Hello, Mr Gray

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    L'esaurimento nervoso non si era mai soffermato troppo a lungo alle porte della sua sanità mentale, non ancora, eppure la tonalità della propria voce sapeva raggiungere vette tali da lasciarle intuire quanto poco sarebbe bastato per lasciarsi andare a un crollo epocale, di quelli che l'avrebbero confinata nell'angolo buio della sua stanza a piangere tutte le lacrime che aveva trattenuto negli anni precedenti.
    Altri non potevano dirsi così fortunati, vittime di pulsioni che lei avrebbe saputo controllare senza cadere nel panico più profondo.
    «Non esiste, io non ci torno là dentro.»
    La voce stridula che le fece aggrottare la fronte proveniva dalla sala relax, fonte di quel fastidio che la fece trasalire e condusse la penna nera a scivolare sul foglio che stava compilando. Imprecò mentalmente e chiuse gli occhi, prima di appuntare tutto ciò che doveva e riposizionare la cartelletta ai piedi del letto di Jonathan Rivers, uno dei suoi pazienti preferiti. Gli sorrise e lo salutò, promettendogli che sarebbe passata dopo qualche ora per assicurarsi che, insieme alla cena, gli concedessero anche il budino alla vaniglia.
    Era particolarmente gentile con chi le piaceva, Victoire, incapace di indossare quella maschera di gelida fierezza che le si adeguava perfettamente fin da quando ne avesse memoria.
    Oltrepassata la soglia della stanza di Jonathan, il sorriso svanì dalle labbra imbronciate in una smorfia che esprimeva frustrazione per ciò che avrebbe dovuto affrontare una volta raggiunta la macchinetta del caffè. Nonno Arthur era a dir poco estasiato all'idea che il San Mungo tentasse di assimilare dalla tecnologia una base da cui partire per evolversi e integrarsi.
    Le sue aspettative vennero nettamente superate quando vide una ragazza appena più grande di lei uscire dalla saletta sbraitando, braccia che mulinava in aria e che Victoire scansò per un pelo. La lasciò andare prima di affacciarsi al di là dello stipite della porta, riscontrando all'interno l'espressione contrariata di un paio di colleghi.
    «Non che sia una novità, ma perché Maryanne sta urlando?» Si decise a entrare e non tentò neppure di nascondere il sorriso beffardo che la scena le aveva fatto fiorire sulle labbra.
    «Togliti quell'espressione dalla faccia, non è divertente.» Il responsabile di reparto, Henry, le rivolse un'occhiata in tralice con aria minacciosa, ma Victoire distese ancor di più le labbra. «Dov'è che non vuole andare?» Rassegnata all'idea che qualcuno avrebbe dovuto sostituirla, la bionda allungò una mano verso di lui, attento ad esaminare la cartelletta abbandonata da Maryanne. Henry non lo avrebbe ammesso neppure sotto tortura, ma Victoire Weasley era nella maggior parte dei casi la sua salvezza.
    «Stanza 516.» Borbottò con espressione corrucciata, un cenno del capo come unico ringraziamento. «Infarto miocardico. La cosa peggiore è il D.O.P.»
    Victoire inarcò le sopracciglia mentre leggeva la cartelletta. Nessun riferimento all'ultima diagnosi e il suo sguardo incerto generò un'amara risata nell'uomo. «E' un rompicoglioni. Divertiti.»
    La strega non poté fare a meno di domandarsi il perché non ci andasse lui.
    «Mi devi un pomeriggio libero.» Sospirò e gli volse le spalle preparandosi al patibolo.

    Percorse il corridoio del terzo piano, svoltò un paio di volte e si ritrovò di fronte alla stanza 510. Camminava rileggendo il contenuto della cartelletta, il camice bianco a solleticarle le cosce fasciate da un paio di jeans scuri. Anche in questo caso nonno Arthur sarebbe stato orgoglioso di lei, che il più delle volte a lavoro indossava i suoi indumenti preferiti.
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    Spalancò la porta e si ritrovò davanti due letti, uno dei quali occupato dalla figura ingombrante di un giovane uomo, lenzuola candide celavano parte del corpo del paziente di cui Victoire non scorse neppure il viso nascosto da un inutile divisorio.
    «Buongiorno, signor Gray.» Non gli aveva ancora rivolto un solo sguardo, le iridi cristalline viaggiavano rapide sull'inchiostro che avevano già percorso almeno un paio di volte. Faceva fatica a cogliere le parole, le lettere a volte sembravano danzare sotto i suoi occhi e le bocca si contorceva in una smorfia infastidita. «Sono l'Infermiera Weasley. Come si sente oggi?» Inspirò nell'attimo esatto in cui sollevò il mento, pronta ad affrontare l'opposizione di un uomo sulla sessantina che aveva fatto perdere la ragione a Maryanne.
    Scoprì che il mago che aveva davanti aveva circa trent'anni in meno di quanto indicato sulla cartelletta. Era sufficientemente sicura di tale dettaglio che non perse tempo a controllare nuovamente.
    «Lei non è il signor Gray.» E, a sua insaputa, nonno Arthur avrebbe tirato un sospiro di sollievo.

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    È con il motivetto di Jack Sparrow a risuonargli nella testa che Sam, dopo giorni effettivamente bui, pieni di dolori e fin poca lucidità mentale, si risveglia. Si sente effettivamente Jack Sparrow in carne ed ossa, dopo l'ennesima serata all'insegna del bagordare in quel di Tortuga, con copiosi fiumi di rum ad addolcire ogni pena, sul momento, per poi restituire il conto l'indomani con il fastidioso mal di testa che si ritrova a sperimentare giusto qualche istante dopo aver sbattuto gli occhi con forza per mettere a fuoco la finestra che dà su un cielo grigio e sconsolato. « Meeeerda. » Commento puramente tecnico delle proprie condizioni prima di sbadigliare a bocca spalancata, domandandosi come sia possibile avere ancora sonno dopo tutte le ore passate a dormire, steso tra quelle lenzuola sotto l'effetto di sedativi e pozioni che hanno fatto di tutto per permettergli di ristabilire un equilibrio interiore, dopo quell'infiltrazione quasi letale dello Strozzalupo nel sangue. Prova a girarsi nel letto, mettendosi a sedere non con poche difficoltà, con la gamba ancora immobilizzata sotto un finto gesso magico, utilizzato solitamente per la terapia di ossa scomposte e rotte su più punti tanto da preferirlo ad un doloroso, quanto laboriosamente, lungo in quel caso specifico, Ossofast. Non che abbia veramente alcun osso rotto, ma il dottor Robbins, consultatosi con la dottoressa Spellman, ha pensato fosse lo stratagemma migliore per fornire una storia convincente alla stampa, per quel suo stop forzato dal campionato, e per giustificare anche il suo spostamento dal quarto al terzo piano, lì dove generalmente vi sono traumi di entità non troppo gravi. Non è un caso però che si ritrovi in stanza da solo, richiesta esplicita del suo dottore, altamente condivisa dal suo manager che, ne è certo, starà impazzendo nel cercare di mantenere tutta la situazione sotto controllo, filtrando quanto più possibile le informazioni sulla sua condizione fisica. Il solo pensare al fatto che non giocherà più per almeno un mese, se tutto va bene, porta la testa dello Scamander a pulsare talmente forte da costringerlo a massaggiarsi le tempie con decisione, tentando di scrollarsi di dosso quel malumore che lo accoglie a braccia aperte giusto qualche istante dopo aver aperto gli occhi. « E non sono nemmeno le 10. Bella giornata del cazzo si prospetta. » Soprattutto perché le visite sono consentite dopo mezzogiorno e lui non ha altro da fare per due ore, senza il suo amato cellulare - che dovrebbe arrivare proprio quel giorno con la visita di James Scamander - o perlomeno la Playstation portatile a riempire il tempo che in quella stanzetta sembra dilatarsi a tal punto da sembrare scorrere lento, come rallentato da qualche incantesimo. Giusto per farmi girare ancora più i coglioni. Si ritrova a pensare piuttosto spazientito, le braccia portate a stringersi il petto senza sentire più il dolore pungente alla spalla. La cosa peggiore di tutte, forse, è che avendo tutto questo tempo libero, la sua mente ha altrettanto spazio di manovra, per muoversi liberamente, per arrovellarsi, per pensare a ciò a cui effettivamente non ha voglia di pensare. Né in quel momento né mai. Vorrebbe darsi una botta in testa, lo sta effettivamente per fare con il palmo della mano, se non sentisse dei passi arrestarsi al di là della porta, suggerendogli che è il momento del giro mattutino. In un'oscillazione quasi bipolare del suo umore, è un sorrisetto quello che allora si profila sulle labbra, al pensiero di vedere un volto conosciuto ora che sta decisamente meglio. «Buongiorno, signor Gray.» Inclina la testa di lato, Sam, leggermente confuso nel sentirsi appellare con un cognome talmente anonimo da non poterlo riconoscere come proprio nemmeno in un'altra vita. «Sono l'Infermiera Weasley. Come si sente oggi?» Non ha bisogno di sporgersi quindi oltre il divisorio che solitamente gli oscura la visuale su chi entra nella stanza, è Victoire a confermargli la sua identità e quella visita a sorpresa più che sorprenderlo, gli fa inaspettatamente allargare il sorriso sulle labbra. Perciò è con quella faccia da schiaffi, che la genetica gli ha donato, che aspetta che la biondina alzi il proprio sguardo cristallino per fissarlo. «Lei non è il signor Gray.» Il sopracciglio destro si arcua leggermente per il divertimento di quell'incontro casuale e per l'espressione che prende ad aprirsi sul volto della Weasley. Un volto che conosce bene e che ha sempre mal sopportato nelle svariate occasioni che, nel tempo, hanno portato la famiglia Scamander e quella dei Weasley a godere della compagnia l'una dell'altra, costringendo tutti a partecipare a forza alle festività festeggiate insieme, alle serate giochi, ai compleanni. « Però Watson, che occhio. » Deduzione luminare. Commenta con quella punta di sarcasmo che non ha alcuna intenzione di smussare. « Spero vivamente non sia tutta questa perspicacia ad averti fatto assumere. » Dopo giorni di
    sonno forzato dai medicinali e dalla magia, ha evidente bisogno di riacquistare i propri spazi, il proprio rumore in quel suo parlare a macchinetta che l'ha sempre contraddistinto. Con Victoire e quel suo palo in culo che gliel'ha fatta sempre apparire come un'eterna principessina dalla puzza sotto il naso - e anche una perenne sottona di Ted Lupin, stando alle chiacchiere riportatigli dalle cugine -, di certo il divertimento è doppio, potendo parlare finalmente con qualcuno da una parte ma anche punzecchiarlo allo stesso tempo, solo per il semplice sollazzo di un povero malato allettato a cui tutto è permesso. « Quindi abbiamo appurato che non sono il signor Gray. » Prende a dire, cercando di trovare una posizione più comoda tra le lenzuola che cominciano a dargli fastidio per l'estrema ruvidità che presentano. Uno già sta male no, dategli pure la biancheria che pizzica e prude di continuo, e allora sarà quasi un favore andare dritto dritto al camposanto. « Prossimo passo? Andiamo a cercare il signor Gray per accettarci che non sia bello che freddato nel frattempo che tu preferivi passare un po' di tempo con me? » La fissa dritto negli occhi, l'unica vera azione che gli è permesso davvero fare nelle sue condizioni, sul volto quel suo fare beffardo che induce il suo interlocutore, ne è molto cosciente, a desiderare di dargli le peggio sprangate sui denti. « Confido veramente non stia già con un piede nella fossa, sarebbe terribile averlo sulla coscienza. » Prosegue, certo di poter riuscire a farle saltare i nervi nel giro di qualche altra battuta, scomoda abbastanza da far crollare quel perfetto castello che si è costruita intorno. « Ti trovo bene, comunque. » Vira un po' la rotta, il sorrisino sarcastico che assume pieghe più sardoniche, più soffici. « In effetti l'ultima volta - quanti erano? Quattro o cinque anni fa? - » si picchietta il mento con l'indice nel ricordare i festeggiamenti per i settant'anni del signor Weasley «- ti ho fatto talmente tanto il culo a Risiko che non stavi troppo bene con tutto quel fumo che ti usciva dalle orecchie, già. »
     
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    Lasciò scorrere lo sguardo avido di informazioni sul gesso che celava buona parte della gamba del paziente. Le dita, ancora avvolte intorno al profilo della cartelletta, presero a tamburellare su di essa, le labbra che si arricciarono in una smorfia contrariata nel riconoscere nei lineamenti di quello che non era certamente il signor Gray, uno dei suoi peggiori incubi durante le riunioni di famiglia.
    Adorava sua "zia" Luna, per quanto stramba apparisse, ma il fatto che si fosse imparentata con quegli Scamander gliela rendeva a tratti indigesta. La prole, dopotutto, era difficilmente tollerabile: sembrava avesse ereditato il peggio di entrambi i rami, e la biondina ne aveva un chiaro esemplare davanti.
    «Considerando che mi occuperò di te, lo spero vivamente anch'io.»
    Era un peccato, si ritrovò a pensare, che il bruno fosse stato ricoverato nel reparto dei traumi piuttosto superficiali.
    Vide Samuel Scamander inarcare un sopracciglio e di rimando lei fece lo stesso, quasi rispecchiando con particolare dovizia lo scontento di ritrovarsi in quella circostanza insieme, come non capitava da anni. Essere offesa da lui non era certo una novità, nel tempo vi aveva addirittura fatto l'abitudine, ma che non le rodesse il fegato assimilare ogni sua più vaga insinuazione su di lei le risultava praticamente impossibile.
    Da quanti anni non si vedevano? Victoire fece roteare gli occhi, le labbra a sfiatare un lamento ben poco professionale. «Non saprei. Ma di certo non sono mai abbastanza.»
    Rimase in silenzio mentre si guardava attorno: le era stata consegnata la cartelletta sbagliata, ma con ogni probabilità era Henry ad avere quella di Samuel. Andare a cercarlo le pareva un'ottima idea. Tuttavia, era evidente che il ragazzo avesse intenzione di chiacchierare, o meglio, di esibirsi in un monologo tale che fece dapprima sbuffare la bionda, poi distendere le labbra in un sorriso teso e volgere lo sguardo attraversato da lampi di pura irritazione sul suo volto.
    Era davvero insopportabile.
    «Hai finito?»
    Se qualcuno avesse indagato sul motivo che li aveva visti detestarsi vicendevolmente da quando ne avevano memoria, probabilmente non avrebbe trovato alcuna valida risposta. Si trattava di una di quelle antipatie cosiddette a pelle, quelle che portano i diretti interessati a ignorarsi per anni, prima di ritrovarsi in circostanze indesiderate che li obbligano a respirare la medesima aria.
    Che spreco.
    Sfilò la bacchetta dal camice, Victoire, e con estrema fatica evocò il proprio Patronus - in quel momento i ricordi felici scarseggiavano. Il Camoscio alpino era piuttosto specifico per un'entità eterea come quella del famiglio incorporeo su cui i maghi potevano fare affidamento, ed era proprio la sua natura a rendere ancora una volta palesi le origini della mezzo-francese.«Dilemma: devo occuparmi del signor Gray o del famoso giocatore di Quidditch che non sa neppure stare a cavallo di una scopa, alias Samuel Scamander?» La creatura colse il messaggio e si indirizzò verso Henry, l'unico che aveva la potestà di consentirle di uscire da quella stanza. Corrugando la fronte, le fu inevitabile riflettere sull'eventualità che Maryanne stesse scappando proprio da lui e non dal signor Gray.
    Se cosi fosse stato, come avrebbe potuto biasimarla?
    «Noto che la caduta non ha coinvolto parti del corpo più vitali.» Ripose la bacchetta nella tasca interna del camice, abbandonò finalmente la cartelletta - nel tentativo di ignorare le insensate chiacchiere di Samuel, ne aveva appreso ogni dettaglio praticamente a memoria - e si diresse verso il comodino del mal capitato. Era brava a occuparsi dei suoi pazienti, Victoire, era anche insolitamente gentile e ben disposta con loro.
    Era un peccato che lo Scamander non rientrasse tra le sue preferenze.
    Gli versò un bicchiere d'acqua facendo apparire una caraffa, poggiò entrambi sul comodino e si assicurò che tutto fosse al proprio posto. Si prese addirittura la briga di sistemare le lenzuola agli angoli del materasso e di sfilare un altro cuscino dall'armadio di fronte per sprimacciarlo a dovere.
    «Ti avrebbe fatto bene un trauma cranico.» Gli si avvicinò con noncuranza, tentando con tutte le proprie forze di non far prevalere quella sadica parte di sé che non riusciva a darsi pace per la dannata partita a Risiko a cui nonno Arthur anni prima l'aveva costretta.
    Assottigliò le labbra in una linea tesa, prima di infilare con estrema testardaggine quel cuscino sotto la gamba ingessata del bruno. «Insomma, peggiorare sarebbe stato difficile.»
    Poi, come se ce ne fosse bisogno, si appropriò del telecomando che regolava l'inclinazione dello schienale della branda. Questo iniziò a sollevarsi fino a raggiungere un'angolazione tutt'altro che comoda per chi era limitato nei movimenti da un gesso che ricopriva buona parte della propria gamba.
    «Meglio? Forse non ti arriva abbastanza sangue al cervello?»
    Quanto meno aveva assunto una posizione corretta.
    «Ma anche in tal caso, cosa vuoi che cambi?»

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    «Hai finito?» Lo sguardo con cui la fulmina Samuel parla da sé, vi sono effettivi strati di divertimento, legati tra di loro da un forte spago di sarcasmo. « In realtà no, grazie per avermelo chiesto. Perlomeno l'educazione di quella santa donna di Fleur Delacour è rimasta lì, da qualche parte. Ricordami di complimentarmi con lei al prossimo compleanno di famiglia, ne sarà sicuramente orgogliosa. » Si stringe nelle spalle, tutto compiaciuto da quel suo essere sempre rinomatamente sul pezzo quando si tratta di rispondere di getto con quella leggera vena di ironia di cui si è sempre fatto molto forte, arma a senso unico dietro la quale si è barricato . Non si può dire che non sia simpatico, nonostante quel muso lungo con cui pensi veramente di innervosirmi. E sta per aggiungere altro, pronto a riempire nuovamente quel silenzio in cui è ben deciso a non ricadere, mai più, quando lei tira fuori la bacchetta. Oh, e io non so dove sia la mia. Sotto il cuscino no, sul comodino..neanche. Bene, non posso muovermi neanche troppo in fretta, magico. A cosa vogliamo giocare, biondina? Al gatto e al topo indifeso? Ci rimane quasi male quando evoca semplicemente il suo Patronus, senza torcergli un capello e quel sadico pensiero lo stranisce a tal punto da annotarselo mentalmente, convinto di doverne parlare con Daffy, per avere una sua spiegazione più razionale a riguardo. Ultimamente, infatti, è un pattern che tende a tornare, quello in cui lui si ritrova a fare cose solo per il gusto di andare oltre, di spingersi al di là, fregandosene fin troppo dell'eventuale pericolo che sbircia da dietro l'angolo. « Che animaletto simpatico, com'è che non viaggiate sulla stessa lunghezza d'onda voi due? Strano. » Apre la bocca e gli dà letteralmente fiato solo per il gusto di farlo, e d'indispettirla al tempo stesso. «Dilemma: devo occuparmi del signor Gray o del famoso giocatore di Quidditch che non sa neppure stare a cavallo di una scopa, alias Samuel Scamander?» Un leggero scatto laterale del capo rende evidente la sorpresa che quel discorso gli suscita ma non aggiunge niente, sul momento, se non uno sbuffo divertito di fronte allo sforzo che la anglo-francese impiega nel rispondere con altrettanta ironia alle sue stilettate. "Che non sa neppure stare a cavallo di una scopa", pff, principiante. E non c'è bisogno d'aggiungere a quali e quanti altri scenari stia pensando associati allo stare a cavallo. «Noto che la caduta non ha coinvolto parti del corpo più vitali.» Ne fissa i movimenti, ora in uno strano stralcio di silenzio innaturale quando si tratta di lui. Forse perché sta aspettando la battuta sul suo cervello che è certo sta per arrivare o più semplicemente perché osservarla nel suo habitat naturale ha inaspettatamente del fascino ai suoi occhi. Victoire, ormai si è capito, non rientra nella sua personale top 10 di persone preferite, con cui sa di poter passare del buon tempo di qualità. Eppure ha sempre conosciuto quel lato da principessina sempre troppo concentrata a puntare il proprio naso verso il cielo, per far notare quella specifica forma dalla punta all'insù, piuttosto che quella sfumatura che la vede ora immersa nel lavoro che giornalmente svolge. Così si ritrova a sorprendersi della cura che impiega nel fargli trovare tutto pronto, bicchiere e caraffa compresi, comodi entrambe da poter essere raggiunti allungando un braccio verso il comodino. Così come scopre della delicatezza in quel suo sistemargli le lenzuola, mentre lui se ne sta lì, affondato nel materasso, un po' dolorante, certo, ma sentendosi al tempo stesso un maharaja. «Ti avrebbe fatto bene un trauma cranico.» Oh ma guarda, chi si sarebbe mai aspettato di arrivare a questo. Le labbra strette in un'espressione abbastanza eloquente, che lo ritrae sotto la luce di quel suo non sentirsi minimamente scalfito dalla sua poca originalità. Poi però lei si avvicina con un cuscino, riuscendo nuovamente a stuzzicare la parte più oscura di lui. Dove vogliamo andare a parare ora? « Mi vuoi soffocare, petite étoile? » Il sopracciglio destro sciabola leggermente nel renderle chiaro quanto possa essere fluente anche nella sua seconda lingua. Perché Sam può essere stato uno degli studenti più capra che abbiano mai frequentato Dumstrang e Hogwarts, ma il lavoro, dapprima viandante, di suo padre e la sua spiccata propensione all'assorbire con estrema facilità gli idiomi a lui sconosciuti, l'hanno reso un effettivo poliglotta. « A parte rimarcare l'ovvietà del trovare soluzioni più piacevoli per farlo, mi sento di doverti esortare a desistere. L'arancione di Azkaban non ti donerebbe proprio. » Non è nella tua palette armocosa, come direbbe Clarisse. «Insomma, peggiorare sarebbe stato difficile.» Si ritrova a socchiudere gli occhi per non sforzarsi nel rotearli verso il soffitto mentre lei gli sistema il cuscino sotto il ginocchio. Dopo qualche istante di fin troppo silenzio, spalanca le palpebre e la inchioda con le iridi grigie. « Ah, finisce così la battuta? Stavo aspettando la dissacrante chiusa per ridere. Scusa, ah ah ah. » Butta fuori tre risate forzatamente per poi dispiegare gli angoli delle labbra in un sorrisetto. Questo prima che lei prenda ad alzare l'inclinazione del letto, e, centimetro dopo centimetro, la pelle del volto del battitore si fa sempre più pallida. «Meglio? Forse non ti arriva abbastanza sangue al cervello?» Brutta stronza. «Ma anche in tal caso, cosa vuoi che cambi?» La fissa mentre i suoi lineamenti si accartocciano, eppure non parla, testardo come un mulo. Non accenna ad aprire bocca mentre continua ad osservarla, le narici che si dilatano visibilmente nel sentire il bordo del gesso finto conficcarglisi nell'inguine. La belva si dimena nel suo petto, richiedendo la completa attenzione di Sam. Il cambio d'espressione si fa evidente, un guizzo negli occhi, veloce come il vento, e la mano destra si blocca sopra quella di lui, le dita che lentamente le si chiudono in una morsa poco delicata intorno al polso. « Sei proprio una simpatica stronzetta, non è così? » Te lo concedo, contenta? Tira le labbra in un sorriso che ha tutto fuorché della verità in esso, mentre stringe la presa su di
    lei. « Ora però mi rimetti in una posizione in cui mi sarà più semplice, per il tuo bene, non chiamare il tuo Altissimo, da cui aspetti con tanta ansia di avere il permesso per andartene. » Gli occhi, ora torbidi, sembrano essersi svuotati di qualsiasi luce, di qualsiasi tipo di calore abbiano mai avuto fino a quel momento nei confronti della Weasley. Non è infatti più divertente, non quando sente la gamba a riempirsi di formicolii indesiderati, cominciando a non sentire più la punta delle dita dei piedi. « Ora. » Un verso basso, simile ad un ringhio, esce dal più remoto e intimo anfratto del suo petto, li dove si trova annidata l'essenza del lupo che convive in lui e con lui. Non aspetta veramente che sia lei a mettere fine al suo strazio perché le dita si intrufolano tra quelle di lei, andandosi ad appropriare del telecomando per toccare il bottone che lo riporta con le gambe su un piano orizzontale. Torna a respirare, smuovendo le dita dei piedi quel tanto che gli serve per assicurarsi sia tornata la circolazione. « Te lo do io il permesso, puoi andare. » Scandisce ogni parola con estrema lentezza, rialzando solo in un secondo momento lo sguardo in quello di lei. Il colore sembra essere tornato a stuzzicargli le iridi seppur siano ancora piuttosto fredde. « Tanto che ci sei, potresti cercare..-» rimane a bocca aperta per qualche istante, colpito dalla consapevolezza di non sapere il nome della guaritrice che l'ha aiutato a non morire «-..ha gli occhi azzurri, tanto azzurri, ed decisamente più simpatica di te, quindi non dovresti far fatica a riconoscerla. » Sospira nell'alzare le spalle, mentre si accomoda meglio in mezzo al letto, ricercando una posizione che non gli faccia venire ancora più prurito. « E io che volevo aiutarti con il signor Gray, per fare due passi che non mi farebbero poi tanto male e magari andare anche a cercare qualcosa da mangiare in mensa insieme. Pensa tu che scemo. » Perché tu neanche il budino mi hai portato, che guaritrice sei? Tsk.
     
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    Lo detestava.
    Victoire Weasley non era certo nota per l'affabilità in cui invece si rispecchiava Dominique ed era raro che qualcuno le piacesse, ancor più raro cogliere il sorriso sincero che le curvava gli angoli della bocca verso l'alto e finiva per illuminarle lo sguardo. Non era facile avere a che fare con lei, e di solito questa sua sfaccettatura scoraggiava chiunque ad avvicinarlesi, una conseguenza che, per quanto fingesse di apprezzare, l'aveva condotta a ritirarsi in una sorta di silenzio emotivo che negli anni aveva iniziato a pesare.
    Non era sempre stata così: aveva una famiglia che amava e da cui era addirittura venerata, cugini con cui era cresciuta, ricordi di un'infanzia felice. Era bella, talmente avvenente da essere notata da chiunque e Teddy era stato colui che l'aveva avuta, che era stato amato da lei in ogni modo possibile e con un'intensità tale da sconvolgerla. Ma dopo quanto accaduto solo pochi mesi prima, tutto era cambiato. Samuel Phillips Scamander era amico del Lupin e, a prescindere da tutto il resto, questo era un motivo sufficiente a detestarlo.
    «Sei noioso.» Gli disse roteando gli occhi. «E meno crudele di quanto ricordassi.» In battute ormai insapore.
    Ebbe persino da ridire sul Patronus e Victoire si ritrovò a guardarlo con esasperazione. «E questo cosa vorrebbe dire?» Domandò irritata. «Ti rendi conto di essere polemico, sì?» Sollevò un sopracciglio corrucciando la fronte e sospirando, mentre tentava di svolgere - in maniera nient'affatto convinta - il proprio lavoro.
    All'improvviso, però, riuscì a dare voce a quella domanda che, sin dal momento in cui l'altro aveva iniziato a parlarle, aveva torturato la sua mente.
    «Cos'è, ti ha detto lui di esasperarmi?» Non poteva essere vero. Dopo aver scoperto del tradimento di Teddy, Victoire aveva dovuto ricomporre la propria vita: distrutta, aveva raccolto i propri frammenti per non perire sotto la sofferenza a cui il ragazzo l'aveva condotta. Aveva tentato di recuperare in ogni modo, lui, professando un amore che era stato gettato alle ortiche e che la bionda si rifiutava di perseguire.
    Che Samuel volesse torturarla era un pensiero eccessivo, ma non poté farne a meno.
    Povero, povero Scamander.
    Di fronte alla sua proposta, nel vederla maneggiare i cuscini, Victoire sorrise e batté le palpebre rapidamente, le lunghe ciglia che sfarfallavano. «Non tentarmi.»
    Non aveva idea di ciò che la mente di Samuel stesse elaborando in quel preciso istante né che vederla in quell'ambiente - per lui estraneo e forse spiacevole, per lei un luogo sicuro in cui esprimersi liberamente - potesse stordirlo tanto da ritenere possibile trovarsi di fronte a una persona completamente diversa rispetto a quella che conosceva. Victoire, al contrario, sapeva perfettamente chi aveva davanti, e l'utilizzo del francese da parte sua non la colse affatto impreparata: aveva sentito parlare delle sue abili doti linguistiche, per quanto i chiacchiericci al riguardo potessero essere adattati a diversi ambiti della vita.
    Si ritrovò a inarcare ancora una volta il sopracciglio, la bionda, di fronte alla sfrontata insistenza del ragazzo: se la sua intenzione era quella di logorarla a forza di battute e prese in giro, ci stava riuscendo alla perfezione. Tuttavia il karma le restituì ciò che era suo di diritto, e fu lei a trattenere una risata, quando il lettino iniziò a sollevarsi un po' troppo e il pallore ricoprì il volto di Samuel. Sì, stava esagerando nell'utilizzare a proprio vantaggio il ruolo che ricopriva in quell'ospedale, e forse avrebbe dovuto smettere.
    Lo avrebbe fatto.
    A distanza di una manciata di secondi.
    «Beh» fece spallucce «non tutti capiscono il mio umorismo. Ma sono contenta che almeno tu apprezzi.» Non riuscì a togliersi quel sorriso strafottente dalle labbra, almeno fino a quando la mano dell'altro non si avvolse intorno al suo polso. Il sopracciglio destro scattò verso l'alto e lo sguardo si fece glaciale: detestava essere toccata, soprattutto da una morsa implacabile come quella che Samuel le impose. Si accorse ben presto di aver commesso un errore di valutazione: quel gesso avrebbe finito per creargli qualche problema all'inguine e lungi da lei privarlo di una simile... risorsa. Tuttavia, sebbene avesse intenzione di sbuffare e iniziare a distendere il lettino, rendendosi conto di quanto poco fosse durato il suo primo abuso di potere che andasse al di là dell'ottenere qualche budino al cioccolato in più per i suoi pazienti, il bruno fu più veloce nel risolvere personalmente il problema, mentre la strega abbandonava tra le sue dita il telecomando e faceva due passi indietro.
    «Una vera delusione.» Sul suo volto non vi era più alcuna traccia della giovialità o del divertimento di poco prima. Per lui solo una cruda realtà che avrebbe potuto o meno condividere, non le importava. «Passare alle minacce quando le cose non vanno più nel verso giusto.»
    Lo guardò senza ritenere necessario ottenere una risposta da parte sua, mentre incrociava le braccia al petto in segno di totale rifiuto di giocare ancora con lui. Permalosa, la Weasley, ma era evidente che quello che l'altro aveva iniziato non era affatto un gioco equo. Poco importava se lui si era limitato alle parole e lei aveva osato varcare i limiti del dolore fisico.
    Sbuffò aria dalle narici, un drago impaziente di incenerire qualunque cosa si fosse palesata sul proprio cammino, e quando le fu concesso di andare via, raggiunse il punto di non ritorno. Si avviò verso la porta sfilandosi il camice e senza rivolgergli neppure uno sguardo, convincendosi che non meritasse più attenzione di quanta gliene aveva già concessa. «Trovatela da solo, Sam.» Quell'infermiera tanto simpatica e dagli occhi blu. Ne era rimasto talmente impressionato da non ricordare neppure il suo nome. «Il mio turno è finito.»
    Lo sentì blaterare sul fare due passi, mangiare insieme e una serie di altre cose, ma la sua mente si soffermò sul solo dettaglio che sembrava avere senso e valere qualcosa.
    Uno scemo. Era davvero uno scemo. E ben altro.
    Si fermò solo per prendersi una piccola, minuscola soddisfazione e abbeverare quel poco che era rimasto del senso di rivalsa che un attimo prima l'aveva esaltata. «Almeno su una cosa siamo d'accordo. Salutami il tuo amico.»
    Fece per lasciarselo alle spalle, rendendosi sempre più conto di cosa non fosse andato nel verso giusto: quel ragazzo era borioso e fastidioso, in qualità di uno dei più cari amici di Teddy, probabilmente al corrente del suo tradimento e, nonostante tutto - l'odio, l'antipatia o qualunque altra cosa lo legasse a lei - aveva lasciato che venisse presa in giro. Ma soprattutto, Samuel Phillip Scamander le aveva fatto commettere l'errore più imperdonabile: venire meno a quel giuramento che si era imposta di rispettare, peccando nell'unico posto in cui si sentiva capace di coltivare qualcosa di buono.

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