Facis de necessitate virtutem

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    Indira Blackthornthere's always light after the dark

    Darkness Fae
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    Era risaputo che le persone ordinarie preferissero le vacanze al lavoro, che per quanto vi fossero dedite faticavano ad apprezzarlo fin nel profondo pur dedicandovi anima e corpo per mera necessità. C'era chi affermava di amarlo, in un certo qual senso, ma c'era da domandarsi se, esigenza a parte, avrebbe continuato a spendersi tanto per l'occupazione che ci si era scelti o che era semplicemente capitata.
    Per Indira le cose erano diverse: nel bene o nel male, lei non era una persona ordinaria. Quella che la gente considerava una mancanza, per la strega era divenuto un nuovo modo di guardare al mondo, di sentirlo, di percepirlo, di viverlo in una maniera completamente atipica e a tratti estremamente soddisfacente. Naturalmente se avesse potuto tornare indietro avrebbe fatto le cose in maniera diversa; se le fosse stata data una possibilità, avrebbe scelto di riavere i propri occhi senza pensarvi due volte, ma nell'impossibilità di riavere ciò che la magia le aveva tolto, aveva imparato ad accettare il proprio fato con tutte le sue conseguenze.
    Come si suol dire: facis de necessitate virtutem.
    Avrebbe potuto trascorrere la propria esistenza crogiolandosi nel lusso e nello sfarzo che la sua famiglia le avrebbe sempre concesso, vivendo nella bambagia e limitandosi a tollerare una vita che non si era scelta. Invece aveva scelto di fare tante altre cose, Indira, prima fra tutte trovarsi un lavoro nell'ambito che più le interessava: la Magia Oscura.
    Amava il suo essere fata, trovava addirittura poetico riuscire a spegnere il mondo per renderlo esattamente come lei lo vedeva, ma aveva sempre rimpianto di non possedere quella magia più articolata e meno selettiva tipica dei maghi e delle streghe, motivo per cui aveva iniziato a interessarsene in maniera del tutto autonoma, per pura passione personale.
    E non era finita qui: non capitava di rado che si recasse nella riserva scozzese dei Neri delle Ebridi, senza alcun dubbio i draghi che più di qualunque altro la affascinavano da che ne avesse memoria. Era solita assistere la schiusa delle uova, prendersi cura di quei cuccioli privati delle madri dai bracconieri fin dai primi giorni, per poi consentire loro di approcciarsi al mondo esterno.
    Aveva da sempre avuto una particolare affinità con le creature, Indira, ma la sua passione si era ormai insinuata nel cuore della creatura più maestosa e potente che avesse mai solcato i cieli.
    Non aveva mai visto un drago, mai, non dal vivo. Persino quando ancora avrebbe potuto, le era stato vietato: non avrebbe lavorato nelle riserve, era fuori discussione, non sarebbe stato consono al suo status. Perdere la vista l'aveva privata di molte cose, consentendole però di guadagnarne altre: suo padre l'avrebbe accontentata in tutto e per tutto, soprattutto quando si rese conto che fu proprio un Opaleye a condurre la figlia ad accettare la propria condizione e imparare a conviverci.
    Ma questa è un'altra storia.
    Non capitava di rado che la si vedesse camminare per le strade ei villaggi magici, che si trattasse di Hogsmeade o della - a lei - più nota Tulsk. Le piaceva assaporare quell'aria, l'odore di spezie le stuzzicava i sensi e il vociare più o meno sommesso dei passanti riempiva i noiosi momenti di quiete a cui di tanto in tanto si costringeva. Indossava una tunica scura sotto il mantello pesante, ché il suo corpo non aveva ancora accettato l'idea dell'approcciarsi alla fittizia primavera tipica di quell'angolo di mondo. Con Diaval a indicarle la via e il bastone ad aiutarla a non incespicare nei propri passi, Indira era solita passeggiare con le palpebre spalancate su occhi che parevano animati dall'argento fuso: se si osservava con attenzione, si poteva scorgere qualcosa muoversi nei meandri di quelle iridi falsate dalla magia che l'aveva privata della vista, una patina che celava l'ossidiana con cui era nata.
    Il gracchiare del corvo provenne da destra, un richiamo che la costrinse a deviare di poco la propria traiettoria per evitare una famiglia, da quel che riusciva a sentire: la risata estasiata di un bambino era stata accompagnata dal brusio irritato di un padre e quello appena più isterico di una madre, entrambi evidentemente esasperati. Gli angoli delle sue labbra si curvarono verso l'alto e, quando il bastone rivelò la presenza di qualcosa che le sbarrava la strada, il corvo scese in picchiata per posarsi, delicato come il più tenero degli amanti, sul polso sinistro della fata appositamente sollevato. Un balzo lieve per poi appollaiarsi sulla sua spalla e una carezza delle dita proprio sotto il becco.
    «Mi dispiace.» Si rivolse a chiunque avesse davanti, evidentemente in fila di fronte al negozio verso cui era diretta. «Temo di averla inavvertitamente colpita.»
    Un sorriso a rendere più convincenti scuse piuttosto inutili, il capo che si inclinava appena sulla destra ed entrambe le mani ad avvolgersi delicatamente intorno al bastone.

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    Edited by Indira - 22/4/2024, 14:01
     
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    « Posso aiutarti? » Impacchettato in un aspetto non suo, in quel periodo del mese più del solito, il Plasmaforme si voltò verso la commessa. Si trovavano entrambi dinnanzi ad una distesa di viola e di blu, che Taz -che era in realtà Margo, in quel triste momento- stentava ancora a denominare come.. « Che tipo di assorbenti usi di solito? Ti aiuto a cercarli. » NESSUNO. Non uso nessun cazzo di assorbente PERCHE' NON DOVREI NEMMENO AVERCELO IL CICLO. GIANO DI MERDA. QUESTO NON C'ERA SCRITTO NEL CONTRATTO DEL BUON PLASMAFORME. « Signorina? » « E SI' UN ATTIMO STO PENSANDO! » La commessa sobbalzò, e tanto bastò a colorare il visetto della biondina di un'espressione rammaricata. Cavolo, da quando era diventato così suscettibile? AH GIA'. CICLO DI MERDA. « ..Scusa. E' stata una giornata veramente.. » ORRIBILE! TERRIFICANTE! DOLOROSA! SANGUINOSA! « ..Strana. Ma tu non c'entri. » QUESTE OVAIE DI MERDA INVECE SI'. « Ma vorrei provare qualcosa di..nuovo. » Oh non sai quanto nuovo. « E comodo. Cosa mi consigli? » Si mordicchiò il labbro inferiore, visibilmente a disagio. Era così piccola, Margo, con quel suo faccino innocente ed i dentini leggermente sporgenti, che avrebbe fatto tenerezza a chiunque. Ed in effetti così avvenne anche con la giovane commessa, che in un sorriso bonario, si allungò per agguantare un pacchetto blu in cima -lei non ci sarebbe mai arrivata, dal canto suo. Diamine avrebbe dovuto pensarsi più alta. Era un mondo dannatamente difficile, per i nani!- porgendoglielo in fine. « Prova questi. Comodi, igienici. Io li uso e - » [...] « - mi dimentico sempre di averceli addosso.. » Infilata nel minuscolo bagno del negozio, Margo si ripetè mentalmente le parole della ragazza. Aveva deciso di fidarsi, comprando dieci pacchi di quei cosi, ed optando di provare a metterne uno seduta stante. In fondo se eran così comodi da dimenticare persino di averceli addosso... « Aspetta questo va - DOVE? » Il problema, tuttavia, sarebbero state quelle fantomatiche istruzioni. Con tanto di disegnini, il foglietto ripiegato in quattro spiegava come indossare quegli aggeggi infernali. E quel come, avrebbe presto scoperto -Taz- non era proprio ciò che più desiderava. Mordicchiandosi nervosamente l'interno della guancia sinistra, dunque, valutò. In fondo non è così grosso, il tubicino... - Avrebbe potuto farlo, un tentativo, no? Annuì. Sì. Margo era una ragazza coraggiosa. Ci avrebbe provato e ci sarebbe riuscita! Ed aveva già preso ad abbassarsi le mutandine quando..- « No, cazzo, questo è troppo. » - la sua reale voce fuoriuscì dal microscopico corpicino della biondina. Vabene il ciclo. Vabene i mastini a mordermi le ovaie. Ma qualcosa dentro la mia meravigliosa farfallina non ce la metto. EH NO. La soluzione, a quel punto, sarebbe stata una ed una soltanto.

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    Portava spesso con sè, dei vestiti di ricambio, il Plasmaforme. D'altra parte cambiare aspetto e ritrovarsi ancora nei panni di una ragazzetta di appena un metro e cinquanta sarebbe stata impresa assai compromettente. Oltre che opprimente, nel vero senso della parola. Per questo motivo, cappuccio della felpa alzato sul viso, dal bagno dove la giovane fatina era entrata trotterellando, sarebbe presto uscito un uomo grande e grosso. Molto grande. Molto grosso. Ah, cazzo, era così bello avere il pene. Doveva ricordarsi di essere ancora più comprensivo, con le sue amiche, in quel periodo del mese. Sì, se ne sarebbe sicuramente ricordato, ma adesso doveva solo pensare ad uscire di lì senza farsi beccare da nessuno. Ed in effetti ci riuscì, ad uscire, ma quando fu fuori non si accorse della minuta figura contro la quale sarebbe inevitabilmente andato a collidere. Un colpetto di bastone, fortunatamente, unito alla presenza di quel curioso animaletto, consentirono alla giovane Fata di non venire irrimediabilmente travolta da quel gigante. Un piccolo balzetto verso dietro, mentre mormorava un distratto « Oh » « Mi dispiace. » E la consapevolezza, nel sentirla parlare, di essersi probabilmente cacciato nell'ennesimo guaio. « Temo di averla inavvertitamente colpita. » Indossava infatti la sua reale faccia, quell'Uomo Senza Volto che avrebbe dovuto essere, Taz, e si sarebbe rivelato un grosso problema, non fosse stato per.. Un particolare. Lo sguardo di lei. Argento puro. Esitò un solo attimo, mentre il mare dei propri, di occhi, viaggiava dal bellissimo viso della giovane, al bastone, e poi al corvo. Era..-cieca? « Non preoccuparti.. » Si piegò in avanti, particolarmente vicino al di lei volto, come per saggiarne i riflessi. Mh. « Ero io, a stare nel mezzo. Andavi da qualche parte? » Come ci si comportava, in questi casi? Non voleva offenderla con un'apprensione non richiesta, dovuta alla sua invalidante mancanza. Ma, al tempo stesso, quel gigante era dotato di un cuore così buono, che si sarebbe sentito in colpa a mandarla via, da sola, a quell'ora e tra le strade di Tulsk. E si sbagliava, si sbagliava di grosso circa la presunta vulnerabilità della Fata, ma questo non poteva saperlo. Non ancora. « Ti ci posso accompagnare, se hai bisogno. Chiedilo al tuo corvo: ho una faccia un saaaaaacco raccomandabile. » Sì? Sotto alcuni punti di vista sì, dai.
     
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    L'uomo che aveva di fronte non era un ragazzino, ma neppure eccessivamente avanti con l'età. Inoltre, dato il punto dal quale proveniva la voce, Indira suppose fosse piuttosto alto, quel che bastava per lo meno per sovrastarla.
    Di fronte alle sue scuse e alla confidenza che si prese, la Fata sorrise e inclinò leggermente il capo di lato, entrambe le mani a sostenere il bastone. «E' naturale sostare in mezzo a una strada, no?» Non amava le scuse scagliate come lame cocenti, segnali evidenti di un disagio che l'interlocutore inevitabilmente provava nel ritrovarsi davanti qualcuno che non rientrava nello standard definito tale dall'ordinario. Indira sapeva di essere diversa e lo era sotto numerosi aspetti, ma non se ne faceva più un cruccio da diverso tempo. «Non scusarti per qualcosa di cui non hai colpa.» Continuava a sorridere e lo fece persino quando l'uomo le offrì un aiuto di cui non avrebbe avuto affatto bisogno. Diaval non poteva esprimersi come avrebbe voluto, ma alla Fata sembrò quasi di sentirlo sbuffare e si morse l'interno guancia per evitare di ridere. Sarebbe stato scortese e inappropriato, e, di fronte alla gentilezza mostrata dall'altro, a dir poco scorretto.
    «Saresti davvero così gentile?» Domandò con ingenuità, mentre allungava la mano sinistra affinché l'altro le offrisse un braccio a cui agganciarla. Sentiva qualcosa in lui, percepiva un'aurea familiare quasi il suo sangue richiamasse il proprio. Ne carpì il profumo con un olfatto capace di cogliere ogni dettaglio intorno a lei: dall'odore dell'acqua alla scia delle foglie che l'avevano accompagnata fino a quell'istante, per poi tentare di lasciar da parte l'odore acre del fango e per finire il sentore di casa rilasciato da Diaval e dai propri indumenti.
    Accolse dunque l'invito dell'altro seguendone i passi, lasciando tuttavia che il corvo sorvolasse su di loro, garantendosi così una visuale tale da tener d'occhio la sua padrona e amica. «Ho sentito dire che esiste un negozio di animali nelle vicinanze. Ti risulta?» Amava gli animali, Indira, ma non si poteva certo dire lo stesso di quegli avidi negozianti che su di loro guadagnavano galeoni su galeoni. Avrebbe speso tutti i suoi averi per liberarli, tuttavia era consapevole di non poterlo fare per differenti motivi, il primo fra tutti risiedeva nella gelosia a tratti ossessiva che Diaval nutriva nei suoi confronti. Un aspetto che la riempiva d'orgoglio, ma che di tanto in tanto le poneva importanti limiti che difficilmente riusciva a gestire o evitare.
    «Mi servirebbe proprio una guida in effetti.» Decise di recitare il ruolo della ragazza bisognosa di aiuto, una di coloro che ritenevano soddisfacente raggirare giovani belli e disponibili per il proprio tornaconto. Era una fortuna che Indira non appartenesse a quel genere: lei era quel tipo di donna che a soli diciassette anni aveva barattato un bambino con la speranza di apprendere arti che andavano al di là della conoscenza umana. Era la Fata degli accordi e della discordia, una natura che la gradevole facciata con cui si presentava ogni giorno ad occhi altrui celava alla perfezione.
    Di fronte alla sua proposta ridacchiò. «Oh, Diaval non è affatto gentile con gli estranei.» Recepì il gracchiare del corvo e lo interpretò come una conferma. «Tuttavia il fatto che tu abbia entrambi gli occhi al loro posto è un ottimo indicatore.» La pose come una battuta, ma raramente era seria come in quell'istante. Quello era un tratto del corvo che apprezzava follemente, ma che in un paio di occasioni le aveva procurato non pochi problemi.
    Era una fortuna che riuscisse a celarsi nel buio più impenetrabile.
    «Dunque...» Lo avrebbe seguito laddove l'altro avesse messo in essere quanto proposto, stuzzicandolo con voce soave e parole taglienti che ben nascondevano le reali intenzioni della Fata. «Aiuti spesso le damigelle in difficoltà o sono io la fortunata?»
    Pronunciò quella domanda con un tono suadente, quasi volesse attrarre a sé l'uomo come facevano le sirene con i marinai o, peggio, al pari di una mantide religiosa che, ottenuto il proprio scopo velato di oscuro piacere, si liberava del proprio compagno senza alcuna remore.
    In entrambi i casi, quell'uomo avrebbe fatto meglio a non cedere alle sue lusinghe.

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