembra esser sparito dalla Sala. Può agire di conseguenza.

    [Hye-Rin]
    Se anche avesse provato ad avvicinarsi a quella misteriosa figura, che sembrava in vero familiare, ma senza capire perchè lo fosse, la giovane Serpeverde non sarebbe stata comunque capace di riconoscerla. Alle sue parole, quel fumoso sinistro si sarebbe stretto nelle spalle. « Forse lo sai chi sono, o forse no. » Al suo successivo dire, lui non avrebbe risposto nulla, ma quando lei avrebbe fatto per alzarsi, la poltrona le sarebbe andata dietro, ri-inchiodandola ed impedendole di muovere un sol passo. « E' maleducazione andarsene mentre qualcuno ti sta ancora parlando. Non lo sai, Irene? Eppure ti hanno educata bene, i coniugi Baek. La donna perfetta: sempre un passo indietro all'uomo, com'è giusto che sia. Guarda il libro. » Un ordine quasi simile ad un Imperio, in quella strana forza che aleggiava nell'atmosfera. Era quasi, infatti, l'oscuro figuro la stesse in vero costringendo a tenere gli occhi ancorati a quelle pagine, le quali avrebbero -presto- preso a sfogliarsi da sole, come smosse dal vento. Adesso le foto di lei e suo fratello da bambini avrebbero lasciato spazio a ben altri scenari. Sembravan articoli, di giornale, per la precisione. "Jun-Hyeok il nuovo ragazzo prodigio", "Jun-Hyeok eredita l'intera potenza della Baekhyun Magic Group", "Jun-Hyeok l'uomo più influente della Corea magica." Infine, quei capitoli si sarebbero arrestati su di uno in particolare. Pareva un paragrafo piuttosto recente, la data risaliva, infatti, a soltanto qualche giorno fa. Un intero trafiletto sulla famiglia Baek. Parlava di suo padre. Di sua madre. Di suo fratello e... - Basta. Di lei, nemmeno l'ombra. Nemmeno un accenno. Persino nella foto scattata, dove i suoi familiari sorridevan soddisfatti, s'intravedeva la sua figura. Forse giusto l'angolo di una spalla. In fondo quel maglioncino giallo era proprio il suo. Ma..L'avevano tagliata fuori. Era davvero così poco importante? Era così tanto più pregnante la figura di Jun-Hyeok, in confronto a lei, solo perchè uomo? « Lo pensi, di meritarti di meglio, non è così? Tuo fratello erediterà ogni cosa, tutto ciò che avrebbe potuto esser tuo, se solo non fossi nata donna. » Pausa. La sagoma del sinistro si sarebbe fatta più vicina, ma comunque il suo volto continuava ad esser irriconoscibile. « Dunque ti domando, adesso, quali sono i tuoi reali pensieri su Jun-Hyeok? Quali le tue intenzioni? » Un inquietante serpeggiare avrebbe sibilato alle sue orecchie. Pareva infatti che la sua maschera, il suo vestito ed i suoi gioielli avessero iniziato a vibrare. « Sii sincera, Irene. Ti conviene, fidati. »

    N.B. Anche se la voce e la figura del sinistro sembran sempre più familiari, non sarà possibile riconoscerlo. Hye-Rin è costretta a guardare il libro, e sembra impossibile anche alzarsi dalla poltrona. Nell'aria, inizierà a farsi spazio uno strano odore come di sangue e morte.

    [Octavia]
    La bellezza è fatta di delicati sussurri, parla dentro al nostro spirito la sua voce, cede ai nostri silenzi come una fievole luce che trema per paura dell’ombra. La bellezza, è ciò che contraddistingue la giovane Nightingale, ciò a cui ambisce quasi con cupidigia. Non un capello fuori posto, non una macchia sul suo bel vestito. Troppo permalosa, per poter tollerare un affronto e mancanza di delicatezza di qualcuno come Mortimer. Eppure, nonostante il suo abito sia tornato immacolato nel giro di un istante, anche dopo il ballo condiviso col giovane non può far a meno di sentirsi attratta sempre di più dagli specchi. Una superficie riflettente in particolare, è come se la richiamasse, mobilitandola al suo cospetto per controllare che tutto sia davvero a posto nel suo outfit impeccabile. Se avesse seguito quell'impellente necessità, se avesse ascoltato la vocina della coscienza a ripeterle di controllare il trucco e l'acconciatura, è di fronte ad un grande specchio da parete che si sarebbe ritrovata - imboccando un breve passaggio, un corridoio adiacente alla sala da ballo dove gli ospiti continuavano a far festa. Al principio, il suo riflesso non le rivelerebbe nulla di anomalo. È perfetta, com'è sempre stata: visetto dalla carnagione bronzea e luminosa, al di sotto della maschera d'oro; il nasino all'insù, perfettamente incipriato; le labbra carnose piene, ancora lucide e morbide grazie al rossetto. I capelli, lunghe e morbide onde corvine, a ricaderle sulle spalle simmetriche. O forse no... È forse una piccola macchiolina a deturpare il suo incarnato? O un capello bianco, a baluginare in quella capigliatura color mezzanotte? No, no. Molto probabilmente sono soltanto le luci di quel corridoio, a giocarle un brutto scherzo. Eppure, se si fosse avvicinata maggiormente allo specchio, avrebbe notato quanto la sua pelle si stesse facendo sempre più ingrigita. Raggrinzita su quel volto dai lineamenti fatti a regola d'arte. « La bellezza è l’eternità che si contempla allo specchio e noi siamo l’eternità e lo specchio. » Una voce, l'avrebbe raggiunta dal fianco destro, lì dove una scultura torreggia in tutta la sua fiera maestosità. Ha le sembianze di una figura mitologica inconfondibile: una fanciulla bellissima, con serpi al posto dei capelli. Medusa. "Protettrice", "Guardiana", ma non quella sera. « La bellezza è la vita quando la vita si rivela. » Avrebbe continuato, il tono cantilenante nel citare dei versi di una qualche antica poesia, il capo di pietra a muoversi con uno scatto in direzione della mora... gli occhi, fortunatamente chiusi. « Così bella. Così pura. Così integra. Eppure, questo non è bastato a lui, per non abbandonarti. » Un sorriso malevolo, si sarebbe dipinto sui lineamenti marmorei della figura, che d'un tratto sarebbe scattata giù dal proprio piedistallo, strisciando minacciosa in direzione della giovane Superior. Sempre meno metri fra di loro, mentre con lentezza disarmante, quelle palpebre di fredda e dura pietra, avrebbero iniziato ad aprirsi. « La bellezza grida tra le montagne tra un battito d’ali e un ruggito di leoni. La vita o la bellezza, cos'è più importante? »

    N.B. Se Octavia seguirà l'impulso di controllarsi allo specchio, si ritroverà di fronte alla scultura di Medusa che cercherà di farla a fette per rubarle la bellezza. Conosciamo tutti il mito: se la guarda negli occhi, potrebbe finire pietrificata - o forse no, chissà. Qualsiasi incantesimo, se lanciato, finirà col rimbalzare contro la scintillante corazza col rischio di auto-sabotarsi. Se Octavia dovesse provare a scappare da dove è arrivata, scoprirà il passaggio dietro di sé inspiegabilmente murato.
    Se Octavia non dovesse seguire l'istinto di raggiungere lo specchio, potrà invece continuare a ruolare senza problemi nella sala da ballo.

    [Oliver]
    Una volta aperta la porta, dinnanzi agli occhi del giovane Baker, un'unica figura. Di sua madre sembrava non esserci nemmeno l'ombra. Dov'era finita? Era già troppo tardi? La giovane donna affacciata alla finestra si voltò. Con ogni probabilità, Oliver l'avrebbe riconosciuta immediatamente. L'atmosfera era infatti piuttosto buia, ma quel visetto affilato, quegli occhi cristallini e quella lunga chioma bionda.. - « Oh, era ora! Hai sentito la richiesta d'aiuto di mammina e sei venuto subito. » Parlò, mentre un infantile broncino si palesava sulle labbra carnose. « Saresti corso qui altrettanto facilmente, fosse stata la mia voce a chiamarti? » Aveva cominciato a girargli attorno, la ragazza, e gli avrebbe a quel punto poggiato entrambe le braccia su di una spalla. Quella spalla, la stessa dell'incidente. E sotto quel tocco, infatti, Oliver avrebbe potuto percepire un certo fastidio. « Ma lo capisco, sai? Ti ho lasciato, in tronco, e senza darti nemmeno una spiegazione. Sarebbe in vero comprensibile, se mi odiassi. » Dita gelide ed affusolate avrebbero preso a carezzargli le guance. Un esotico profumo di pera, lampone e gelsomino ad imperlare l'aria. « Ma tu non mi odi, vero, Olly? Il ragazzo d'oro del secolo non può mica provare sentimenti tanto degradanti come l'odio. » Labbra avrebbero sfiorato il lobo del suo orecchio, la punta di una lingua altrettanto fredda a lambirlo. « Quindi ti domando: riusciresti ad odiare, finalmente, se ti dicessi che mi sono fatta uno dei tuoi più cari amici? » A quel punto si sarebbe spostata, la biondina, stringendosi nelle spalle in un sorriso. « Mi dispiace, è che dopo l'incidente.. - sì beh, lo sai da solo, quanto tu possa esser diventato inutile. » Le fitte alla spalla sembravan farsi, via via, sempre più insistenti. « E Teddy, invece, aveva prooooprio tutto ciò che cercavo! Fama, importanza, forza. - Ma immagino te lo abbia raccontato, o sbaglio? Siete così amici, voi due. » Pausa. « Ops. Sbaglio? Davvero? » A questo punto, lei avrebbe riso, sguaiatamente. Crudelmente. « Adesso riesci ad odiare almeno un pochino? Sìsì, secondo me sì. Vorresti picchiarlo? - Ucciderlo? » Quegli occhi cristallini l'inchiodarono. « Dillo. Su, forza. Dillo. »

    N.B. La figura è concreta quanto reale, ed è impossibile capire si tratti solo di un'illusione. Più Oliver ignorerà o tenterà di scappare, oltre la porta adesso serrata, più il dolore alla spalla aumenterà. Più non risponderà sinceramente, mostrando le proprie -eventuali- emozioni negative, idem.

    [Xaden]
    A nulla valgono i tentativi del maggiore dei Carrow di fronte a delle semplici e fragili porte. È come se, ancora una volta, si ritrovi incapace di agire e salvare le sue sorelle. Come da bambino, quando ognuno di loro era vittima delle sevizie di quell'uomo che chiamano padre, è impotente di fronte all'inevitabile. L'Ineluttabile si manifesta nel giro di un battito di ciglia, risalendo da quelle stesse scale imboccate da lui un istante prima: ha l'aspetto e le movenze di Abraxis Carrow. È esattamente Lui. Il portamento regale, lo sguardo oscuro, quel viso che gli somiglia sempre di più ogniqualvolta si guarda allo specchio giorno per giorno. Nonostante ciò, è come se si sentisse nuovamente lo stesso ragazzino d'un tempo al suo cospetto, la figura imponente di un genitore impassibile a torreggiare su di lui. « Risolviamola una volta per tutte, Xaden. » È rapido, veloce, letale com'è sempre stato nell'agitare la propria bacchetta e disarmarlo con un semplice Expelliarmus. Il catalizzatore del bruno viene scagliato lontano e lui, senza neppure avere il tempo di reagire, si ritrova a seguirlo scagliato contro il muro da un ennesimo incanto non verbale. Durante l'impatto si fa tutto nero, per Xaden, in quello che gli appare una manciata di secondi... eppure tutto sembra cambiato attorno a lui, non appena riapre gli occhi. Non è disteso al suolo, né ancora nel corridoio nel quale si è imbattuto in suo padre e le tre sorelle. Immerso in una stanza spoglia, è seduto su di una sedia, il tintinnio di catene che avrebbe risuonato ad ogni suo movimento dei polsi e delle caviglie, legate saldamente per tenerlo immobilizzato. Ad assistere, nuovamente impotente, a ciò che sta per scatenarsi. « La famiglia è sempre stata così importante per te, figliolo. Ma sai quanto essa rappresenti anche la tua debolezza. » Abraxis rifà la sua comparsa, sbucando da un angolo della camera oscura, la bacchetta ancora bel salda nel pugno. Passeggia di fronte al figlio, gli occhi puntanti nei suoi, un guizzo di insania a baluginare in quello sguardo che il mago conosce fin troppo bene. « E sai cosa facciamo, con le debolezze noi Carrow? Le estorciamo. Dalla radice. » Gli basta un cenno della mano, per far sì che dalle porte dietro di sé, tre figure inizino a fare la propria comparsa. « Quale delle tue sorelle, rappresenta per te la più grande debolezza? » Quasi fossero sotto un potente incantesimo, si arrestano a distanza di pochi passi dopo un ulteriore cenno dell'uomo, abbastanza vicine per permettere a Xaden di distinguerne i volti e le corporature. Tutte in abito da sera, quasi avessero partecipato anche loro fino a quel momento alla festa nel Palazzo. « La nostra cara e sveglia Priscilla? Ho sempre avuto un occhio di riguardo, per la piccolina di casa. Intelligente e scaltra, così pericolosa a differenza di Lyall. È così debole ed accecato dalla sua gelosia e l'eccessivo spirito di protezione. Come te. » È la gemella ad avanzare per prima, sotto le parole del padre, inginocchiandosi e cedendo al suolo per via delle pesanti catene a lambirne polsi e caviglie. Non parla, nessuna di loro sembra capace di poter aprire bocca. Tuttavia ognuna delle sorelle non fa che puntare gli occhi terrorizzati in quelli del fratello maggiore. Aiutami, pare vogliano dirgli senza l'ausilio della voce. « O forse Merope? L'infantile ed inutile macchia nella nostra eredità Purosangue. Epurarla sarebbe così facile. Guardala: così indifesa ed inadatta ad essere una di noi. » È la volta della mezzana, colei che alla luce del sole è stata etichettata come la Magonò della famiglia. Anche lei, di fianco a Scylla, cade in ginocchio di fronte a Xaden. La chioma bionda le ricade dinanzi al viso eternamente fanciullesco, le guance rigate da lacrime salate. « O indubbiamente Violet? Voi, col vostro legame profano... sempre così propensi ad infrangere le catene della moralità. Senza di lei saresti finalmente libero di continuare la nostra discendenza, senza il peso della vostra enorme depravazione ad infangarci. Lei ti ha già abbandonato, d'altronde. È già andata avanti, chissà con chi, sotto i tuoi occhi. » È la sorellastra, l'ultima a cadere, le iridi scure venate dalla famigliare sfumatura violetta a non distaccarsi dalle sue. È fiera come sempre, anche mentre bacia il pavimento con le ginocchia, l'espressione di dolore ad alternare quei lineamenti amati che il mago potrebbe vedere per l'ultima volta, ora, in quella stanza. Un ricatto. L'ennesimo di Abraxis. Ma Xaden non può sapere, d'ogni malevola macchinazione attuata da suo padre, per allontanarlo da quei suoi affetti. Da lei. « Scegli, figliolo: quali radici estirperemo oggi? Una ed una soltanto, potrà sopravvivere al giudizio stasera. Qual è la meno importante per te? Chi, ti rende meno vulnerabile? »

    N.B. Xaden si ritrova di fronte allo scenario descritto. Ha solo un'opzione: scegliere due delle sorelle da sacrificare - quelle a cui è più legato, di conseguenza rappresentanti una debolezza - e salvare soltanto quella che lo rende meno vulnerabile. Ovviamente può tentare di mentire e scegliere di salvare la sua debolezza più grande; così come proporre alternative differenti ad Abraxis, ma è fisicamente impossibilitato e potrà utilizzare soltanto la forza della propria voce o tentare di fare cambiare idea al padre.

    Regolamento e discorso identico al precedente intervento del Master. I dettagli sono spiegati nei vari blocchi per PG o gruppi di personaggi. Non c'è limite di tempo per le risposte, ma se siete in coppia o con altri player, cercate di dar priorità a quelle risposte così da non bloccare eventuali dinamiche.
     
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    Rivolta a: Cyrus.


    Quando tocca la melograna Dorothea, o meglio Altair, non si ritrova all'Amortentia's kiss, anzi è da tutt'altra parte. Si ritrova da sola, davanti ad una porta dove sente dei rumori che per lei sono disturbanti. Da sola, vestita di nero, Dorothea si guarda intorno e chiama la sua guardia del corpo « Shiratori, dove sei? » perché ha paura, ha molta paura.
    Ha paura di quello che potrebbe vedere oltre quella porta perché li sente i rumori, la sente quella voce. Le voci che sente nella sua testa si vanno via via sempre più forti, un turbinio feroce che non si accinge a farmarsi ma infondo, in momenti di forte stress, lei è sempre stata accompagnata da loro.
    Da tutta una vita.
    La porta sembra quasi aprirsi da sola, e quando si spalanca li vede, lo vede. Avvinghiati l'uno con l'altra ci sono la professoressa di divinazione di Hogwarts, Pervinca Spellman, e lui, suo marito. Le premesse che l'hanno portata lì sono quasi surreali, si aspettava che l'Amortentia's Kiss fosse stato attaccato, di combattere non certo di vedere quella scomoda verità che in cuor suo sapeva esistere già. E infatti lo sussurra, lo dice che « Lo sapevo... » mentre trattiene la rabbia ma non le lacrime, che sono ben nascoste dal velo nero che indossa « Lo sapevo che a te non è mai importato nulla della nostra famiglia. » perché a vederlo lì, davanti a sé dopo quelle immagini non erano altro che la conferma.
    Alla fine non gli importa della famiglia.
    Non gli importa di loro.
    Erano solo promesse a vuoto.
    « Bevi, bevi, bevi fino a stordirti, se cerco di farti ragionare mi prendi per i capelli e mi sbatti contro il muro... » o mi picchi fino a segnarmi la pelle, avrebbe voluto dire, o mi soffochi fino a quasi farmi svenire, avrebbe voluto aggiungere. C'erano così tante cose che avrebbe voluto vomitargli addosso ma no, per quello forse ci sarebbe stato modo di esprimerlo al Wizengamot. Perché la sua sentenza è una sola, una ed è atroce « Non mi hai mai amata, neanche per un secondo. Fin dal primo giorno del nostro matrimonio io non sono stata altro che un oggetto per te, uno sfogo. » perché se lo ricorda quello che lui le ha fatto quel primo giorno di luna di miele, se lo ricorda come se fosse ieri: le mani che la soffocavano, lui sopra il suo corpo e l'odore penetrante di bourbon che aveva imparato a conoscere. Ricordava la violenza che il marito le aveva fatto, da quel giorno ha sempre avuto paura di lui ma « Ora basta. »
    Basta.
    Basta fuggire.
    Basta soccombere.
    Basta lasciarlo fare.
    Cyrus è lì, davanti a lei, mezzo nudo e con i pantaloni mezzi slacciati, i segni di rossetto sulla pelle.
    Più lo guarda e più le fa schifo l'uomo che pensava di amare fino a pochi minuti fa. Ora però è decisa, tira fuori la bacchetta e gliela punta contro, con un rapido movimento pronuncia un deciso « Stifling. » e lo osserva soffocare prima di passare a Pervinca. Dorothea è rapida, la bacchetta si muove sinuosa in mano alla donna che pronuncia un « Incarcerarmus. » freddo come lo sguardo che le concede.
    « Niente di personale. » le avrebbe detto una volta legata con le funi magiche « Ti sei solo trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. » perchè quello che è stato detto rivelava il volto di Altair e nessuno doveva scoprirlo.
    Nemmeno l'amante di suo marito.
    Quindi, una volta che si sarebbe occupata di lui, Dorothea avrebbe pensato a lei, bruciandone i resti. Infondo non era nuova all'omicidio, qualche commissione l'aveva fatta fare quindi dove stava il problema?
    Da nessuna parte.
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    altair - london's fixer
    Paint the sky red,
    burn this city down
    We will make them suffer,
    hate and greed are terrible lovers
     
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    Nicky era immobile di fronte al quadro, incapace di dare una spiegazione a ciò che era appena successo. Avvicinò nuovamente la mano al quadro, ma prima ancora che il suo palmo sfiorasse sentì un lieve formicolio; come se attorno ad esso ci fosse una sorta di campo elettromagnetico. La stessa energia che si poteva percepire avvicinandosi ad una recinzione elettrificata. Voleva picchiare con veemenza sul quadro, alla ricerca di una risposta da parte di Orion. Dove sei finito?! Si guardò intorno, alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarla. Tastò la prete di fianco al quadro, bussò con le nocche cercando il tipico rumore sordo di una stanza vuota, ma tutto ciò che ricevette in risposta fu un suono pieno; tipico di una parete solida senza buchi. Orion non poteva essere svanito nel nulla. Mentre esaminava il quadro riuscì nuovamente a percepire quel sottile campo di forza che invece di respingerla la attraeva senza permetterle di opporsi; trascinandola all'improvviso nell'oscurità. Nicky si sentì cadere, trascinata da una sorta di forza invisibile che non le lasciò alcuno scampo. L’impatto con il pavimento non fu dei più morbidi, ma in qualche modo l’istinto le aveva impedito di cadere di faccia. Si guardò attorno, allarmata da quanto appena accaduto. Non troppo distante da lei c’era Orion che si lamentava dolorante; evidentemente il suo atterraggio doveva esser stato meno morbido del suo.
    TKXjpKN
    « Orion... » Spostò lo sguardo dal ragazzo per incontrare quello di Cordelia. Ma cosa?! La guardò con un punto interrogativo, cercando risposte che molto probabilmente nemmeno lei aveva. La stanza attorno a loro aveva le sembianze di una cameretta, i toni pastello e gli elementi di arredo facevano immediatamente pensare ad un bambino. Nicky stava ancora cercando di capirci qualcosa quando la sua attenzione venne del tutto assorbito da una terza figura. « Ben trovati, miei signori. » Una figura sinistra che le fece venire i brividi. Il volto era coperto da una maschera con tre facce; una più inquietante dell’altra. « Siete stati così gentili da unirvi a me in questo pomeriggio finora così tedioso -» Gentile non era certamente l’aggettivo che Nicky avrebbe utilizzato per descriversi in quel momento; disorientata e confusa le calzavano molto meglio. Cercava lo sguardo di Orion con la speranza di trovarci qualche risposta, ma aldilà della maschera sembrava confuso quanto lei. «- sono certo che d'ora in avanti mi farete cambiare idea. » Ne dubito. Un trono apparve all’improvviso; sontuoso e regale, per nulla in tono con il resto dell’ambiente. L’inquietante figura si accomodò con altezzosa spocchia; consapevole delle sua posizione di forza. Furono i lamenti di Orion a distrarla dai suoi ragionamenti. Il ragazzo si era portato le mani al volto e tentava di strapparsi la maschera con forza. Nicky non esitò a precipitarsi al suo fianco, osservando come la maschera sembrasse dotata di vita propria. Cercò di aiutarlo, ma ogni tentativo sembrava peggiorare la situazione. « Orion guardami…più tiri più si incolla al volto. Respira piano…» Provò a dettargli il ritmo di un nuovo respiro mentre fulminava con lo sguardo la figura dal triplice volto. « Bene bene, che sfortunato inconveniente, non pensate anche voi? Mentre l'oggetto dei vostri desideri rischia un collasso polmonare, voi due signorinelle farete bene a dire la verità, nient'altro che quella. Su cosa pensate veramente l'una dell'altra, cercando di portare acqua al vostro mulino, affinché il vostro caro Orion, possa scegliere. » Nicky non poté fare a meno di guardare Cordelia, entrambe incastrate in un gioco assurdo e crudele. « Loro ti salveranno parlando. Ma tu dovrai scegliere chi delle due salvare. Dalla scure di Sorella Morte. Non potrai sottrarti, dovrai ascoltare il tuo cuore e scegliere. Il giovane amore che fu o quello che potrebbe essere? » Era normale a quel punto chiedersi perché proprio loro, perché erano stati messi nella condizione di ferirsi a vicenda. In quel momento, inginocchiata di fianco a Orion, si sentiva privata di ogni possibilità di scelta. Spogliata del libero arbitrio e costretta a giocare ad un gioco crudele. Le mani le tremavano, pervase dalla voglia di afferrare la bacchetta; ma qualcosa le diceva che non sarebbe stato così facile liberarsi di lui. Cosa voleva realmente da loro?! Costringerli ad esternare sentimenti e pensieri che avevano tutti il diritto di tenere per loro. Inoltre Nicky non aveva una vera e propria opinione di Cordelia. La sua conoscenza della ragazza si limitava ad un sentito dire visto che gravitavano in compagnie del tutto opposte. L’unica cosa che sembravano avere in comune era proprio Orion. « Si può sapere di che verità stai parlando? La tua verità o la nostra? » Perché quel gioco tutti sembrava meno che un inno alla verità. « Vuoi sentirti che la odio?! Che la disprezzo?! » Voleva vedere il peggio di loro?! « Beh mi dispiace per te, ma la verità è che non la considero abbastanza per essermi fatta un’idea di lei… » Ogni suo pensiero poteva essere solamente frutto di ciò che vedeva; un pensiero superficiale basato solo sull’apparenza. « …o forse vuoi sentirti dire che ogni volta che sono vicini mi viene la pelle d’oca? » Brividi strettamente legati alla sua paura di perdere Orion definitivamente; prima ancora di aver avuto l’occasione di capire se ci sarà mai un modo per superare le barriere che li separano e trovare una strada che li porti insieme, verso un futuro diverso. Nicky non poteva esprimersi diversamente su Cordelia, poiché la considerazione che aveva della ragazza era pressoché nulla vista la differenza d’età e il giro diverso di amicizie.
     
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    Arriva, sente un rumore che conosce, che apprezza e che sente suo. Il rumore che produce Dorothea quando è, finalmente, in Estasi. Sente la voce del Carrow, dannato Carrow che da quando era apparso non aveva fatto altro che creare problemi. Come un dito nella ferita il "Non esiste" lo colpisce e gli toglie il respiro.
    Non era mai abbastanza per lei. Sempre troppo ubriaco, troppo incasinato e troppo un problema e mai una soluzione. Perché l'unica cosa che sapeva fare Cyrus era ubriacarsi. Il calore gli irradia il volto ed i pensieri vogliono nuovamente schiantare la propria moglie lontano da quel dannato Carrow per prenderlo poi a calci e pugni e farlo soffrire con le sue stesse mani e non tramite una bacchetta. Dalla sua fondina estrae quella bacchetta fedele puntandola contro il Carrow "Stupeficium". Dopo che il Carrow si fosse mosso avrebbe puntato l'incantesimo successivo contro Dorothea. Un'incantesimo semplice di cui le parole sarebbero uscite quasi in automatico "Impedimenta". Odiava usare la magia contro di lei, ma era necessario per capire cosa avesse fatto quella dannata sgualdrina. Quanti fossero stati gli altri tradimenti e quanto le fosse piaciuto prendere da quel frutto che ora, nel migliore dei casi era abbastanza lontano da non essere un problema.
    Era in lacrime, arrabbiato e sul punto di rompersi il cuore "Perché Dorothea? Perché hai detto a quello che non valgo nulla?" Perché aveva deciso di dire quello che anche lui pensava a quello sconosciuto? Perché tradire prima il suo onore e poi la sua fiducia così?
    35 - Hades
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    Painted black
    Black as night
    Black as coal
    I wanna see the sun
    Blotted out from the sky
     
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    Cordelia RosierA trip for darkness one more time.

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    Doveva trattarsi di un incubo, non poteva essere altrimenti.
    Aveva numerose paure, Cordelia, che ben poco c'entravano con il buio e i mostri sotto il letto, quanto annidati nelle fragilità più o meno comuni del genere umano e, in particolare, negli adolescenti. A questo si aggregava il costante senso di oppressione e l'altrettanto soffocante sentore di inadeguatezza dovuti a una famiglia che non faceva altro che caricarla di un peso inadeguato a una ragazzina della sua età. Si sentiva spesso sola, la Rosier, una condizione che svaniva nel nulla in presenza della sorella.
    «Eva! Eva!» Batteva i pugni contro i muri strappando i guanti e graffiando il candore delle proprie mani, urlando e pregando tacitamente che nulla accadesse alla sorella. Quando sentì di non avere più fiato in corpo si zittì. Chiuse gli occhi e tentò di riacquisire una calma ormai persa, ragionando e valutando tutte le alternative possibili.
    Cos'avrebbe dovuto fare?
    Si volse a guardare nel vuoto, digrignando i denti e usando quel poco di voce che le era rimasta. «Dove l'hai mandata?!» Era furiosa, terrorizzata, ma non poté ottenere una risposta, ché una manciata di secondi dopo trasalì per il tonfo di uno schianto che le fece riconoscere una figura che, quella notte, non aveva neppure intravisto. «Orion!» Aveva sentito il rumore delle sue ossa rompersi, quel tremendo scricchiolare così simile al crepitio del fuoco e che le fece gelare il sangue delle vene. Si fiondò al suo fianco ricadendo sulle ginocchia, l'ampia gonna dell'abito che si espandeva intorno a loro come fosse smeraldo fuso.
    Non osò aiutarlo ad alzarsi, terrorizzata di peggiorare la sua condizione. Si limitò a sfiorarne il viso con dita fredde e tremanti. «Ehi... non dovresti muoverti. Ora cerco qualcuno e...» e si rese conto troppo tardi della presenza dell'ultima persona che pensava di incontrare - forse colei che invece, date le circostanze, avrebbe dovuto essere il suo primo pensiero - con la quale scambiò una rapida occhiata incerta non appena una voce ormai a lei nota iniziò a parlare.
    La ascoltò in silenzio, Cordelia, lo sguardo ricolmo di paura tinta di rancore.
    Si accanì contro di lui, le dita serrate in un pugno mentre la pazienza era ormai agli sgoccioli. «Si può sapere chi diavolo sei?» Cosa volesse era ormai piuttosto chiaro, per quanto insensato. Fu a quel punto che i lamenti di Orion penetrarono la sua mente prima ancora che li udisse dalle labbra di lui. Quella stessa mente che tentò di allungare i propri artigli verso il mostro che sembrava tanto divertirsi a giocare con loro.
    La strega fece per allungare una mano in direzione del ragazzo, ma Dominique la precedette e lei si sentì in dovere di farsi da parte. Lo sguardo che si alternava tra i due e la bocca resa arida dal terrore di ciò che stava avvenendo intorno a loro. Inorridita, sentì con ansia crescente il respiro di Orion affannarsi, al pari del suo. «Smettila! Così lo uccidi!» Si rimise in piedi, la voce di Dominique a tentare di calmare il ragazzo, il divertimento dell'uomo a tre facce a imperversare su di loro. Ne colse la richiesta, o meglio l'imposizione che aleggiò su di loro al pari della lama di una ghigliottina. Guardò nuovamente la Weasley rispecchiandosi nei suoi occhi, poi lasciò scivolare le proprie iridi su Orion e, infine, sul loro burattinaio. Voleva giocare con loro, con sentimenti che probabilmente aveva captato prima ancora che lo facessero i diretti interessati.
    «Non... non la conosco nemmeno.» Sussurrò più a se stessa che ad altri. Colse le parole di Dominique pur restando sovrappensiero, lì dove la coscienza tentava imperterrita di sondare la mente dell'uomo senza sapere cosa sperasse trovarvi. Non poté fare a meno di riflettere, sulla base di ciò che la bionda domandò, su quanto la loro verità fosse poi così diversa da quella del loro ospite.
    Indipendentemente da cosa ognuna di loro avesse detto, alle orecchie dell'altra sarebbero arrivate solo cattiverie e nel frattempo, rifletté nello spostare lo sguardo, Orion avrebbe sofferto.
    «Non ho niente contro di lei. Non mi ha mai fatto nulla.» Colse le parole di Dominique e infierì su quelle maschere che si prendevano apertamente gioco di loro. Tremava per via della rabbia, dell'imbarazzo, della consapevolezza. «E Orion non deve scegliere. Io non faccio parte di questa... cosa.» Qualunque cosa fosse. E parve rivolgersi a lei pur senza guardarla, assicurandole quanto poco senso avesse parlare di qualcosa che non aveva motivo di esistere.
    «Io e lui siamo solo...» Cosa? Non erano mai stati più di due semplici conoscenti, rivali forse, con un unico punto in comune: Eva.
    Eva, che era scomparsa, cosa di cui il migliore amico di lei non era di certo consapevole.
    Ignorò ciò che aveva appurato in quelle ultime settimane. Si costrinse a fingere di non aver compreso il motivo per cui pensare a lui insieme a Dominique la colpiva più di quanto non fosse lecito e soffocò tutto, ogni cosa, per consentire a se stessa di credere fermamente in quello a cui diede voce. «Amici.»
    Tirò un sospiro, la sua mente a lavoro e una supplica a condirne le successive parole. «Lascialo andare, ti prego... e ridammi mia sorella.» L'unica persona che desiderava davvero riavere in quel momento.

    Scheda | Role




    Cordelia tenta di soccorrere Orion e non dice nulla contro Dominique. Si limita a giurare che tra lei e il ragazzo non ci sia mai stato nulla e poi chiede di riavere Eva.

    Cattivissime, MADONNA.
     
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    Il principe

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    Alighieri H. SavonarolaIhihih




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    Il ventre gonfio del pozionista, così ben compresso nel panciotto stretto, vestiva il mago di un'ingenua gentilezza velata di stranezza, nulla che lo additasse come folle o malato di mente o crudele. Ridacchiava fra un volteggio e l'altro, fermandosi solo per prendere delicati sorsi di vino dal suo bicchiere, il viso sporto un po' in avanti per evitare che qualche goccia sfuggisse lungo il mento fin sulla camicia inamidata. Sarebbe stato un peccato se si fosse macchiata, il vino non era così facile da togliere; era un po' come con il sangue, ci voleva una discreta dose di fortuna, per quello il buon italiano aveva sempre i suoi camici ben stirati e pronti all'utilizzo nel laboratorio nel seminterrato di casa.
    «Oooohhhh, Lucianino ha un regalo per meeeee?»
    Chiese quasi cantilenando quando l'uomo mascherato lo approcciò, preparandosi a seguirlo senza fare troppi complimenti, salterellando appena un paio di volte nel tentativo di star dietro alla più ampia falcata dell'altro. Alighieri sospettava ci fossero dei nani da qualche parte nel suo albero genealogico, quello avrebbe giustificato la statura dimessa e l'evidente predisposizione al sovrappeso: non poteva essere colpa delle ciambelle e delle caramelle.
    «Sarà una libreria? No no lui non regala libri!»
    Nel silenzio generale di quell'avanzare lungo i corridoi vuoti, il professore riempieva lo spazio con congetture diverse, provando a tirare ad indovinare cosa mai potrebbe aver allestito a suo uso e consumo. Di teorie l'uomo ne aveva diverse, una ben più macabra dell'altra.
    «Ma certo, sarà una spa! Deve avermi visto emaciatino ihihih che cucciolo quel Black, tanto premuroso e carino!»
    Commentò ridendo e svuotando il bicchiere che si era portato dietro. Lo abbandonò su un mobile accostato lungo una parete, non badando affatto a cosa vi fosse sopra o ad eventuali quadri o fotografie, troppo preso a non perdere il circense nell'oscurità che si faceva sempre più fitta, e non si aspettò di venir drogato quando all'interno della stanza in cui fu invitato l'odore lo colpì in maniera pungente, e per lui che aveva passato la vita ad allenare gusto ed olfatto fu difficile non cogliere la fregatura, cosa che però non lo irritò, ma piuttosto divertì. Fu con l'eco di una risata sulle labbra che perse i sensi e precipitò al suolo.
    Destarsi fu ben più scomodo. Si scoprì legato, i piedi che non toccavano terra e penzolavano nel vuoto, gli occhiali un po' storti sul naso ed un vaghissimo senso di confusione che andava diradandosi ad ogni secondo. La luce era troppo bassa e per uno che già ci vedeva poco non era esattamente il massimo, ma le voci gli giunsero molto chiare e la consapevolezza di non essere da solo fu a tratti eccitante. Quello che poteva essere iniziato come un ballo assolutamente noioso, sembrava starsi svoltando in un gioco eccezionale.
    «Ihihih siete una signorina o una signora?»
    Non che per lui facesse differenza, ma era più difficile per il mondo accettare la dipartita di una figlia che quella di una moglie, e per quanto le moglie fossero figlie a loro volta, la società sembrava non darvi importanza una volta che indossavano una fede all'anulare. Lui, da parte sua, non sentiva la necessità di presentarsi, non fosse altro perché era una persona che difficilmente passava inosservata e la donna, chiunque fosse, l'avrebbe riconosciuto una volta là fuori nonostante il cappuccio e l'oscurità.
    «Avete un bel vestitino! Il gioco è una vostra idea?»
    Ovvio che no, le donne non potevano essere così brillanti, ma se doveva star legato lì come un salame tanto valeva impiegare il tempo in qualche modo. Si prese il tempo necessario a guardarsi intorno, provando a decifrare gli elementi circostanti. La spada sospesa era degna di interesse, il mago impiegò qualche secondo di quel silenzio per provare a decifrare il meccanismo che la teneva ancorata al soffitto, ma quand'ebbe fallito si limitò a far spallucce e ridacchiare, ignorando la voce della strega e provando a chinare appena il busto in avanti, gli occhietti piccoli che tiravano ad indovinare il contenuto delle ampolle. Indovinare. Come se servisse.
    «Pensavo sarebbe stato un giochino più divertente.»
    Borbottò con un piccolo broncio, indicando con il grosso naso a patata la prima delle boccette.
    «I miei bambini saprebbero riconoscere del sangue di salamandra ad occhi chiusi.»
    Indubbiamente i suoi studenti G.U.F.O. sarebbero riusciti a portare a termine quella piccola missioncina che sembrava star per diventare terribilmente noiosa.
    «Il Muco di Vermicoli poi... ma insomma, Lucy! Non mi sto divertendo!»
    Sbuffò rumorosamente, agitando di piedini nel vuoto come un bambino.

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    Rimase in silenzio, rigirandosi fra le dita un calice di champagne che non avrebbe avvicinato alle labbra, ma che sarebbe stato necessario per tenere impegnate le mani. Spostò lo sguardo sulla ragazza con un placido sorriso di circostanza, impegnata a recuperare dalla memoria le principali informazioni che la riguardavano – Baek, Corea, Hogwarts – senza intromettersi nello scambio con la maggiore, grata di poter rigirare fra le dita il bicchiere per non sentirsi completamente impacciata. Fu solo per un istante, che distolse lo sguardo dalle due per poter sorvolare la sala. Individuò immediatamente la choma fiammeggiante del marito in compagnia di una bionda particolarmente avvenente solo per una frazione di secondo, prima che si allontanasse per poter intercettare il maggiore dei Carrow. Vide il signor Selwyn danzare e la distrazione fu talmente pregnante che, impedita dall’interessarsi ai drammi altrui, scambiò la sua compagna per la moglie, ingannata dalla sfumatura non troppo diversa dei capelli.
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    Le parole della più giovane del trio la costrinsero a tornare alla realtà. Sbatté le palpebre un paio di volte, ritardando solo di un momento il sorriso di circostanza che sfruttò per congedarla. «Una brava ragazza.» fu l’unico commento sornione che offrì all’interlocutrice, prima di sentire la stretta attanagliarle le caviglie. Successe tutto velocemente, come quando da bambini si cade a terra e la dinamica risulta troppo complicata da spiegare a parole, ma troppo spaventosa per riuscire a replicarla dal vivo: cadde al suolo, rovinosamente. Sentì la testa sbattere, il corpo venire trascinato altrove, ed ebbe la certezza di essersi fatta più male di quanto preventivato nel momento in cui percepì il corpo farsi inconsistente, neanche fosse stata catapultata altrove.
    Nella propria vita Euphemia Greengrass, coniugata Black, aveva sperimentato diverse paure. Da bambina, distesa nel suo lettuccio e riparata dalle coperte, aveva passato anni interi a scivolare in un sonno agitato, causato dall’idea persistente della morte, considerata all’epoca più come un concetto astratto che come una possibilità concreta. Sua nonna paterna era morta quando non aveva più di cinque anni, e se la sua dipartita non avrebbe potuto essere considerata un trauma - Rhea Greengrass non le era mai stata particolarmente simpatica, con quella sua evidente quanto inspiegabile preferenza per quel musone del fratello maggiore di Effie, convinto che nella vita sarebbe diventato un pezzo grosso di chissà cosa salvo aver conquistato alla veneranda età di trent’anni solamente una ricetta del pozionista di famiglia per una dose giornaliera di pozione della pace e un posto assicurato al San Mungo per quando i suoi nervi sarebbero diventati troppo tesi – aveva di certo fatto capire a Effie cosa comportasse in concreto la morte. Era morta in casa, la vecchia Rhea, segnata dai dolori di una maledizione che l’aveva fatta scivolare velocemente verso la pazzia. Ciò che aveva spaventato la più piccola di casa, tuttavia, non erano stati i lamenti, ma il silenzio assordante che aveva inondato la casa il giorno successivo. Ciò che per anni le aveva agitato il sonno era stata la consapevolezza che la morte non restituiva mai chi sceglieva. Aveva provato ad avvicinarsi alla religione, spaventata dal concetto della non-esistenza, ma aveva compreso che, se davvero l’anima era parte dell’essere umano, ciò non avrebbe comunque annullato la distanza coi vivi. Temeva, di fatto, che tutti la abbandonassero, colpevole di essere nata per ultima e dunque destinata a sopravvivere un po’ più a lungo degli altri. Quando poi, a tredici anni, aveva assistito alla morte della madre, la consapevolezza di non poterla più avere attorno le aveva serrato la gola, impedendole di presenziare fino alla fine del funerale e costringendola a voltarsi quando la bara era stata adagiata dentro le viscere della terra. Si era cementata in lei la convinzione che sarebbe stato meglio andarsene per prima pur di non sopportare nuovamente una cosa simile, e poco importava che gli ultimi momenti fossero stati atroci per la signora Greegrass: non riusciva a essere altruista, Euphemia, non in quel frangente, e l’unica cosa che avrebbe voluto era avere ancora per un poco la sua mamma al suo fianco, concreta e tangibile. Le avevano detto che sarebbe sempre stata con lei, che sarebbe sopravvissuta grazie ai ricordi. A Effie non interessava, e guardava in cagnesco chiunque osasse dirle una cosa simile. Con gli anni quella fobia si era quietata, lasciandole addosso solo un fastidio per i cimiteri e l’incapacità di presenziare ai funerali con l’attenzione e la devozione che si richiede. Con gli anni quella fobia si era tramutata nella placida paura per il futuro, concetto dotato di particolare inconsistenza e contenitore capace di mantenere al suo interno ogni timore più specifico e concreto.
    Non tardò a riconoscere il parco lussureggiante del maniero dei Black a Belfast. Riconobbe la magnolia soulangeana poco distante dalla cappella, ricolma dei suoi grossi fiori bianco-violacei talmente numerosi da far sembrare un miracolo che i rami non si fossero ancora spezzati. « E' tutta colpa tua, mamma! » arrivò distante, la voce maschile. Euphemia lo guardò stentando a riconoscerlo, studiandone la chioma purpurea e riconoscendo lo sguardo verde di Kyran incastonato in un viso addolcito da quegli stessi tratti che ritrovava nello specchio alla mattina. «Aran?» una domanda rivolta a quel bambino che solo qualche ora prima si era addormentato col suo capezzolo tra le labbra. « Tutta colpa tua se lei non c'è più! » Era proprio lui, capace di riconoscerlo come solo una madre avrebbe potuto, sebbene non fosse in grado di comprendere come avesse potuto dimenticare tutta la vita che li aveva condotti a quel punto. Cercò risposte negli altri presenti, raggiungendo l’unica persona che avrebbe potuto spiegarle ciò che stava tentando di capire. «Cosa sta succedendo?» avrebbe cercato il fianco del marito, vicino alla bara ancora aperta per diventare l’attrazione pornografica di un dolore che a distanza di quindici anni – ma erano davvero passati solo quindi anni? Perché Aran era diventato un uomo così in fretta? - ancora la scandalizzava. Tentò di allungarsi verso la bara, certa che il viso del corpo si sarebbe confuso con quello serafico e disteso di sua madre, cristallizzata dentro quell’ultimo ricordo che Effie aveva di lei, accerchiata di fiori dentro una bara di ciliegio.

     
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