Volume I

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    Non di rado il giovane Crouch finiva con l'addormentarsi su uno dei confortevoli divanetti della sala comune dei verde-argento senza neppure rendersene conto.
    Non che disdegnasse il letto che la scuola gli aveva messo a disposizione, ma durante le sue giornate fin troppo piene non aveva quasi mai tempo di dedicarsi ad uno dei suoi passatempi preferiti: la lettura. Di conseguenza, subito dopo cena, faceva giusto in tempo a concedersi una corroborante doccia nei dormitori e infilarsi addosso una comoda tuta prima di sprofondare nella soffice consistenza delle sedute in velluto verdastro.
    Non era propriamente un tipo da romanzi, ma quella sera era rimasto in compagnia di un tomo intitolato "Tra le Nebbie dell'Incantesimo". La copertina riusciva a suggerire praticamente nulla sul tema del libro, così come l'espressione sul volto del giovane mago che aveva finito con l'assopirsi con il libro aperto e posato sul petto che si alzava e abbassava lentamente al ritmo del suo respiro rilassato.

    No, non sgualcire la zuppa.

    Blaterare sussurrando in pieno sonno era sempre stato uno dei suoi più grandi problemi. Se non altro perché, non di rado, finiva con lo svelare inavvertitamente dettagli sulla sua vita che non avrebbe voluto comunicare ad anima viva o morte che fosse.
    Altre volte, invece, sproloquiava con concetti senza senso e in maniera completamente sconnessa, mentre le palpebre vibravano vistosamente sugli occhi chiusi, sintomo del fatto che era in preda a chissà quale strambo sogno.
    Se ne stava dunque disteso sul divano, con indosso una tuta di un blu scuro - quasi nero - ed un paio di calzini altrettanto scuri. Le ciocche di capelli castani sembravano essere stati vittima di un tifone e giacevano sulla consistenza morbida del cuscino che aveva a sostegno della nuca. Le dita inanellate avevano ormai perso la presa sul libro che rischiava di crollare sul tappeto da un momento all'altro, ma lui non poteva chiaramente rendersene conto, addormentato com'era.
    L'orologio segnava quasi l'una di notte e lui avrebbe proprio dovuto tornarsene in dormitorio, ma fintanto che nessuno si fosse degnato di ridestarlo se ne sarebbe probabilmente rimasto lì, un po' come faceva tutte le sere, a riposare in posizioni scomode e alla mercé di chiunque.
    Marcus H.
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    Anastasya.
     
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    Non sei desiderata Anastasya
    Non é qui il tuo posto
    O tuoi fratelli e tu non avete gli stessi diritti
    Vattene Anastasya
    Vattene


    La voce parlava lentamente con un'impronta neutra ma penetrante allo stesso tempo.
    Anastasya si alzò di scatto facendo cadere il guanciale dal baldacchino. La maglietta era incollata al suo corpo biancastro e come spesso accadeva ricordava a metà ciò che aveva disturbato il suo sonno:stavolta però un colto le era rimasto impresso ed era quello di sua madre. Quella stronza di sua madre, che aveva deciso di abbandonarla alla nascita.
    Anastasya nutriva rancore e rabbia nei suoi confronti oltre alla frustrazione di sentimenti contrastanti :era lieta di aver scoperto da dove proveniva e chi erano i suoi genitori ma non le era piaciuto il resto della storia.
    La voce nell'incubo non era la sua ma aveva centrato perfettamente i suoi sentimenti distruggendola di nuovo, indirettamente.
    Scese dal letto si infilò dei calzini mantenendo l'equilibrio e indossò una felpa, la prima che trovò appoggiata alla sedia.
    La sua unica coinquilina dormiva beatamente perché stavolta non aveva urlato svegliandola.
    Scese scalino dopo scalino nella sala comune. Era fredda la stanza ormai il fuoco era morto da quattro ore e il silenzio regnava sovrano.
    No, invece pensò udendo un mormorò e un blaterare poco chiaro. Rizzò le orecchie e si avvicinò alle poltroncine a poca distanza dal caminetto.
    Ah Crouch pensò sporgendosi davanti alla sua postazione per verificare se davvero dormiva. Ed era così, come altre volte in cui era scesa o aveva voluto uscire illegalmente durante il coprifuoco.
    Si avvicinò lentamente senza farsi vedere e puntò gli occhi sul libro aperto sul suo ventre. Sembrava un tomo particolare ed Ana si chiese se valesse qualcosa o se fosse raro, non le bastava altro che prenderlo o curiosare no? Magari lo avrebbe anche portato con sé di sopra.
    Fece qualche passo verso Il Serpeverde e piegò la schiena Chinandosi su di lui, facendo attenzione a non far scivolare i capelli rossi sul suo volto e non provocare rumori che lo avrebbero svegliato.
    Si fermò quando lo udï mormorare qualcosa Nessun allarme credete poi allungando la mano verso il libro aperto sullo stesso.
     
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    Le fasi del sonno continuavano ad alternarsi senza sosta, scuotendolo appena mentre teneva le palpebre serrate sugli occhi chiari.
    Non si era neppure reso conto del fatto che una sua gamba era ormai scivolata al di là della seduta del divano, posizionandolo in uno scomodissimo stato che gli sarebbe probabilmente costato un gran mal di schiena l'indomani.
    Con ancora le dita appena posate sul dorso del libro aperto sul suo petto, non si rese conto dell'arrivo di Anastasya, così come dei suoi passi attutiti dalla pesante moquette che foderava il pavimento della sala comune.
    Si mosse quasi impercettibilmente solo nel momento in cui la ragazza fece per chinarsi su di lui per ispezionare la copertina del libro, ma soltanto perché aria attorno a lui finì con il comprimersi naturalmente contro la sua figura.

    M-mh.

    Mugugnò, con ancora le iridi chiare celate dal velo delle palpebre.
    Fu soltanto nel momento in cui la mano di lei si allungo versò il libro che il suo corpo reagì spontaneamente a quell'invasione.
    Trasalì inspirando con forza, appiattendosi contro il cuscino e scuotendosi fino a far inesorabilmente crollare il libro verso il basso. Ebbe tuttavia la prontezza di allungare un braccio per arrestarne la caduta e cercò automaticamente si sottrarsi a quell'invasione tirando su il busto ed appiattendo le spalle larghe contro lo schienale della poltrona.

    Ma che cazzo?

    Non suonò aggressivo, quanto più confuso dalla situazione nella quale era finito.
    Non l'aveva neppure riconosciuta, intontito dal sonno com'era.

    Ah sei tu. Ma che stai facendo?

    La conosceva, di nome se non altro, e grazie al fatto di aver scambiato qualche sparuta parola di tanto in tanto tra una lezione e l'altra, ma non sentiva di poter dire di conoscerla.
    Sembrava visibilmente confuso, se non altro perché con tutta probabilità la sua mente era ancora profondamente intorpidita dal sonno, quindi le piazzò addosso uno sguardo vacuo e annacquato dal sonno, mentre ne indagava le intenzioni.

    Che ore sono?

    Le palpebre presero a sbattere ripetutamente sugli occhi umidi, mentre cercava un aggancio sulla realtà i lunghi minuti di sonno che aveva trascorso fino a quel momento.
    Gli ci voleva sempre un po' per riprendersi e Anastasya non avrebbe faticato a rendersene conto.
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