Kings and Queens

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    Aveva preso posto sullo schienale della poltroncina senza alcuna remora, i tacchi a spillo affondati sul cuscino della seduta e una gamba accavallata sull'altra, il gomito destro a puntellare il ginocchio e la mano dello stesso lato ferma davanti alle labbra, armata della sigaretta sottilissima dalla quale Nana assurgeva fumo di tanto in tanto, senza muoversi più del necessario. Sembrava un gargoyle, un rapace notturno, un cupido maledetto scontento di ogni potenziale accoppiata della serata. Un interprete della cinesica avrebbe intercettato nei lineamenti di porcellana del suo volto sfumature di ribrezzo e avversione, una sofisticata vena presuntuosa nonostante l'innegato coinvolgimento nel contesto voluttuoso. «Perché non ti fai lasciare la bottiglia?» Il destinatario di quella domanda pressoché retorica era Horace Rotas, seduto poco distante e parte del gruppo di affiliati con i quali condivideva la visuale su un tavolino rotondo munito di palo, ripiano sopra al quale una ragazzina forse appena maggiorenne si contorceva in mosse languide che non riuscivano a sembrare davvero una danza, poco vestita e poco elegante, oltre che decisamente poco attraente. Narumi frequentava Night Club dall'età di sedici anni, ma nessuno le era mai parso squallido come quello nel quale si ostinava a fumare e bere per migliorare le circostanze. Un luogo come un altro per ricongiungersi con quello che, insieme a pochissimi altri, avrebbe serenamente definito amico, molto più un tacito collaboratore dal mutuo assenso che la rispettava solo perché estranea agli affari di cui si occupava; condividevano tenacia e perseveranza, stoicismo e arguzia, ma non potevano essere più diversi in fatto di ambizioni. «Vedessero i night club di Kyoto, gli inglesi impallidirebbero.» Continuò a percorrere il flusso di coscienza sbattendo le ciglia con inerzia impigrita, evidentemente annoiata da quello scomposto sgambettare che non sollecitava neppure il più accontentabile ormone adolescenziale. Luci e scenografia erano i punti forti dei locali a luci rosse giapponesi, invidiati da tutto il mondo rendevano la nudità nient'altro che un dettaglio, spingendo ogni spettatore ben oltre i limiti della sopportazione libidinosa affinché nessuno, a fine serata, pensasse di poter tornarsene a casa senza prima aver alleggerito il portafoglio in compagnia di qualche ragazza. Inutile dire che, abituata a quello, la squallida agitazione con la quale la giovane di fronte a loro muoveva un bacino neanche abbastanza sodo pareva quasi riuscire a nausearla. «Pagano davvero per questa roba?» Ancora una boccata di fumo, infilata in gola per esalarla in concomitanza allo scavallamento di gambe, gesto che le permise di sporgere il busto in avanti con la mano protesa a raccogliere il bicchiere di Gin Tonic, tra le poche gioie di una serata oltremodo deludente. «Posso trovarla in strada senza sborsare uno zellino.» Infieriva, la Yamakazi, accomodandosi sul velluto del lato più viziato del proprio carattere, quello che la rendeva una purosangue ben addestrata al vezzo unicamente finalizzato al vantaggio, qualità che non aveva mai sfruttato come avrebbe voluto per lei suo padre, ma che ad oggi pareva tornarle utile nei momenti più impensabili. Trangugiato qualche sorso del distillato in trasparenza, avrebbe ben volentieri staccato gli occhi dalla spogliarellista per farli planare oziosamente sul cacciatore, l'ombra di un sogghigno ad arricciare il cuore perfetto delle sue labbra rosse. «Avresti dovuto avvisarmi, avrei ridimensionato le aspettative della serata.» Una specifica necessaria a chiarificare che no, in qualunque caso non avrebbe rinunciato ad uno dei più antichi intrattenimenti condivisi dai due.
     
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    Era necessario mantenere un profilo decisamente basso, se non meglio definibile infimo, per evitare di incontrare in luoghi simili qualcuno che potesse riconoscere la figura di Horace Rotas, l'affascinante quanto sempre ligio rampollo della famiglia a capo della casa editrice riportante il suo stesso cognome. Così finivano con l'escludersi dalla lista dei possibili locali quelli che potessero definirsi degni di attenzione, lasciando a disposizione nient'altro che bettole dal dubbio gusto e dall'ancora più dubbio clientela. Gli uomini seduti ai fianchi dell'uomo dagli occhi affusolati e della sua accompagnatrice erano facilmente riconducibili alla fascia d'età che avrebbe potuto essere classificata con l'eventuale figura paterna della ragazzina intenta ad agitare il bacino sul piedistallo su cui si era sistemata all'inizio della serata... eppure i loro occhi non esitavano nel scavare quella pelle tanto giovane in cerca della proibita visuale di un lembo di pelle più intimo, riuscendo tuttavia solo nell'intento di strappare di tanto in tanto dal volto affilato del Rotas un'alzata di sopracciglia ed un inclinarsi disgustato dell'angolo destro della bocca. Persino tutto l'alcool mandato giù nelle ore trascorse seduti su quegli scomodi sgabelli non era bastato ad allentare la sensazione di disagio alla base dello stomaco, mentre la mente viaggiava su binari di pensieri in grado di scaldare le viscere di una gelosia a cui non voleva dare un volto, od un nome. Ispirando aria tra le labbra socchiuse si ripeté mentalmente di come la situazione della ragazza che ballava davanti ai suoi occhi non fosse minimamente paragonabile o sovrapponibile a quella di Merope. Eppure qualcosa in quella bramosa voglia che sentiva giungere come tanfo alle narici, proveniente dalle figure di quegli uomini intenti a sbavare su una ragazzina, continuava a tendere i muscoli asciutti al pensiero di quanto sembrasse nella natura umana l'istintivo pensiero che portava a desiderare di possedere qualcosa di innocente per poterlo sporcare con i propri peccati. Più pura era la creatura su cui si posavano quegli occhi, più sembravano diventare ingestibili quegli istinti. La mano guidò l'ennesimo bicchiere colmo di whisky fino alla bocca, permettendo al liquido ambrato di scaldare ulteriormente le viscere e dandogli un valido motivo per poter distogliere gli occhi da quelle gambe troppo esili per poter reggere senza alcuna ripercussione il peso di tutti gli occhi che gravavano loro addosso.
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    Sperava che almeno Nina si stesse godendo lo spettacolo. «Pagano davvero per questa roba?» « Mh? » Lo sguardo affilato colse al volo l'occasione fornita dalle parole della giapponese per potersi spostare fino ai lineamenti morbidi del suo volto – del tutto in contrasto con quel carattere spigoloso che la donna si trascinava dietro da quando l'aveva conosciuta – mentre il corpo sporgeva verso di lei per permettere ad una mano di arrivare a raggiungere il pacchetto sistemato accanto al suo bicchiere, così da poter rubare una sigaretta e l'accendino. No, non sembrava godere affatto di quello spettacolino che aveva davanti, Nana. «Posso trovarla in strada senza sborsare uno zellino. Avresti dovuto avvisarmi, avrei ridimensionato le aspettative della serata.» Le concesse il tempo necessario a lamentarsi, approfittandone per accendere la sommità della sigaretta e mandar giù fino ai polmoni la prima boccata di acre fumo. Solo una volta dato modo alla nicotina di concedergli una fittizia sensazione di sollievo a fronte di quel latente nervosismo si concesse un accenno di risata, indicando con un vago gesto della mano la sala nella quale si trovavano. « Ti avevo promesso qualcosa di sporco, non mi sembra di essere venuto meno alla parola data in alcun modo. » Era sporco il pavimento, così come erano sporche le superfici dei tavoli su cui gli avventori poggiavano i gomiti ed i bicchieri. Non aveva avuto modo di controllare i bagni, Horace, ma qualcosa gli suggeriva che la situazione fosse persino più tragica oltre le porte dei gabinetti. Con una mano portò le ciocche di capelli corvini lontane dal volto riscaldato dall'alcool, tornando a voltare il capo per lanciare un'ultima occhiata verso il piedistallo su cui la ragazzina continuava a ballare senza sosta ormai da ore. « Credi sia almeno maggiorenne? » Aggrottò le sopracciglia quasi senza rendersene conto, prima di buttar giù tutto d'un fiato quel che era rimasto del proprio bicchiere. « Ok, hai ragione. Andiamo, forza. Troveremo qualcosa di meglio ovunque senza alcuna difficoltà. » Il corpo agile abbandonò con un balzo lo sgabello, pronto ad affiancarsi a lei per porgerle il braccio... e tuttavia, gli occhi sembrarono piantarsi su qualcosa alle sue spalle, catturando completamente l'attenzione del moro. Era visibilmente ubriaco l'uomo che aveva ben pensato di avvicinarsi alle spalle di Nana, sul punto di posarle un braccio attorno alle spalle. La mano di Horace scattò veloce, intercettando a mezz'aria il gesto dello sconosciuto per poter stringere le dita in una morsa d'acciaio attorno al polso sudaticcio. « Meglio di no. Sono sicuro la signora non gradirebbe affatto... si fidi di me. » Le pupille dilatate da chissà quale droga si piantarono su di lui per solo una manciata di secondi, prima di tornare sul figurino esile di Nana come se nulla fosse. Usò la mano rimasta libera per puntare direttamente ad una carezza contro quel volto da bambola, mentre una risatina eccitata gli agitava il petto. « Oh, alle puttanelle come questa basta qualche bigliettone... non è vero, tesoro? »
     
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    Il distillato di ginepro le scivolò in gola come una lama affilata, non ancora abbastanza diluito dal ghiaccio poiché ingollato dalla giapponese prima ancora che il caldo della sala potesse operare uno scioglimento, invase la faringe e graffiò l'esofago, tuffandosi nello stomaco semi-vuoto che aveva già incamerato una quantità alcolica sufficiente a stordire le percezioni più esterne delle meningi, quelle che l'avrebbero resa nervosa e insofferente, le stesse che di recente aveva sempre più spesso bisogno di anestetizzare in qualche modo: e Horace, purtroppo per tutti, non poteva tornarle utile per uno dei canali che più preferiva per colmare i bisogni. «Sul serio? Sei il solito stronzo.» Fu a lui che continuò a rivolgersi, un sopracciglio a svettare sull'altro nella smorfia quasi compiaciuta di una provocazione incassata, neppure una traccia di piccatezza o irritazione. Horace Rotas era forse l'unica persona al mondo dalla cui bocca Nana avrebbe ascoltato letteralmente qualsiasi cosa, nuda della mortificazione del giudizio che riservava a Goro e disarmata dell'aggressività difensiva che rivolgeva invece al resto del mondo, le capitava più spesso di quanto fosse disposta ad ammettere di soffermarsi affascinata sui discorsi snocciolati dal cacciatore, così padrone di sé e in armonia con la propria aura da far vacillare persino l'arroganza di un cavallo di Troia quale era la Yamakazi, che con lui e soltanto con lui riusciva di tanto in tanto ad abbassare la guardia per concedersi anche della sana spensieratezza. A chiudere l'eco del giocoso insulto appena rivoltogli, dunque, fu normale ascoltare il borbottio sommesso di una risata calda, quasi arrugginita dal raro utilizzo, eppure inestimabilmente preziosa su un volto che aveva evidente bisogno di leggerezza per risplendere rigoglioso. Non avrebbe neppure saputo rintracciare nel proprio passato il momento di massima ilarità che le avesse attanagliato le viscere, non era stata allegra mai neppure da bambina, figurarsi di fronte alle natiche nude di una ragazzina per la quale domandarsi comprensibilmente leggitimità. «Credo tu sia il primo che se lo domanda, qui dentro.» Che fosse o meno maggiorenne, era immaginabile che non se lo fossero chiesti neppure gli offerenti di un lavoro a dir poco squallido, se non abbastanza per l'amoralità quanto meno per la miserabilità con cui veniva svolto. Bevve ancora e spense il mozzicone in un posacenere di plastica, Nana, lasciando che due sbuffi grigi le scivolassero dalle narini mentre il vetro del bicchiere tornava ad allontanarlesi dal viso. Inutile specificare che fu un sollievo, infine, ascoltare la concessione dell'amico di defilarsi prima d'essere inghiottiti dal disgusto. «Grazie al cielo.» Si ritrovò in piedi in uno slancio, fluida e felina come un'ombra, inconsapevolmente sinuosa nella perfetta padronanza di ogni fibra del proprio corpo. Dimenticò il Gin e recuperò le sigarette, controllando con una carezza che la bacchetta fosse ancora nell'apposita asola dei pantaloncini mentre già si preparava a divorare il pavimento verso l'uscita. E l'avrebbe fatto, a testa alta e con l'ambita aria fresca già in testa, se non fosse stato per l'imprevisto umano che le si parò davanti sbeffeggiando ogni più innocente auspicio. Il puzzo di alcol si miscelò all'olezzo di sudore e pelle unta, serrandole all'istante la gola in una morsa di incontinente nausea, costringendola a distorcere le parole di Horace in un'eco acquosa che quasi non ascoltò, ben più intenta a digrignare i denti affinché poche sillabe riuscissero a strisciarvi in mezzo per rivolgersi all'altro in un sibilo sinistro. «Levati dai piedi.» Un'ammonizione che - sentiva di potersene dire certa - l'altro non avrebbe accettato di prendere in considerazione neppure se fosse stato sobrio, ma che bastò ad attivare il blackout cerebrale utile a restringere il focus su un bersaglio, escludendo all'istante ogni effetto collaterale come dettava il Jin, terzo principio del Bushido, appreso in gran segreto all'ombra delle attenzioni familiari. «Oh, alle puttanelle come questa basta qualche bigliettone... non è vero, tesoro?» La voce che venne dopo sarebbe parsa distorta da una serietà agghiacciante, intenta a rivolgersi al Rotas nonostante gli occhi neri della Yamakazi non accennassero a staccarsi dal barcollante molestatore. «Avresti proprio dovuto avvisarmi, Rots Persino l'anziano più esperto del dojo avrebbe vacillato, tentanto di interpretare la scena che seguì al prologo più nefasto, poiché riconoscere il corpo della giovane che scattava in avanti come un'espressione di tsujigiri sarebbe stato avventato, eppure anche terribilmente comprensibile: come suggeriva la dinamica, infatti, Nana stava letteralmente attaccando il corpo umano del proprio avversario al fine di affilare l'arma vivente che riconosceva in se stessa, oltre a pareggiare i conti con una mascolinità tossica da esorcizzare. Sarebbe tuttavia stata più chiara l'applicazione della Kyushowaza, dunque la conoscenza e pressione dei punti vitali tipica del Bujutsu, utile a Nana per intercettare il punto cartilaginoso sulla parte superiore dell'orecchio sinistro, là dove avrebbe affondato i denti con ferocia animalesca all'autentico scopo di ferire per far male, consapevole che a differenza del lobo avrebbe là potuto spillare più sangue e scardinare un maggior numero di nervi: coordinazione fruttuosa per inviare al cervello una miriade di stimoli alle sinapsi del dolore. Sarebbe stato utile per Horace valutare al più presto il da farsi: strapparla di peso dal corpo della preda, o estrarre un fazzoletto per ripulirsi di dosso gli schizzi di sangue.
     
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    Non fosse stato a conoscenza delle capacità difensive della giapponese, Horace avrebbe di certo finito con l'intervenire in modo più incisivo per impedire all'uomo che si era avvicinato loro di infastidire con quelle parole colme di una pretesa priva di alcun diritto la donna dai lunghi capelli corvini. Se al posto della Yamazaki fosse stato presente, ad esempio, il corpicino esile di Merope... no, meglio non scendere nelle spirali di quei pensieri. Non mentre ancora le dita rimanevano strette attorno a quel polso unticcio, lì dove una pressione ben applicata avrebbe potuto facilmente rompere le ossa e causare un dolore tanto intenso da attirare verso quello strano trio appena venutosi a formare lo sguardo di tutti gli avventori di quella squallida bettola. Avrebbero di certo potuto risolvere le cose senza inutili dimostrazioni di forza, liquidando quello che era a tutti gli effetti un disperato che aveva decisamente alzato troppo il gomito senza correre il rischio di finire al centro di attenzioni non richieste. Con un movimento fluido il corpo asciutto del Rotas si mosse per posizionarsi alle spalle dell'uomo, deciso a costringerlo con una salda presa alla base del collo ad indietreggiare ed allontanare quella mano sudaticcia dal volto distorto da un'espressione affatto amichevole su cui aveva deciso tuttavia di posare senza alcun permesso le sue dita grassocce. Da oltre le spalle dello sconosciuto lanciò uno sguardo verso la donna, chiedendole silenziosamente qualche attimo di pazienza... e tuttavia Nana sembrava troppo presa da pensieri ben diversi da quelli che riempivano la testa del cacciatore per prestargli davvero attenzione. «Avresti proprio dovuto avvisarmi, Rots
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    « Nana, aspett- » Lo sguardo affilato seguì lo slancio di quel corpo esile verso la preda, quell'uomo a cui il suo stesso corpo avrebbe finito con l'impedire di poter indietreggiare di un solo passo per evitare di finire tra le zanne della predatrice che aveva involontariamente risvegliato dal suo torpore. Il corpo flaccido cercò istintivamente sostegno contro il suo petto per non capitolare a terra, sospinto all'indietro dall'impatto della donna contro di lui. Non appena i denti della giapponese si chiusero attorno alla fragile cartilagine della punta dell'orecchio sinistro, strappando un gemito sorpreso da quella bocca che sembrava aver perso improvvisamente tutta la sua intraprendenza, la mano del cacciatore si mosse velocemente per colpire di taglio l'esatto punto in cui collo e spalla si univano, così da bloccare l'afflusso di sangue al cervello attraverso la carotide per il tempo appena necessario a far perdere i sensi al malcapitato prima che un solo urlo potesse uscirgli di bocca. Si premurò poi di sostenere il peso di quel corpo privo di sensi con il braccio destro, mentre lo sguardo continuava a gravitare verso il volto di Nana con l'aria di rimprovero di un genitore davanti ad un figlio decisamente troppo avventato. « Lascia la presa. Non costringermi a tapparti il naso. » Sarebbe stato oltremodo divertente agli occhi esterni osservare quell'uomo dall'aria tanto elegante tappare il naso alla sua compagna come se fosse intento ad educare un animale feroce, ma Horace era abbastanza assennato da preferire cercare un dialogo prima di mettere in pericolo le proprie dita avvicinandole alla bocca della Yamazaki mentre ancora se ne rimaneva aggrappata alla sua preda ormai priva di qualsiasi possibilità di difendersi. Attese qualche secondo che la donna si decidesse ad indietreggiare, prima di recuperare dalla tasca della giacca un fazzoletto che si premurò di premere con forza contro l'orecchio dell'uomo per evitare che iniziasse a sanguinarsi addosso, o peggio ancora, su chiunque fosse nei dintorni. « ...mi sento in dovere di farti notare che poteva essere risolta in molti altri modi. Solo a scopo informativo, si intende. » Era tuttavia un'ombra di divertimento ad arricciare le labbra mentre il corpo si impegnava nel trascinare l'uomo svenuto verso la seduta più vicina a loro. Con sollievo Horace si liberò da quel peso assicurandosi almeno che il capo dell'altro poggiasse contro la superficie lurida del bancone lì davanti. Nessuno avrebbe fatto d'altro canto caso ad un cliente svenuto in più lì dentro, togliendolo così dall'onere di dover inventare una scusa credibile prima di allontanarsi per poter raggiungere la figura di Narumi. Prontamente recuperò dal taschino un nuovo fazzoletto, quasi in un banale gioco di prestigio, per porgerlo alla donna in caso avesse avuto bisogno di ripulirsi la bocca da qualche traccia di sangue. « Vogliamo andare? » Come nulla fosse successo tornò a porgerle galantemente il braccio, prendendo poi senza altre esitazioni la strada verso l'uscita del locale per potersi trascinare tra i vicoli di una Londra a quell'ora della notte quasi completamente silente. Le dita affusolate scattarono prontamente in aria all'avvicinarsi di un taxi, così da fermarne la corsa e poter aprire lo sportello nell'attesa che Nana prendesse posto sui sedili posteriori, prima di seguirla all'interno dell'abitacolo. « Visto che hai tanto da ridire sui locali che scelgo appositamente per te, hai forse qualche idea su quale proporre come prossima tappa per la serata? »
     
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    Il sapore ferroso del sangue riempì la bocca prima ancora che Nana potesse accorgersi di come, sorprendentemente, dal corpo leso non provenne altro che un singulto strozzato, segno evidente dell'immediata perdita di sensi che lo fece accasciare l'audace avventore tra le braccia pronte di Horace. Fu proprio quest'ultimo a conquistarsi un fulmine diretto dagli occhi della giapponese, quando le intimò di allentare la presa sulla carne già abbondantemente martoriata dello sciagurato; obbedì infine con un grugnito, la Yamazaki, indietreggiando di un passo che completasse l'atterraggio della carcassa in un tonfo sordo udibile a pochi, quasi a nessuno, il lasciapassare perfetto per una fuga immediata. «Avevo tutto sotto controllo, e lui stava imparando una lezione.» Lo disse una volta fuori, l'aria fresca a restituire ossigeno alla faccia, e la mano destra protesa ad accettare di buon grado il fazzoletto offerto dall'amico. Avrebbe digerito quanto appena accaduto solo al mattino successivo, probabilmente, quando la mente fosse tornata ad essere sufficientemente lucida da restituirle il conto per una disumanità imparata passivamente sulla pelle, frutto di un'infanzia disfunzionale scolpita direttamente nella violenza. Per il momento, valutò strofinandosi il tessuto sul mento vermiglio, avrebbe incamerato tutta l'adrenalina necessaria a non capitolare precocemente nel panico. «Quella che non gli ha insegnato sua madre, evidentemente.» Una morale piuttosto discutibile, la sua, antisonante con un passato fatto di maschilismo e gerarchie di ferro, privo del tocco amorevole di un genitore che insegnava anche la vita oltre al terrore e alla remissione. Riposto il fazzoletto madido di sangue nella pochette, Nana approfittò del gesto per estrarre dal rettangolo pitonato anche specchietto e rossetto, pochi gesti a far schioccare il primo in apertura e a guidare il secondo sui contorni alterati delle labbra simmetriche. «Di solito concludo le serate con altro tipo di fluidi corporei addosso.» Un click richiuse l'ovale riflettente, proprio mentre il birichino baluginio di sarcasmo le attraversava gli occhietti vispi. «No? Troppo?» Horace Rotas era tutto ciò che Narumi era stata addestrata ad essere da ragazzina, un involucro di posatezza e buone maniere che avrebbe fatto dubitare persino della distruttività di un uragano. Era stato quello il trampolino di lancio per un legame vecchio già di anni, quel senso di quiete e pacatezza che mitigava in maniera funzionale il fuoco ardente nello spirito della Yamazaki; per la prima volta si trovavano a condividere la permanenza nella medesima città anziché incrociarsi per caso in qualche angolo di mondo, chissà che da quella stretta coesistenza la giovane non riuscisse ad abbandonare definitivamente qualche sregolatezza. «Visto che hai tanto da ridire sui locali che scelgo appositamente per te, hai forse qualche idea su quale proporre come prossima tappa per la serata?» Approfittò nel riporre gli oggetti appena estratti per sfilarsi dalla borsa anche il flacone delle pillole che la aiutavano a sopportare i demoni, ne ingollò un paio innalzando il volto al cielo e poi scosse il capo per ravvivarsi la chioma scura. «Pensi siano aperti a quest'ora i Giardini di Kensington?» Era pressoché impossibile che lo fossero, ma qualcosa nel tono della domanda parve mostrarsi pericolosamente retorico, uno sprazzo di esitazione a tastare la reazione dell'altro prima che l'amoxapina entrasse in circolo inibendo i recettori più esterni della prudenza. «Dai, coprimi!» Scattò come una gazzella in piena caccia, scartando di lato per lanciarsi in una corsetta affettata che la avvicinò presto alla recinzione di uno dei parchi reali più imponenti di Londra. Sorpassò il cancello chiuso come suggeriva la furbizia, approcciando direttamente la parte di ferro battuto che esulava dai coni ambrati dei lampioni limitrofi: in quel ritaglio d'ombra sarebbe apparsa invisibile ad ogni eventuale occhio sorvegliante. Agile abbastanza da non provocare rumore, si arrampicò lungo il reticolato ferroso fino a scavalcarne l'apice in un'agilità ferina, quindi si lasciò semplicemente ricadere al di là della barriera atterrando morbida su un sommesso tonfo dei piedi. Un cenno incalzante all'editore, per poi voltare le spalle alla strada ed immergere lo sguardo nel nero più fitto della vegetazione. «Dio, mette i brividi.» Non che fosse prevedibile qualcosa di diverso, considerando che di notte non si aspettavano visitatori nel parco, ma potevano considerarsi normali anche quegli scricchiolii invisibili provenienti direttamente dalle fronde più oscure?
     
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    «Pensi siano aperti a quest'ora i Giardini di Kensington?» Un sopracciglio scuro si alzò a quella domanda priva di qualsiasi logica, mentre il corpo asciutto del Rotas trovava appoggio contro il maleodorante sedile del taxi e lo sguardo scivolava verso la figura al suo fianco, quella di Nana. La giapponese non aveva certo bevuto abbastanza per perdere i contatti con la realtà al punto da credere che fosse ancora pieno giorno, non mentre le strade ormai buie di Londra scorrevano oltre i finestrini della vettura. Si limitò ad agitare il capo in segno di diniego, sollevando tuttavia gli occhi in un gesto di palese resa a quella che sembrava una scelta già presa prima ancora che potesse contestarne i dettagli. Aveva pensato ad un altro locale, magari ad una passeggiata per le vie del centro... non certo ad una gita ai giardini di Kensington ed una possibile denuncia per effrazione. Il taxi arrestò la propria corsa proprio in corrispondenza della lunga recinzione che delimitava il parco, a quell'ora completamente immerso tra le ombre di una notte ancora ben lontana dal giungere al proprio termine. « Ecco a lei. Tenga pure la mancia. »
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    Allungò verso l'uomo alla guida qualche banconota prima di seguire la figura della mora fuori dalla vettura, risultando tuttavia troppo lento per impedirle di dar inizio alla sua personale avventura prima che le luci del taxi sparissero dietro l'angolo. Con un sospiro a schiudergli le labbra finì suo malgrado con l'avvicinarsi a propria volta alla rete metallica, poggiando contro le ampie maglie la mano destra mentre si prendeva il tempo necessario ad accertarsi che nessuno sguardo indiscreto fosse puntato verso la loro direzione, pronto a denunciarli alle autorità. « Sai, Nana. Quando parlo di tenere un profilo basso per evitare di dare nell'occhio, intendo proprio evitare questo genere di trovate. » La Yamazaki lo degnò appena di un'occhiata, già intenta a lasciar vagare lo sguardo verso le ombre del parco decisamente meno rassicurante di come non apparisse durante le ore diurne. Horace piantò entrambe le mani contro la parte più alta della rete, così da potersi dare lo slancio per saltare il più in alto possibile. La suola della scarpa elegante trovò appiglio a mezz'aria contro uno dei rombi metallici per permettere al corpo di oltrepassare la rete, atterrando senza produrre il minimo rumore al di là della recinzione. «Dio, mette i brividi.» Con il palmo della mano Horace colpì leggero la spalla della donna, avvicinandosi alle sue spalle per poter osservare la stessa direzione verso cui puntava lo sguardo. Sì, era decisamente poco rassicurante... eppure, ben meno preoccupante dei boschi che spesso si era trovato ad attraversare in notti simili a quella, nel bel mezzo di una caccia. Non servì alzare il capo per accertarsi della forma della luna ancora alta sopra le loro teste. Non era una serata di luna piena, quella. « Ti aspettavi candele ad illuminare la strada ed una bella donna pronta a farti una serenata? Sarà un miracolo non finire con la scarpa su qualche escremento di cane. » La sorpassò, allora, le orecchie tese verso i leggeri scricchiolii provenienti dalle ombre qualche metro davanti a loro. I muscoli sembrarono tendersi in automatico, rispondendo ad un istinto coltivato fin dalla più giovane età. « Aspetta qui. In silenzio. » La voce improvvisamente tagliente, pronunciò a denti stretti quegli ordini prima di compiere qualche veloce passo in avanti, finendo presto con lo sparire alla vista. Avrebbero osservato quegli occhi affilati - fin troppo abituati a ricercare tra il fogliame persino in notti più cupe di quella – il percorso erboso alla ricerca della più leggera impronta e l'udito avrebbe ricercato la direzione di quegli insistenti scricchiolii, guidandolo tra le figure scheletriche degli alberi. Senza produrre alcun rumore, appena chino sulle ginocchia e con una mano affondata a raggiungere il legaccio stretto al polpaccio per nascondere l'affilato pugnale, avrebbe continuato a muoversi poggiando costantemente la schiena contro la copertura fornita dagli arbusti. Fino a giungere a pochi passi dai responsabili di quei rumori. Ad una prima occhiata sembrava trattarsi di due adolescenti... ed ad osservare più attentamente, si sarebbero potuti aggiungere un gran numero di dettagli alla scena. Due adolescenti svestiti, intenti a rotolare tra i ramoscelli mentre le loro mani smaniose percorrevano uno il corpo dell'altro in cerca dei punti più nascosti. Una risata gli sfuggì di bocca, rivelando ai due ragazzini la presenza di uno sconosciuto nei dintorni di quello che avevano evidentemente pensato essere un nascondiglio sicuro. Li osservò rivestirsi in fretta, i gesti resi impacciati dal terrore. « Tranquilli, non voglio farvi del male. Prendete le vostre cose ed andate via, forza... » Attese pazientemente che i due fossero rivestiti. Un falso allarme, decisamente.
     
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    «Aspetta qui. In silenzio.»
    «Aspetta qui, in silenzio.» Gli occhioni troppo grandi per un viso ancora troppo piccolo seguono attoniti l'allontanamento di Satoru, un corpo appena più grande del suo ma già riempito di uno spirito ingombrante e autoritario. è terrorizzata, ma se provasse ad esprimere anche solo un accenno di quell'emozione verrebbe allontanata, rinchiusa in camera o nella mansarda, dimenticata per chissà quante ore finché le cose da grandi non possano dirsi risolte. Allora rimane immobile, Nana, come l'ennesima colonna dell'imponente salone, solo un complemento d'arredo, mentre sibili e boati degli incantesimi nella stanza accanto le portano al naso l'odore della morte.

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    Rimase immobile anche in quel momento, le labbra appena dischiuse su una nuvoletta di fiato condensato e gli occhi offuscati dai farmaci, fissava il nero del fogliame oltre cui era sparito Horace come aveva fatto anni addietro con la porta dell'ufficio di suo padre, quella che il maggiore poteva varcare ogni volta che lo desiderasse senza mai dover chiedere il permesso. Al contrario di lei. Si accorse che qualcosa iniziava a lambirle le caviglie come un'alga melmosa, una sensazione di prigionia e risentimento, tentacoli capaci di risalirle le gambe per paralizzarla su un lembo di mondo affinché non si muovesse e non disturbasse oltre: aspettò in silenzio, Nana, finché non iniziò a mancarle il fiato in gola, allora si strappò di dosso le reminiscenze di un passato sleale per seguire cautamente le tracce dell'amico, un passo davanti all'altro, con la cautela di chi torna a camminare dopo anni interi di immobilità. «Trovato niente?» Sentì la voce troppo bassa tra le corde vocali, arrochita, consumata, allora rinunciò a ritentare limitandosi a risalire i rumori come avrebbe fatto un segugio a caccia, del tutto inconsapevole dell'ironia di quello stesso paragone proprio mentre affiancava colui che di caccia se ne intendeva in maniera ben più seria. Accanto a lei sfilarono due ospiti concitati e paonazzi, più giovani di almeno una manciata d'anni e probabilmente incapaci di rendersi conto che all'indomani avrebbero riso di quell'interruzione come la più rocambolesca avventura. Si chiese distrattamente, guardandoli correre via, se lei avesse mai assaporato quella stessa spensieratezza, se le fosse mai spettata anche solo una vaga forma di quella giovinezza; da anni si consumava il corpo tra lenzuola di estranei, e per lo stesso tempo aveva annebbiato la mente con sostanze alteranti di vario genere, ma se avesse dovuto rintracciare un solo momento in cui avesse potuto dire d'aver vissuto un giorno da ragazzina, Nana non avrebbe trovato risposta alcuna. «Ti piace guardare, mh?» Sbuffò l'accenno di una risata, ancora imprigionata negli strascichi dei pensieri rivissuti e per questo intorpidita, mentre slacciava l'intreccio delle braccia sul seno per addentrarsi nella piccola radura già evidentemente esplorata da altri. «A volte le stanze mi stanno strette.» Iniziò così, rispondendo a nessuna domanda specifica. «I locali, le discoteche, i pub... mi anestetizzano, e di solito va bene. Ma a volte mi manca l'aria.» Parlava alla vegetazione, osservando i fili d'erba calpestati dalla coperta di fortuna dei due amanti, fino ad accovacciarsi ai margini di quel letto d'amore fino a distendere la schiena sul manto umido, là dove immaginava non fossero arrivati gli umori altrui. Si accorse del cielo, scoprì la vertigine di un manto esageratamente scuro, e sentì di poter tornare a respirare mentre la chioma scura le si distendeva a mo' di raggi di un sole nero tutt'intorno alla testa. «Alle candele preferisco le luci a neon, comunque, possibilmente rosse o viola, e per la serenata va bene del punk-rock.» Sorrise senza ancora guardarlo, quasi gli stesse lasciando un vantaggio per scomparire o allontanarsi, per lasciarla a vaneggiare da sola in quella feritoia di lucidità che si concedeva per la prima volta dall'arrivo a Londra. Le sue origini non erano un segreto, le sorti di Isoshi Yamazaki erano rimaste sulle copertine dei giornali per mesi, a chi appartenesse Narumi era fatto noto persino a chi - come Horace - non aveva niente a che fare con la malavita del Sol Levante, eppure di recente i segreti mai confessati ad anima viva iniziavano a farsi più roventi, il suo tradimento assumeva la forma di una rinata rappresaglia, e sempre più spesso effettivamente sentiva l'aria venirle fisicamente meno nella gola. «Pensi anche tu che la mela non cada mai troppo lontana dall'albero?» Chiuse gli occhi e li coprì con un avambraccio, quasi la tenebra della volta scura fosse accecante. «Credi che sia stupido sperare di diventare qualcosa di diverso da ciò che ci ha creati?» Lei, d'altronde, aveva appena cercato di strappare a morsi l'orecchio di un uomo.
     
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