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    Nour VanserraWhat matters more is how well you walk through the fire

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    I Vanserra non erano certo noti per l'apprezzamento di inestimabili opere d'arte, ma non era insolito che le acquistassero per deliziarsi della loro presenza fra le mura delle rispettive dimore. L'apparenza, d'altro canto, rappresentava una priorità per la famiglia. Capitava di rado che Alec Vanserra portasse con sé i propri figli nei pochi pomeriggi che decideva fosse il caso di trascorrere nelle più famose gallerie d'arte del Regno Unito, ma quel pomeriggio pareva essere di buon umore, e Rolan, Midra e Nour vennero trascinati nell'Heaven Fine Art Gallery, in cui erano esposte opere d'arte magica restaurate da un filantropo e miliardario che sembrava aver fatto di questo talento una vera e propria vocazione.
    Alec di certo non lo ammirava, ma la firma di Carl Turner valeva più di qualsiasi artista contemporaneo e non appropriarsi di un suo lavoro era da considerarsi addirittura inaccettabile. Queste furono le sue esatte parole.
    Avrebbe desiderato incontrarlo, il capofamiglia, stringergli la mano per dirsi un suo grande ammiratore, ma non fu accontentato e un simile affronto lo mise di cattivo umore. Non ci fu da sorprendersi dunque nel vederlo scacciare i figli in malo modo e lasciare che si disperdessero nelle vie di Londra. Per la più indisciplinata fu un'occasione non indifferente, tanto da decidere di inoltrarsi nei vicoli del mondo che le era precluso, il quale si diceva celato da un muro di mattoni nel retro di una locanda: il Paiolo Magico. Oltrepassarne la soglia fu facile, fin troppo facile in effetti, e dopo un'attenta occhiata da parte del barista, le fu concesso con un blando cenno del capo di recarsi al di là di una porta che l'avrebbe condotta lì dove desiderava andare da tempo.
    L'odore rancido e aspro degli avanzi lasciati a marcire le procurò il voltastomaco.
    «Ci sei mai stata?» La voce dell'uomo che le aveva dato il via libera la fece trasalire. Si voltò verso di lui e lo sguardo che le rivolse prometteva minacce a cui probabilmente non era pronta. Aveva sentito dire che i maghi mal tollerassero le Fate e i Grisha, ma nella sua ignoranza riteneva che alcuni avessero una mentalità più aperta. In ogni caso se la sarebbe cavata, poco importava che riconoscessero la sua natura: avrebbe trascorso in quel mondo solo pochi, indimenticabili minuti.
    «No. In effetti no.» Ammise candidamente. «Starò attenta.» Forse avrebbe dovuto preoccuparsi, probabilmente lo fece, ma non diede alcuna soddisfazione all'uomo che, con un sospiro di resa e un colpo di bacchetta, le concesse di svelarsi lì dove non sarebbe stata bene accolta, se e quando il fuoco l'avesse svelata.
    L'ultimo sguardo che il mago le rivolse prima di rientrare sembrava voler dire "poi non venire a dirmi che non ti avevo avvertita".
    La curiosità in lei ardeva come brace in attesa di divampare e la tacita sfida dell'uomo non fece che alimentarla.

    Diagon Alley le apparve come un miraggio, il sapore di magia che aleggiava nell'aria le permise di tornare a respirare e deliziarsi dell'atmosfera così diversa, a tratti persino stravagante, che le inondò i sensi e la condusse lì dove il profumo di spezie attirò la sua attenzione. Si domandava spesso cosa si provasse a realizzare pozioni, così come solleticare la mente altrui o trasformarsi in un lupo mannaro. Non avrebbe barattato la propria natura con quella di una strega, ma che fosse attratta da qualunque cosa non conoscesse era un dato di fatto. E i suoi genitori detestavano questa sfumatura, motivo sufficiente per lei ad alimentarla in ogni occasione utile.
    Lo speziale le rivolse un sorriso non appena la vide entrare, impegnato a sistemare la merce sugli scaffali mentre un gruppo di ragazzi si apprestava a pagare. Li sentì ridere, tuttavia non vi prestò attenzione, i suoi occhi erano stati attratti da un preparato che sfrigolava in un calderone scaldato da una bassa fiamma. Come a rispondere a quel richiamo, i suoi occhi si tinsero di cremisi e le labbra si tesero in un sorriso.
    Tuttavia non si accorse che i ragazzi, fino a quel momento indifferenti alla sua presenza, scorsero quel dettaglio. «Bella cicatrice. E' un marchio di fabbrica?»
    Sollevò lo sguardo, la Figlia del Fuoco, sfiorando i lineamenti del volto di colui che aveva parlato. «Più o meno.» Si strinse nelle spalle, del tutto indifferente ormai ai commenti circa il marchio che portava con orgoglio sul viso. «Se ci tieni posso fartene una uguale. O più grande, se hai bisogno di compensare altro.» Un angolo della bocca si curvò verso l'alto e aggirò il tavolo su cui la pozione fermentava. Non aveva paura di loro, il timore che iniziò a solleticarla era rivolto a se stessa e a ciò che sarebbe stata in grado di fare laddove avesse perso il controllo.
    Il volto del ragazzo si contorse e imprecò. Fu l'amico a parlare. «Cosa ci fa qui una come te?»
    Puntò gli occhi al soffitto, evidentemente annoiata da quanto stava prendendo piede sotto gli occhi dello speziale. Era più semplice per loro semplicemente ignorare. «Una come me.» Sbuffò. «Cos'è, a noi Fate è vietato comprare spezie e ingredienti?»
    «A voi feccia sono vietate meno cose di quanto meritereste.» Gli parve doveroso correggerla. Lei reagì di conseguenza: la fiamma che scaldava il calderone si alimentò sotto il suo volere, raggiunse l'altezza del paiolo e il calore si diffuse intorno a lei come un'aurea protettiva in grado di risvegliarne l'animo rovente.
    «Ripetilo. Lo sfidò, Nour Vanserra, con un sorriso di contro gelido. «Ho proprio voglia di rendere concreta la mia offerta.»

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    Edited by Nour. - 8/4/2024, 22:58
     
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    « Esco a fare due tiri mentre la mistura finisce di cuocere, vecchio.» La voce profonda di Caleb risuona pigramente tra le pareti del negozio, attirando l'attenzione dello speziale chino sul calderone dal quale un profumo pungente risale da qualche minuto in pigre spirali, dando vita ad un aroma intenso che sembra intenzionato a raggiungere ogni angolo del piccolo locale. Quel ragazzino dall'aria sempre assonnata è ormai un cliente fisso da diversi anni, mandato puntualmente da Carl Turner in persona a ritirare i numerosi ordini che il miliardario continua a pagare profumatamente ogni mese e con il tempo il vecchio ha imparato ad apprezzare quei modi di fare sfrontati e quei sorrisini pieni di sfida che il giovane gli rivolge giorno dopo giorno, in una specie di bizzarra amicizia che li ha alla fine resi un duo piuttosto strambo, ma funzionale. Non si scambiano tante parole e solitamente Caleb passa il tempo necessario alle misture per finire di cuocere curiosando tra gli ingredienti più strani che si possano trovare tra gli scaffali, o pigramente seduto sulla panchinetta posizionata appena fuori dal locale, con una sigaretta abbandonata all'angolo delle labbra carnose e lo sguardo chino sul cellulare dallo schermo crepato per via di qualche caduta di troppo. Nonostante voglia mostrarsi infastidito da ogni cosa riguardi il mondo delle erbe, forse in un processo di ribellione nei confronti dell'uomo che ha deciso di prenderlo sotto la propria ala, è con un'attenzione che ha dell'ammirevole che si accerta che le misture siano preparate alla perfezione. Le macchie di colore che non riesce a mandar più via dai polpastrelli smascherano quanto impegno il giovane metta nell'arte del restauro, contro ogni tentativo di portare avanti la recita del ragazzino scontento ed obbligato a seguire la retta via per una mera questione economica. Lo speziale ha nel tempo iniziato a nutrire un affetto quasi paterno per quella figura così scostante e problematica, concedendogli addirittura la confidenza necessaria per muoversi nel locale come se fosse anche un po' suo. Con un gesto della mano gli fa cenno di andare pure, prima di tornare ad abbassare gli occhi sul calderone e Walsh ne approfitta per uscire velocemente dalla porticina in legno, potendo respirare un po' di aria pulita mentre già le mani guidano verso le labbra socchiuse una sigaretta recuperata dal pacchetto ormai mezzo vuoto e sgualcito. Si lascia ricadere seduto sulla panchina su cui ormai è abituato a passare diverse ore alla settimana, allungando le gambe alla ricerca di una posizione che possa considerarsi comoda e reclinando appena il capo per lasciar modo agli occhi di soffermarsi sulla porzione di cielo che spunta oltre i tetti degli edifici vecchi e costruiti gli uni a ridosso degli altri al punto da sembrare accavallarsi tra loro. Con uno sbadiglio rumoroso che non tenta in alcun modo di nascondere dietro una mano si lascia alla fine andare completamente all'ozio, lasciando modo ai muscoli asciutti di rilassarsi completamente ed alla mente di distrarsi in pensieri in grado di guidarlo lontano da quel vicolo. Ed è quasi sul punto di appisolarsi, il volto carezzato dai raggi di un sole appena tiepido, quando le urla provenienti dall'interno del locale non fanno scattare il corpo ancor prima che la mente possa formulare una qualsiasi ipotesi sul perché di un suono tanto inusuale, se collegato al negozietto solitamente tanto tranquillo. La porta si apre di scatto sotto la spinta frettolosa delle sue mani, portando all'attenzione degli occhi affusolati le figure ben conosciute di tre ragazzini che sono soliti far visita al negozio durante i pomeriggi liberi del fine settimana, tre coglioncelli sempre pronti a parlare con tono di voce troppo alto o far qualche battuta del cazzo... e sulla figura ben meno conosciuta di una giovane letteralmente avvolta dalle fiamme. « Ma che cazzo... ehy! » Mentre gli occhi si sgranano di sorpresa, del tutto impreparati a fronteggiare una scena del genere, il corpo si porta istintivamente vicino al gruppetto improvvisamente silenzioso. Le dita afferrano senza alcuna delicatezza la giacca del ragazzino più vicino dei tre, spingendolo di forza verso la porta in un chiaro invito a levarsi dalle palle prima che la situazione finisca con il precipitare definitivamente. « Fuori dal cazzo, tutti e tre e tu, porca puttana, spegniti, o vuoi far andare a fuoco tutto il cazzo di negozio? Che problemi... » hai? Le parole muoiono penosamente tra le labbra arricciate dalla rabbia, non appena lo sguardo intercetta alle spalle della figura della sconosciuta il calderone in cui la mistura stava finendo di cuocere. L'odore di bruciato che riempie il negozio lascia ben poche speranze che ne sia rimasto qualcosa di utilizzabile. Inspira rumorosamente aria tra i denti improvvisamente serrati, Caleb, ricercando lo sguardo del vecchio. « È uno scherzo, vero? »
     
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    L'aroma del preparato, che bolliva con una lentezza esasperante nel calderone, aleggiava nell'intera bottega. Nour si sentì incredibilmente attratta dagli ingredienti che spiccavano sugli scaffali ripieni e confusionari, calamitando lo sguardo della ragazza che, impegnata a lasciarsi sopraffare da sensazioni nuove e inesplorate, si accorse con difficoltà dell'avvicinamento di quei ragazzi e ancor più intensa fu l'incertezza che stessero rivolgendosi proprio a lei.
    Non era mai stata particolarmente coraggiosa, ma doveva ammettere di sapere come difendersi da coloro che mal ne tolleravano la natura: non riteneva che la propria nascita avesse nuociuto a qualcuno, motivo sufficiente per far sì che simili commenti non potessero essere giustificati. Non da lei.
    Sorrise loro con aria di sfida, sentì il calore incendiare le vene in cui scorreva il sangue puro di una Fata del Fuoco e, quando le fiamme presero a soddisfare ogni suo desiderio e risposero alla necessità di farsi giustizia da sola, si sentì viva come solo il fuoco era in grado di concederle.
    «Dunque, da quale parte del corpo vogliamo cominciare?» La sua voce riecheggiò attraverso il rogo, il sopracciglio si inarcò su uno sguardo tinto di cremisi e le labbra si distesero in un sorriso dal sapore di una promessa che aveva tutta l'intenzione di mantenere.
    Era così arrabbiata, frustrata, che le fu particolarmente difficile riconoscere lo sgomento di un ragazzo che, a ben guardarlo, doveva avere intravisto all'ingresso, poco prima di decidere di entrare in quel luogo di fortuna.
    Lo vide avvicinarsi, lo sentì imprecare, ma il tutto le sembrò talmente lontano da costringersi a domandarsi se stesse accadendo davvero o se fosse unicamente il frutto della fatica che stava compiendo nel far sì che il fuoco si cibasse di lei. Era questo che più la spaventava del proprio potere: a volte era in grado di gestirlo alla perfezione, in altre occasioni invece si lasciava completamente dominare. In sintesi perdeva il controllo. E quando accadeva, Nour diveniva a dir poco terrificante.
    Assistette alla determinazione che condusse quel ragazzo a far allontanare gli altri- ormai cerei in volto - e al suo avvicinarsi. Incombeva verso di lei chiedendole cosa stesse pensando di fare e il predominio dell'istinto iniziò a quietarsi nell'attimo esatto in cui il raziocinio le concesse di guardarsi intorno per realizzare ciò che aveva fatto.
    Ignorò il francese del giovane mago, abituata a ben altro in famiglia, e volse il proprio sguardo al calderone e a ciò che era rimasto al suo interno: una poltiglia annerita e appiccicata alla superficie interna del paiolo e dell'odore speziato di poco prima era rimasto unicamente quello acre della bruciatura.
    «Credo di dovermi scusare.» Lo disse con una discreta dose di incertezza, non del tutto convinta di doversi dispiacere per una reazione del tutto naturale scaturitasi da ciò che i simili di quel ragazzo le avevano scagliato contro.
    Finalmente gli concesse uno sguardo, le iridi, tornate nocciola, ne percorsero la figura da cima a fondo, registrandone ogni particolari. C'era puzza di fumo, e non aveva nulla a che fare con ciò che era stata in grado di manifestare lei.
    «Posso aiutarti a ricrearla, se ti va.» Non ne aveva le capacità, non godeva del dono della magia e soprattutto dubitava che quel tizio le avrebbe permesso di avvicinarsi ancora una volta a un calderone.
    Peccato, si disse, sarebbe stato carino imparare qualcosa pur non potendo maneggiare una bacchetta.
    Incrociò le braccia al petto. «Se vuoi posso anche aiutarti a ripulire» affermò non senza lasciare che l'espressione del volto si corrucciasse in qualcosa che assomigliava vagamente all'insofferenza, «e poi potresti insegnarmi qualcosa.»
    Era una pretesa, la sua, che una persona ordinaria avrebbe declinato più o meno gentilmente,+ con la sola intenzione di scacciarla dal negozio. Lo speziale la guardava con occhi sgranati, osservando ogni sua mossa e rabbrividendo a ogni respiro che Nour si concedeva.
    Sollevò gli occhi al cielo e scosse il capo. "Che esagerazione."
    «Dovresti ampliare il tuo vocabolario, comunque.» Commentò nell'avvicinarsi al calderone, conscia che, laddove avesse potuto seriamente aiutarlo, avrebbe dovuto provvedere a fare tutto senza magia. E, nel puntare gli occhi verso di lui, si rese conto di quanto quel tipo potesse vagliare la possibilità di sbatterla a calci fuori da lì o sfruttarla nel più umiliante dei modi. «Avrai detto "cazzo" almeno tre o quattro volte.»
    E, se doveva pagare per le proprie colpe, tanto valeva farlo in grande stile.

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    Come al solito Caleb sembra lasciare che il corpo si muova prima che la mente abbia tempo necessario a prendere in considerazione le possibili conseguenze di quegli slanci d'altruismo incontrollati. Certo, si atteggia e continua a parlare come quel ragazzino cresciuto tra furtarelli e le pretese assurde di una madre tossicodipendente, ma l'animo gentile è difficile da nascondere persino dietro quei modi tanto ruvidi di mostrare il volto al mondo. Perché altrimenti rischiare il culo per tre sconosciuti di cui a stento ricorda i nomi, ritrovandosi a fronteggiare una cazzo di torcia umana? Non ha mai visto una fata prima a dire il vero... e se le circostante fossero diverse probabilmente si concederebbe il tempo necessario a poter ammirare quanto maestosa appaia la figura avvolta nelle fiamme, gli occhi come brillanti gemme scarlatte e le ciocche di lunghi capelli a muoversi con rabbia, sospinte verso l'alto dal calore di quello stesso fuoco che la avvolge senza tuttavia bruciarla. Ma riesce a concentrarsi unicamente sulla pericolosa sensazione di calore che arriva a scaldargli il volto e che minaccia di far bruciare l'intero locale. Solo quando il suono della porta alle proprie spalle lo avverte della fuga dei tre studenti si azzarda ad avanzare di due passi verso la giovane, alzando le mani verso di lei come per dimostrargli di essere disarmato e non scatenare una sua eventuale reazione inconsulta. Sta combattendo contro l'istinto di urlarle addosso ogni insulto che gli salti in mente, a dire il vero, lasciando piuttosto che il piercing che adorna la lingua batta ripetutamente contro i denti serrati in un gesto che ormai compie istintivamente ogni volta che la mente tenta di trovare un briciolo di calma al qual potersi aggrappare per non cedere alle vecchie abitudini. Sta cercando ancor più intensamente di non avere una crisi di nervi per via dell'odore di bruciato che proviene dal calderone dove la fottuta mistura tanto preziosa per Carl era intenta a finire la cottura. Gli occhi continuano a scattare dal calderone alla figura della ragazza, come se stesse decidendo quale sia il problema più urgente del quale occuparsi tra i due. «Credo di dovermi scusare.» Le sopracciglia scure si inarcano istintivamente nell'udire quelle prime parole, mosse dal sollievo quanto dalla necessità di mostrare senza alcun filtro quanto assurdo appaia il suo comportamento in una situazione simile. Ha appena rischiato di commettere più di un crimine ed ora... semplicemente si scusa, rivolgendogli un'espressione dubbiosa che porta il giovane a credere che quella che ha davanti sia una specie di reclusa appena scappata ad un manicomio criminale e del tutto ignara delle conseguenze delle proprie azioni. Il silenzio che aleggia come unica risposta alle sue scuse è reso pesante dall'attesa che tiri fuori qualche altra parola, mentre ancora lo sguardo di Caleb e quello del vecchio speziale rimangono puntati su di lei in attesa che dia qualche evidente segno di squilibrio che convinca uno dei due a richiedere l'intervento degli auror. «Posso aiutarti a ricrearla, se ti va. Se vuoi posso anche aiutarti a ripulire e poi potresti insegnarmi qualcosa.» « ...fai sul serio? » È costretto a mordersi con forza il labbro inferiore per trattenere il principio di risata isterica che sente risalirgli lungo la gola, il ragazzo, mentre porta entrambe le mani tra i capelli biondi per tirare le ciocche ricadute sulla fronte lontane dal viso ancora arrossato dall'agitazione. No, non vuole che quelle belle manine in grado di richiamare le fiamme dell'inferno si avvicinino di un solo centimetro al calderone, ad una scopa od a qualsiasi altra cosa all'interno del locale a dire il vero. Lo sguardo che lo speziale gli rivolge sembra suggerire come sia del suo stesso avviso. « Ok, facciamo così. Ora vieni con me... e ci prendiamo un gelato. Una birra. Un tranquillante. » “Caleb!” La voce di Carl lo riporta velocemente all'ordine, rimbombando in quel secco rimprovero tra le tempie che si è sentito rivolgere fin troppe volte dal vecchio per non poterne immaginare alla perfezione l'inflessione della voce. « Così diamo il tempo alla mistura di essere di nuovo preparata e nel mentre... ti insegno qualcosa. Ma poi, di preciso, cosa cazzo dovrei insegnarti, scusami? » Inclina appena il capo, osservandola con sguardo interrogativo, alla ricerca di una risposta che possa dare quiete alla mente ancora piuttosto scossa dalla sorpresa che quella figurina ha installato nel suo animo. «Dovresti ampliare il tuo vocabolario, comunque. Avrai detto "cazzo" almeno tre o quattro volte.» « Oh, mi dispiace principessa, cercherò altre parolacce più carine mentre ci leviamo dai coglioni e facciamo tornare il vecchio a lavoro, va bene? » Con un sorrisetto strafottente le apre la porta del locale, indicandole poi con un cenno del capo l'esterno, invitandola a lasciare il negozio per dar modo allo speziale di tornare ad occuparsi di nuovo della commissione di Carl. « Forza, conosco una gelateria qui vicino. Così nel mentre mi spieghi da dove sei spuntata fuori, fatina. »
     
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    C'era del fascino in quel medesimo fuoco che anni prima aveva deturpato indelebilmente il suo volto, rendendo manchevole una perfezione che a stento poteva essere scorta senza restarne ammaliati. A onor del vero e senza alcuna falsa modestia, Nour era stata dotata di una bellezza ultraterrena, ereditata da un gene che l'avrebbe resa una Fata del Fuoco bella quanto respingente, una rosa protetta da velenose spine in grado di plasmarla in una creatura attraente e minacciosa al tempo stesso.
    Tuttavia il Fuoco, l'essenza da cui era stata forgiata, le aveva sottratto quella bellezza, quella perfezione di cui la sua famiglia era andata tanto fiera, e con essa la gentilezza di cui aveva fatto volentieri a meno.
    Quell'aurea vermiglia che la circondava a mo' di bozzolo intento a proteggerla da qualsivoglia minaccia si spense in un istante, non appena qualcuno la costrinse con poche parole a tornare al presente, portandola a imporsi un controllo che solitamente aveva, riuscendo a dosare un potere ricolmo di fascino dietro l'evidente minaccia che lo stesso rappresentava. Quel qualcuno era un ragazzo dal cipiglio indignato, parole inasprite, le sue, che rimasero sospese nel silenzio che Nour concesse a entrambi, mentre l'animo si placava e la razionalità tornava a bussare ai battenti della coscienza.
    Si passò una mano sulla fronte, le dita che premettero in particolare sulle tempie, come per individuare l'interruttore in grado di spegnerla, di sopire la fiamma che le ardeva nel cuore.
    Notò lo sguardo di lui su di sé, successivamente riuscì a mettere a fuoco persino quello dello speziale, mentre lentamente si rendeva conto di cosa aveva fatto. Gli occhi, tornati indossare il nocciola con cui erano venuti alla luce, virarono sul calderone, il fumo dall'odore acre che ne proveniva lasciava intuire cosa avesse combinato. Avrebbe davvero dovuto scusarsi, e non solo. Qualcosa da non poter neppure prendere in considerazione.
    Di fronte a quel volto arrossato, all'apparente esasperazione che lo portò a ricacciarsi indietro i capelli e alla domanda che avanzò con tono incredulo, la ragazza inarcò le sopracciglia aggrottando la fronte in un'espressione irritata. «Ti sembra che stia scherzando?» Non si poteva certo dire che il suo fosse umorismo. In effetti, a ben pensarci, Nour non sapeva neppure cosa fosse, l'umorismo.
    Tuttavia non era lei a dover palesare risentimento, almeno di questo ne era consapevole.
    Sospirò e annuì alla proposta dell'altro di uscire da lì: qualunque scusante le sarebbe andata bene. Il riferimento al "tranquillante" la fece però impercettibilmente sorridere.
    Di fronte allo sconcerto del giovane mago nel domandarle cosa dovesse insegnarle, la Fata si strinse nelle spalle. «Perché mai per preparare una pozione serve la magia? Anche noi siamo in grado di dosare gli ingredienti, mescolare e accendere un fuoco.»
    Noi.
    Non c'era alcun bisogno che specificasse cosa intendeva dire: ciò a cui i due avevano assistito era stato sufficiente a svelare la sua natura.
    Lo vide aprire la porta e attenderla: era evidente che l'idea di averla tra quelle quattro mura lo disturbasse più del dovuto.
    «Sei anche tu uno di quelli che non pensa dovrei essere qui?» Gli domandò una volta avviati verso la gelateria. Nour non aveva idea di dove stesero andando, ma aveva deciso di affidarsi all'unica persona che, in quel negozio, era riuscita a "salvarla". Che poi si trattasse di quei ragazzi o del fuoco, questo non lo aveva ancora deciso.
    «E' ridicolo! Siamo nel ventunesimo secolo, usiamo la tecnologia dei babbani e abbiamo anche noi dei poteri, per quanto diversi dai vostri.» Sollevò i palmi per aria, lo sguardo sorvolò il cielo per un attimo e uno sbuffo sonoro condì la reazione di melodrammatica esasperazione a cui diede luogo.
    Arrivarono alla gelateria di cui non lesse neppure l'insegna, attirata dai colori sgargianti dei differenti gusti. Scelse quelli che amava, conscia che non tutti avrebbero approvato l'accostamento di dolcezza e asperità.
    «Per me cioccolato fondente e melograno.» Uno sguardo d'avvertimento al ragazzo. Non desiderava commenti su quella scelta.
    Si rese conto di dover essere gentile per ciò che l'altro aveva fatto, così, nonostante fosse stata invitata da lui, infilò la mano nella tasca esterna dello zaino e vi estrasse un paio di monete, che lasciò prontamente cadere sul bancone del gelatiere. «Offro io.»
    Non lo guardò neppure, impegnata a osservare come l'uomo agghindasse il cono con i gusti da lei scelti. Si disse di dovergli almeno una spiegazione, ma a convincerla a parlare fu l'esigenza di dar voce a ingiustizie di cui non comprendeva l'origine. «Ha avuto da ridire sulla mia cicatrice, ma questo non mi ha disturbata più di tanto. Certo, non è stato carino, ma sarei passata sopra a quel commento.» Lo sventolio della mano lasciava bene intuire la veridicità di quelle parole: aveva di meglio da fare che non occuparsi di commenti sprezzanti su un marchio che era naturale destasse curiosità e delle volte persino repulsione.
    «Ma sottolineare quanto poco voi ci apprezziate e come ci consideriate...» Rimase a fissare la vetrata per qualche istante, prima che il mago al di là della stessa richiamasse la sua attenzione per la seconda o forse la terza volta, porgendole il cono. Si riscosse da quei pensieri afferrando il gelato e, lasciando al ragazzo lo spazio per ordinare, lasciò andare un pensiero che in ben più di un'occasione l'aveva tenuta sveglia la notte. «A volte semplicemente mi domando perché.»
    Pessimi ricordi le tornarono alla mente, partendo dal ragazzo che credeva di aver amato pochi anni prima, per finire con la violenza che aveva subito dalle sue stesse mani. Il padre di lui non l'aveva approvata, eppure, si era detta, lo stesso sentimento aveva nutrito la sua famiglia.
    Si domandava se prima o poi quell'insensata faida potesse riscontrare una fine.

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    Appena fuori dalla porta del negozietto l'aria è pulita, priva dell'odore intenso di bruciato di cui lo speziale dovrà occuparsi nelle prossime ore, insieme alla preparazione della mistura che Carl richiede mensilmente e per la quale non accetta scuse di alcun tipo in caso di mancata consegna. Respira a pieni polmoni, Caleb, tentando di rilassare i muscoli ancora irrigiditi dalla tensione che si trascina dietro da quando il figurino che ora se ne sta placidamente al suo fianco ha fatto la propria comparsa. La osserva con la coda dell'occhio, perdendosi tra i lineamenti di quel volto tanto simile a quello di una bambola di porcellana e quella cicatrice che ne macchia la bellezza fanciullesca, in un contrasto che dà l'impressione di poter condurre i pensieri verso scenari affatto piacevoli sulle possibili cause di quel marchio indelebile. A guardarla ora sembra quasi impossibile pensare che possa rappresentare un qualche tipo di pericolo per chi le si avvicina, eppure l'odore di bruciato che ancora sente nelle narici gli impedisce di abbassare la guardia tanto facilmente. In un gesto istintivo porta una nuova sigaretta tra le labbra socchiuse, accendendone la sommità con la punta della bacchetta mentre fianco a fianco avanzano tra le stradine, attirando l'attenzione dei passanti evidentemente incuriositi ed infastiditi dalla presenza della fata in quell'ambiente che reputano il loro territorio. Quando qualche sussurro giunge alle orecchie del biondo il capo scatta di lato, piantando lo sguardo affilato sul volto di una strega che prontamente distoglie gli occhi dalla loro direzione, arrossendo appena nella certezza di essere stata sorpresa a sparlare di una perfetta sconosciuta. «Perché mai per preparare una pozione serve la magia? Anche noi siamo in grado di dosare gli ingredienti, mescolare e accendere un fuoco.» Contro ogni previsione sono proprio le parole della giovane ad evitare che il ragazzo cerchi uno scontro nel bel mezzo della strada, rivelando come poco ancora riesca a far propri gli insegnamenti sul mantenere la calma che il vecchio miliardario che si prende cura di lui da ormai diversi anni sta cercando di ficcargli a forza sotto pelle, in netto contrasto con quelle abitudini che crescere in un ambiente ben più miserabile ha instillato in lui. Le cattive abitudini sono incredibilmente dure a morire. La sorpresa per quella domanda quasi infantile nella propria innocenza lo costringe in ogni caso a dedicare alla giovane la sua attenzione, mentre le labbra si schiudono istintivamente per tirare fuori l'unica risposta possibile. « Non ne ho la minima idea. Mi dispiace, principessina, ma non hai beccato il più sveglio della cucciolata. » Si stringe nelle spalle, affatto turbato dalla certezza di avere così tante lacune da poter risultare agli occhi della maggior parte della gente un totale imbecille. Infondo hanno gettato su di lui giudizi di ogni tipo da quando la vita l'ha condotto lontano da quelle stradine puzzolenti nelle quali è nato e cresciuto e Caleb non riesce a dare totalmente torto a chi continua a credere che quello non sia affatto il posto adatto ad uno come lui. I vestiti che indossa finiscono con il sembrare quelli di un estraneo fin troppe volte per potersi convincere del contrario. L'ennesima boccata di acre fumo arriva a scacciar via quei pensieri pesanti, schiarendo lo sguardo del giovane man mano che l'insegna della gelateria si fa più vicina. « La vera domanda è... perché cazzo dovrebbe importarti? Puoi sempre pagare qualcuno per farti una pozione, è davvero un problema così grande per te? Insomma, io preferirei saper diventare la torcia umana, al saper creare una polisucco. » L'ombra di un sorrisino strafottente spiega le labbra carnose, non lasciando modo di capire fino in fondo quanto sia serio e quanto stia bonariamente prendendo in giro la propria strana compagna. «Sei anche tu uno di quelli che non pensa dovrei essere qui? E' ridicolo! Siamo nel ventunesimo secolo, usiamo la tecnologia dei babbani e abbiamo anche noi dei poteri, per quanto diversi dai vostri.» Il sorriso vacilla, prima di crollare miseramente per sostituirsi ad una smorfia che distorce i lineamenti del viso di Caleb. « Certo che non deve essere facile vivere facendosi tutti questi problemi, eh. Credi che le persone facciano così solo con voi? » Si blocca al centro della strada, puntando i piedi ed allungando un braccio per afferrare la spalla della ragazza che a stento sembra essersi accorta del repentino cambio di atteggiamento del biondo. La costringe a guardarlo e dedicargli la sua totale attenzione, ignorando completamente tutti gli sguardi che gravitano verso di loro. Guarda me, non loro. « Continuano a dirmi che nemmeno io dovrei essere qui, che dovrei tornarmene dalla fogna dalla quale sono uscito. Forse hanno ragione, forse non dovremmo essere qui. Te lo chiedo di nuovo. Perché cazzo dovrebbe importarti cosa dicono? Tu sei tu e puoi andare e fare quello che vuoi. » Quante volte sarebbe bastato sentirsi rivolgere quelle stesse parole per poter sentire il peso sulle proprie spalle alleggerirsi? Per credere di meritare una possibilità? Il braccio torna ad abbassarsi, lasciando nuovamente la fata libera di allontanarsi da lui. La precede, prendendo a camminare a passo spedito verso l'entrata della gelateria ormai a pochi metri da loro, senza più girare il volto verso di lei. Forse è infastidito dai suoi atteggiamenti... o molto più probabilmente, dalle proprie debolezze.
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    « Un cono grande con menta e cioccolata fondente. Doppia panna. » Riesce a stento a far attenzione ai gusti scelti dalla giovane, ma la ringrazia con un cenno del capo quando si offre di pagare per entrambi, senza alcuna intenzione di opporsi per far finta di essere un perfetto gentiluomo, ancora troppo preso dal fastidio che si è insinuato alla base dello stomaco per via dell'ultimo scambio di battute che c'è stato tra di loro. Almeno la dolcezza che il gelato fa esplodere contro il palato al primo assaggio è in grado di ammorbidire un po' i lineamenti induriti dal fastidio, lasciandogli addosso solo l'espressione di un bambino intento a fare i capricci. «Ha avuto da ridire sulla mia cicatrice, ma questo non mi ha disturbata più di tanto. Certo, non è stato carino, ma sarei passata sopra a quel commento. Ma sottolineare quanto poco voi ci apprezziate e come ci consideriate... A volte semplicemente mi domando perché.» « ...ok, va bene. Hai vinto tu. Forza, vieni. » Le dita si serrano attorno alla sua manina, stringendola nella propria mentre la costringe a seguirlo fuori dal locale sotto lo sguardo incuriosito del gelataio e dei presenti. Si ferma proprio al centro della strada, Caleb, mentre tiene ancora il proprio cono ben saldo nella mano che non è impegnata a stringere quella di lei. « Qui c'è una fata! Ehy, qua, guardate! » La voce profonda è in grado di attirare l'attenzione dei passanti, ma nessuno sembra trovare il coraggio per puntare lo sguardo su quel ragazzo intento ad urlare per più di qualche secondo, prima di passare oltre. « Qualcuno vuole dirle di andarsene? Nessuno? Codardi di merda? » Nulla. Nessuno alza più lo sguardo verso di loro. Camminano cercando di stargli il più lontano possibile, tenendo lo sguardo basso per evitare il confronto. Sembra soddisfatto, Caleb, mentre si concede un nuovo assaggio del proprio gelato. Sta ancora stringendo la sua mano. « Quanto vale il pensiero di chi non ha il coraggio di dirlo ad alta voce? Vuoi davvero che siano loro a dirti cosa puoi fare? »
     
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    Non aveva idea di cosa stesse facendo. Forse avrebbe dovuto darsi tregua e tornare da suo padre, probabilmente non avrebbe dovuto andare in giro con un completo sconosciuto dal vocabolario discutibile e che aveva dimostrato apertamente di avere un atteggiamento ben più infuocato del suo. Avrebbe dovuto fare cose decisamente più assennate di quella che aveva scelto di perseguire, eppure la tentazione di invischiarsi in qualcosa che andasse al di là dei limiti imposti da una famiglia fin troppo restrittiva era forte, troppo forte, pane per i suoi denti.
    Percepì una scintilla di soddisfazione dentro di sé, nel sentir dire a nientemeno che un mago che fosse ingiusto che le Fate non potessero realizzare una pozione e tante altre cose che a loro erano precluse. Una realtà ingiusta e insensata, depredata della propria credibilità da un commento che curvò gli angoli della bocca della ragazza verso l'alto.
    «Ne avevo avuto il sentore.» Che non fosse un ragazzo particolarmente sveglio, ma il tono con cui lo disse avrebbe svelato l'ironia che aveva inondato quelle parole, un dettaglio che avrebbe potuto cogliere persino un estraneo. «Ma mi hanno insegnato a non giudicare mai un libro dalla copertina.»
    Sapeva di non poter pretendere risposte complesse da chi sembrava capire perfettamente ciò che sentiva lei, sensazioni condivise a cui era difficile dar voce a meno che non fosse estremamente necessario. Eppure, di fronte all'ammissione per cui l'altro avrebbe preferito riuscire a darsi fuoco piuttosto che saper realizzare una pozione, Nour lo guardò in tralice. «Non capisco perché dovrei scegliere.» Qualcosa che le veniva precluso fin troppo spesso.
    Le sue parole la riportarono alla realtà: sentì la sua mano afferrarle con forza la spalla, una presa salda, quella di Caleb, che tuttavia non la costringeva, non le faceva male. Guardò quella mano con un cipiglio infastidito, ma ne seguì le intenzioni ed evitò di lamentarsene. Quel ragazzo aveva qualcosa che la incuriosiva a tal punto da convincerla ad ascoltarlo.
    Le avevano ripetuto quelle stesse parole così tante volte da aver perso il conto, eppure non riusciva a prenderle sul serio. Non quando il mondo le rendeva difficile crederci. Fu piuttosto l'espressione del ragazzo a incantarla, in un certo senso, a incatenarla a quegli occhi scuri, lasciando che la mano di lui interrompesse la cavalcata, che assopisse il fuoco che ardeva dentro di lei così come aveva fatto all'interno della bottega, riportandola in sé e concedendole di ragionare. Non lo conosceva affatto, ma la foga con cui parlava, la determinazione del suo sguardo e la natura ribelle e selvatica che riconosceva in lui - e in cui si rispecchiava - le permise di ascoltarlo, di vederlo e, sebbene non riuscisse a credere alle parole da lui pronunciate, Caleb aveva attratto la sua attenzione. E non era una cosa da poco né che accadeva tutti i giorni.
    Quel peso sulle spalle in effetti si alleggerì.
    Una volta preso il gelato - offrirlo era il minimo, dopo quello che aveva combinato all'interno della bottega - si espresse ancora e ancora, portando alla luce ciò che detestava di un mondo che tuttavia la attirava in un richiamo che avrebbe osato definire naturale, sebbene così non fosse. Appartenevano a mondi diversi, i due ragazzi, così come successo tempo addietro a lei e a Alaric. Un brivido la attraversò nel ripensare a quel ragazzo: ricordò la violenz con cui l'aveva colpita, la permanenza in ospedale e quella presenza indesiderata nel proprio ventre e che aveva perso a causa delle percosse. Non lo rimpiangeva perché non lo avrebbe tenuto, eppure quell'episodio l'aveva cambiata per sempre, rendendola consapevole di ciò che desiderava senza riuscire a non temerlo in egual misura.
    Quando il ragazzo le afferrò la mano per trascinarla chissà dove, fu presa alla sprovvista. «Guarda che so camminare anche da sola!» Lo disse più per allarmismo che non in veste di rimprovero per quel ragazzo che decise di condurla al centro della via, lì dove numerose persone si occupavano dei propri acquisti, impegnati a ignorarli ad eccezione di quei pochi che le rivolsero occhiate curiose. L'aveva sentita, la strega che aveva osato sputare sentenze su di lei solo qualche minuto prima. L' aveva notata la reazione del ragazzo, pur non riuscendo a scorgerne lo sguardo. Eppure, quando vide Caleb fermarsi e rivolgersi alla folla, sentì di volersi sotterrare.
    «Sei impazzito? Piantala!» Arrossi violentemente mentre gli sussurrava quelle parole a mo' di preghiera. Il fuoco dentro di lei riprese ad ardere e servì tutta la sua concentrazione per evitare che la mano si incendiasse, ustionando la persona che più di ogni altra, pur non conoscendola, le stava mostrando quanto poco avrebbe dovuto temere il giudizio degli altri, essere semplicemente se stessa.
    Certo avrebbe preferito altri modi, ma forse era proprio di uno scossone che aveva bisogno.
    Con la mano ancora stretta nella sua, tentò di trascinarlo via, incurante del cioccolato che iniziava a gocciolare striandole le dita, impegnata a celarsi dagli sguardi invisibili di chi temeva una qualsivoglia reazione da parte dei due sconosciuti. Si chiese qualcosa su cui non si era mai concentrata: che l'odio nei confronti dei Grisha e delle Fate fosse fondato sulla paura? Una domanda pericolosa, quella, che richiedeva una risposta che avrebbe comportato riflessioni pericolose.
    Cercò di condurlo dietro l'angolo, lì dove un vicolo cieco e in ombra li attendeva per ripararli da ciò che aveva appena preso luogo pochi istanti prima.
    Aveva il fiato corto, Nour, dimentica del gelato e più impegnata a guarda davanti a sé senza vedere davvero il muro di mattoni che la fronteggiava.
    Poi scoppiò a ridere. Di una risata leggera, sincera, che la condusse a lasciarsi andare contro il muro alle proprie spalle e abbandonando la mano del mago per condurre la propria sul viso, infilando le dita nei capelli per spostarli sulla spalla destra in un gesto ormai inconscio volto a celare almeno in parte la cicatrice.
    «Sei completamente pazzo!» Continuò a ridere fino a quando non si accorse del pasticcio che il cioccolato aveva fatto, portandosi la mano alle labbra per porvi in parte rimedio. Fu allora che si rivolse all'altro, tentando di dare un nome alla persona più bizzarra che avesse mai conosciuto.
    «Sono Nour, comunque.» La torcia umana che gli rivolse un sorriso sincero. Non si era mai sentita più inadeguata di quel momento e, per la prima volta, non gliene importò nulla.

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    «Sei impazzito? Piantala!» Caleb possiede una voce incredibilmente possente, del tutto in contrasto con quei lineamenti tanto angelici che la natura gli ha donato e che lo rendono quasi angelico ad un primo sguardo, esattamente prima che le labbra carnose si schiudano per lasciar scivolare fuori qualche imprecazione colorita. E Walsh ha sempre usato quella voce per urlare ogni sua rimostranza, senza mai indietreggiare di un passo per quelle battaglie che ha ritenuto giuste nel corso della sua vita. Perché altro avrebbe senso urlare, altrimenti? Non lascia che la forza delle sue corde vocali vada sprecata. Non abbassa il capo, né distoglie lo sguardo, fin troppo abituato a sfidare la vita a volto aperto, anche a costo di incassare qualche colpo così forte da spezzare il fiato in petto. Ogni volta che gli è possibile, anche a costo di trascinare a forza qualcun altro nelle proprie battaglie... proprio come la ragazza che sta tentando in ogni modo di nascondersi agli sguardi che ora gravitano verso loro due, mentre ancora tiene stretta la sua manina esile nella propria per impedirle di scappar via prima di notare come nessuno abbia il coraggio di rispondere a quella sfida lanciata verso ognuno di quei volti arrossati dall'imbarazzo. Fingono di non aver sentito piuttosto che prendere parola per pronunciare ad alta voce quelle stesse cattiverie che invece sussurrano con una leggerezza che ha del vomitevole. Affrettano il passo, cercando di evitare lo sguardo affilato che Caleb fa scivolare da un passante all'altro mentre se ne rimane ben piantato al centro della strada, con il mento sollevato ed un sorrisino strafottente a tendere la bocca all'apparenza tanto morbida da trarre costantemente in inganno chi si soffermi troppo ad osservarla. « Strano, eppure mi era sembrato di sentire qualcuno avesse parecchio da dire sulla faccenda. Forse i vostri cazzo di pregiudizi vi si sono finalmente infilati su per il cu-» La stretta della fata si fa più pressante contro il suo braccio, costringendolo a barcollarle dietro per evitare di perdere l'equilibrio e perdere persino la presa sul cono a cui è riuscito a dare appena un primo assaggio. Si lascia trascinare via da quel figurino che possiede a quanto pare una forza fuori dall'ordinario, mentre tuttavia gli occhi rimangono puntati verso quei passanti che hanno racimolato abbastanza coraggio da non distogliere lo sguardo tanto in fretta da quello strano duo. « Ehy, non avevo finito! » Una serie di imprecazioni li accompagna durante quella rapida fuga che li condurrà in un vicolo lì vicino, eppure abbastanza appartato da permettere ad entrambi di ripararsi da qualsiasi occhio estraneo. Il biondo non può far altro che attendere in silenzio che l'altra inizi ad urlargli contro, magari che lo colpisca o, perché no, che torni a circondarsi di fiamme per bruciarlo vivo per la geniale idea di costringerla a mettere il volto in pubblica piazza senza nemmeno aver pensato prima di chiederle se fosse d'accordo o no. Beh, non sarebbe certo la prima persona a reagire affatto bene ai modi di fare ben poco ortodossi di Caleb.
    “Pensi di fare sempre la cosa giusta, ma non chiedi mai agli altri quale sia la cosa giusta per loro.” La voce di Carl torna a risuonargli prontamente tra le tempie, ricordandogli senza mezzi termini di come spesso e volentieri quello che per lui è ovvio, non risulti allo stesso modo per il resto del mondo. Come i suoi comportamenti si rivelino spesso e volentieri egoisti ben oltre i limiti accettati dalla società. Con un sospiro rassegnato aspetta il rimprovero della ragazza, poggiando la schiena contro il muro e concedendo una veloce leccata al gelato che è ormai colato ovunque, rendendo appiccicosa la pelle fino all'altezza del polso. Un miscuglio di menta e cioccolata che rimane a macchiargli la mano anche quando cerca di succhiarla via tra le labbra socchiuse. Quello che non riesce a prevedere in alcun modo, al contrario, è l suono della risata cristallina che riempie improvvisamente l'intero vicolo, convincendolo a sollevare lo sguardo colmo di sorpresa verso quel volto improvvisamente illuminato da una luce persino più ammaliante di quello delle fiamme stesse. Una spensieratezza quasi fanciullesca, in netto contrasto con tutti quei dubbi che sembravano affollarsi oltre le iridi castagna fino a qualche minuto fa. Sembra improvvisamente più bella e leggera. «Sei completamente pazzo!» Solleva le sopracciglia scure, stringendosi poi nelle spalle a fronte di quell'accusa che non sembra avere alcuna intenzione di rimetterlo al proprio posto. Non per ora. Non mentre ancora un bel sorriso stira la sua bocca che deve sapere di cioccolato e melograno. « E la cosa ti disturba? » Sembra quasi sfidarla a contraddirlo, Caleb, nascondendo poi in parte il volto dietro il gelato per poterne rubare qualche altro boccone con la punta della lingua, senza tuttavia distogliere lo sguardo da lei. «Sono Nour, comunque.» « Caleb. Puoi chiamarmi Cal, se vuoi. » Alterna le parole a bocconi sempre più veloci di gelato, cercando di mangiar tutto prima che il dolce finisca con lo sciogliersi completamente e solo una volta addentato finalmente il cono, torna a rivolgerle del tutto la propria attenzione. « Allora, Nour, cosa vuoi fare ora? Non dirmi che hai intenzione di rimanertene nascosta qua per il resto del pomeriggio. Ci sono tante cose che sarai curiosa di vedere, no? Andiamo. Per oggi sarò il tuo genio della lampada, solo perché mi hai offerto un gelato. Hai tre desideri a tua disposizione. Attenta a non sprecarli.»
     
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    Non riuscì a smuoverlo. Non ci fu verso di trascinarlo via dal centro di quella via, se non quando fu lui stesso a dargliela vinta. Voleva che lei vedesse, voleva che lei sentisse ciò che altri avevano il coraggio di sussurrare, ma non di urlare. Voleva che Nour si accorgesse di quanto poco valessero le rimostranze di chi, al contrario di lui, non aveva il coraggio di esporsi quando veniva richiesto di farlo.
    E lo vide, Nour, se ne accorse strabuzzando gli occhi su una folla che temeva la sfida di un ragazzo e il volto di una Fata, senza riuscire a reagire di fronte a parole che avrebbero invece dovuto accendere quella scintilla che ardeva nei loro cuori. Eppure non vi fu alcuna fiamma della rivolta, non da parte loro.
    Non esisteva a suo parere una cosa giusta o sbagliata, ché si trattava di pareri talmente soggettivi da non poter esistere un unico punto di vista, una verità assoluta. Non pensava di avere il diritto di giudicare le scelte di quel ragazzo, tuttavia non tutti avrebbero preso bene quella scelta in particolare, probabilmente neanche lei se non fosse stata presa alla sprovvista, se l'altro non avesse fatto ciò che aveva fatto per lei, o per far capire a entrambi quanto poco contassero le parole di chi non li conosceva affatto, degli ignoranti e dei bigotti che non sapevano accettare il diverso, ciò che non conoscevano e di cui con ogni probabilità avevano paura.
    Con le lacrime agli occhi e il ricordo di ciò a cui aveva appena assistito, lo sguardo della Fata si posò sul volto del ragazzo e il respiro tornò al ritmo ordinario, così come fecero i battiti del cuore. Non era una famiglia sopra le righe, la sua, piuttosto rigida e ligia a quei doveri imposti dai più rilevanti dei suoi membri. Gli amici, ad eccezione di pochi, rientravano nella categoria di coloro che conoscevano il mondo per ciò che erano e se lo facevano andare bene, un po' come faceva lei a essere sinceri.
    Aveva assistito spesso a scoppi di magia, ma mai a scoppi di quel genere, e la cosa la colse completamente impreparata. E rise.
    «No, credo di no.» Rispose alla sua domanda assottigliando lo sguardo, quasi a sostenere quello di lui per rendere evidente come neppure lei fosse incline a fare passi indietro rispetto a ciò in cui si era invischiata. «Se così fosse stato, probabilmente ti avrei dato fuoco.» Asserì curvando verso l'alto un angolo della bocca, per poi dedicarsi altrettanto al gelato. Scontrarsi con quel ragazzo era stato un evento assolutamente casuale, inatteso, ma laddove fosse stato sgradito - così come aveva pensato all'inizio - non si sarebbe trovata lì, con lui, in quel vicolo e con del gelato a rendere appiccicose le mani di entrambi.
    Si presentò con leggerezza, la stessa che le mancava nella maggior parte dei giorni di una vita a tratti noiosa e ripetitiva, priva di stimoli. E quando le rispose, Nour finalmente seppe come ricordare colui che le aveva mostrato una nuova sfaccettatura del mondo magico, qualcosa che si ritrovò ad ammirare con occhi completamente diversi. Il timore, la sfiducia e lo scetticismo in cui era stata immersa per anni, furono tutti smentiti da un ragazzo che, pur con sangue di mago a scorrergli nelle vene, aveva saputo mostrarle il bello di ciò da cui la famiglia e gli amici l'avevano sempre messa in guardia e tenuta alla larga.
    Il bilancio della giornata poteva dirsi positivo - e non si era ancora conclusa.
    «E Cal sia.» Assaggiò nuovamente il gelato, poi rivolse a lui la piena attenzione quando le sue parole la raggiunsero. «Dovrei tornare tra» controllò l'orologio al polso, accorgendosi solo in quel momento che si fosse macchiato di cioccolato «un'ora o poco meno.» Gli rivolse un'occhiata infelice, le labbra corrucciate in una smorfia infastidita. «Ma dubito che potrei mai rifiutare una simile offerta, Cal
    Addentò il cono e ne strappò voracemente due morsi, alla faccia delle buone maniere da principessa. Leccò ancora una volta le dita e puntò lo sguardo al cielo. «Tre desideri...» Si passò la lingua sulle labbra raccogliendo i rimasugli del gelato, valutando saggiamente le limitate scelte che, per un motivo o per un altro, aveva a disposizione. «Mi piacerebbe vedere la Banca dei maghi. Mi hanno detto che ha una forma strana, un po' diroccata. Ma è banale, non può rientrare nei miei tre desideri.» Agganciò una mano al gomito gemello scuotendo il capo. «Immagino che la Stamberga sia fuori questione, giusto?» Lo guardò supponendo già la risposta: non ricordava il nome del villaggio magico in cui la casa stregata era situata, ma dubitava ci si potesse arrivare facilmente.
    Le opzioni dunque si riducevano notevolmente e, sospirando dopo l'ultimo boccone, decise. «Vada per Notturn Alley, se ne hai il coraggio.»
    Un sorriso e un paio di battiti delle mani per ripulirsi dalle briciole.
    Potevano farcela.

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    Edited by Nour. - 25/4/2024, 11:02
     
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    «Tre desideri... Mi piacerebbe vedere la Banca dei maghi. Mi hanno detto che ha una forma strana, un po' diroccata. Ma è banale, non può rientrare nei miei tre desideri. Immagino che la Stamberga sia fuori questione, giusto? Vada per Notturn Alley, se ne hai il coraggio.» Ora che ha le mani libere e nulla per coprirsi il volto, l'espressione sul viso di Caleb è di palese stupore. Come un bambino incapace di dissimulare le emozioni si ritrova a fissare la ragazza con le labbra appena socchiuse ed un sopracciglio alzato. Non gli è passato per un attimo per la mente che potessero essere desideri tanto semplici i suoi, mossi da una vita passata costantemente lontana da quei luoghi per lui invece rappresentano ormai qualcosa di scontato. Eppure non sono passati poi tanti anni da quando in compagnia di Carl, furono i suoi occhi ad ammirare con fare sorpreso quegli stessi edifici e luoghi che ormai gli sembrano normali. Si ritrova a far sfuggire dal petto lo sbuffo di una risata, prima di stringersi nelle spalle con fare arreso.
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    Non si discute sui desideri, no? Con un colpo di reni lascia che la schiena abbandoni il muro su cui si è poggiato quando Nour l'ha trascinato in quel vicolo, facendosi più vicino al suo figurino minuto di appena qualche passo. La osserva con un sorriso tinto di malizia per qualche attimo, una scintilla di divertimento negli occhi affilati. « Che desideri noiosi, Nour. Mi aspettavo mi proponessi di andare a dar fuoco a qualche ragazzino insolente. » La stuzzica, prendendola in giro con quella bella faccia da schiaffi che è in grado di tirare fuori all'occorrenza e tuttavia non le lascia modo di potersi mostrare offesa a quelle insinuazioni sulla sua poca pazienza dimostrata con metodi a dir poco infuocati appena qualche minuto prima, dandole prontamente le spalle per potersi muovere verso l'uscita del vicolo. Sente ancora le mani vagamente appiccicose per via del gelato che si è sciolto un po' ovunque, abbastanza fastidioso da convincerlo ad estrarre la bacchetta per poterla puntare prima su uno e poi sull'altro palmo, castando un semplice incantesimo in grado di togliergli di dosso quella sensazione spiacevole. Si ritiene soddisfatto quando a macchiar le dita affusolate non rimangono altro che le macchie di tinta dovute ai vari lavori di restauro. Ci ha provato a mandarle via, ma non ne vogliono proprio sapere. Solo ora torna a voltarsi verso la fata, facendole cenno di avvicinarsi mentre si ferma al centro della strada, del tutto indifferente agli sguardi che lentamente stanno tornando a posarsi su di loro. Sembra concentrato unicamente su di lei mentre allunga il braccio per poterle catturare la mano nella propria. « Dai qua e stai ferma. » Con una presa che si rivela inaspettatamente gentile lascia che le dita la conducano ad aprire verso l'alto il palmo, così da poter puntare la bacchetta contro la pelle appiccicaticcia per replicare lo stesso incantesimo con cui si è ripulito. Fa lo stesso con la mano sinistra, prima di lasciarla libera dalla propria presa. « Nocturn Alley non è il genere di posto dove si va con le mani appiccicose di gelato, rischi di essere aggredita da qualche topo di fogna. Ed ora, principessina, per di qua. » Il corpo si muove veloce tra i vicoli, quasi guidato dalla memoria muscolare verso i vicoli che man mano si fanno meno colorati e sempre più angusti, lasciando che la sorridente Diagon Alley lasci il passo al meno ospitale quartiere frequentato da figure dall'aria ben poco amichevole. Le insegne coperte di ragnatele e l'aria pregna dell'odore pungente lo investono in pieno, portando Caleb ad arricciare il naso mentre le mani tirano su il cappuccio per coprire in parte il volto pallido. Tutti tra quelle strade tendono a tenere il capo chino ed a fuggire agli sguardi, andarsene in giro con un bel sorriso sulle labbra non farebbe che attirare l'attenzione. Si affianca a Nour per poter portare le labbra al fianco del suo orecchio appuntito, mentre già una mano le solleva il cappuccio sul capo ramato. « Non fissare troppo la gente e parla il meno possibile, ok? » Le lancia un ultimo sguardo per assicurarsi che abbia capito quelle poche regole prima di svoltare l'ultimo angolo, ritrovandosi così nella via principale del quartiere, lì dove i negozi dalle vetrine impolverate ed i maghi dall'aria guardinga creano un'atmosfera quasi soffocante. Cosa abbia spinto Nour a voler fare una visita da quelle parti, rimane un mistero. « Allora, eri interessata all'odore di piscio oppure c'è qualche negozio in particolare che sei curiosa di vedere? »
     
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    Si sentì sciocca data la reazione di Caleb, quella risata che sottolineava quanto i desideri appena espressi fossero banali, addirittura scontati per un mago che viveva in quel mondo e si abbeverava ogni giorno della sua magia. Per lei era tutto nuovo, una scoperta a cui guardava con gli occhi affascinati di una bambina che si affacciava per la prima volta a un universo sconosciuto ed esageratamente attraente. Era curiosa, Nour, non poteva farne a meno.
    «Ti vorrei ricordare che sei stato tu a impedirmelo.» Gli disse assottigliando lo sguardo che, per un breve istante, ne incendiò le iridi. «Avrei dato fuoco persino alla bottega, se non mi avessi fermato. E comincio a pensare che sarebbe stato uno spettacolo che avresti apprezzato.» Sorrise, incrociando le braccia sotto il seno. Spavalda, ecco come appariva con quelle sopracciglia perennemente inarcate e il tono strafottente di una che era disposta a tutto per ottenere il rispetto che riteneva fermamente di dover ricevere.
    Quanto a Caleb e al poco che aveva colto di lui, sembrava un ragazzo presuntuoso, persino le movenze rimandavano a una sicurezza certamente derivante da esperienze di vita che, nonostante la giovane età, sarebbero state difficili da immaginare. Tutte supposizioni, le sue, che pensò non avrebbero riscontrato risposta, mentre lo vedeva avvicinarsi e leggeva del divertimento in quello sguardo malandrino e al contempo accattivante. Se avesse potuto controllare le proprie reazioni, si sarebbe sforzata di non arrossire.
    Lo vide darle le spalle e avviarsi fuori dal vicolo. Tentò di non focalizzarsi sugli occhi che ancora una volta quei ficcanaso puntarono su di loro - l'ultima cosa che voleva, era dover trascinare via il ragazzo per una seconda scenata che, per quanto avrebbe negato fino alla morte - aveva apprezzato - così come fece con quella bacchetta, in grado di ripulire le dita di Caleb con una semplice magia che invece per lei era una sorta di miracolo. Caleb allungò la mano verso di lei, che l'afferrò con cipiglio curioso, osservando come quella stessa magia ripulì le proprie, di mani, e rimanendo in silenzio fino a quando il ragazzo non terminò l'opera.«Immagino che per te sia noioso anche questo.» Indicò con un cenno del capo quanto appena avvenuto e ritirò le mani dalla sua presa per strofinarsele l'una contro l'altra. Niente gelato, perfettamente pulite, e trattenne un sorriso serrando le labbra tra loro.
    Si avviò al suo fianco. «Cosa ti fa credere che sia una principessa?» Gli domandò, guardandosi per un momento nel constatare come fosse vestita: un paio di jeans sdruciti, una maglia bianca e una felpa nera a nasconderne le maniche lunghe. «Piuttosto sembri uno che sa esattamente dove sta andando.» Un habitué di quel vicolo tanto malfamato, disse implicitamente lanciandogli un'occhiata dalla coda dell'occhio. Per una strana ragione, si sentì quasi confortata dalla sua presenza, per quanto fossero entrambi due ragazzini alla mercè dei peggiori elementi della versione magica di Londra.
    Lo vide coprirsi parte del volto con il cappuccio, lei si sfilò i capelli da dietro le orecchie e tentare di nascondere la cicatrice in un gesto metodico. Il cappuccio fu un secondo passo a cui tuttavia pensò Caleb, avvicinandosi al suo volto per sussurrare preziosi consigli, di fronte ai quali la Fata rabbrividì.
    Si diede della sciocca, in fondo non era nuova alla vicinanza di un ragazzo e l'ultima cosa che voleva era un approccio con il primo che capitava, per quanto un tempo non fosse tanto atipico. Poi aveva incontrato Jun, ed era stato sufficiente a farle cambiare atteggiamento verso i ragazzi. Da mesi si era convinta a non guardare nessun altro con gli occhi con cui aveva osservato lui per tanto, tantissimo tempo, e, nel condursi una mano sul ventre, sentì bruciare la cicatrice che le percorreva la pelle.
    Annuì alla sua raccomandazione. «Sono brava a ignorare le persone e fingere che non esistano.» E lo seguì nel più completo silenzio, quasi a disagio tra gente che teneva lo sguardo basso ed evitava di sfiorarsi a vicenda. Negli angoli più bui, che quasi fu tentata di rischiarare, sostavano maghi intenti a parlare sottovoce, rivolgendole sorrisi minacciosi quando i loro occhi si incrociarono.
    «Sempre così volgare...» Commentò con un sospiro e finta esasperazione, tenendo basso il tono di voce. Forse sarebbe stata meglio la Stamberga, pensò, ma non lo avrebbe mai ammesso.
    Fu allora che in lontananza e con un tono tutt'altro che discreto, vide un paio di ragazzi più o meno della loro età farfugliare qualcosa su una bisca clandestina nel retro di "Candele Velenose per Ogni Occasione". I suoi occhi si illuminarono. «Non conosci un posto dove si fa qualcosa di, come dire, illegale Domandò. «Non so: una gara di scope, un contest sulla creazione delle pozioni più letali, un duello utilizzando incantesimi proibiti...» Si fermò al centro del vicolo. «Non mi interessano mani scheletriche e medaglioni maledetti. Voglio vedere la magia Quella che fosse in grado di smuovere qualcosa persino in lui.
    Si domandò qualcosa a cui diede voce, forse per fare in modo che Caleb comprendesse fino in fondo quello che cercava di fare e dimostrare a se stessa. «Forse tra i reietti della comunità magica una Fata potrebbe passare inosservata.» Strinse le labbra in una linea sottile, le mani che si surriscaldarono mentre le dita si serravano.
    Emarginato per emarginato, tanto valeva fare un tentativo.

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