Sadō - la via del tè

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    Satoru Akira Yamazaki

    Il giardino della villa era stato preparato per l'occasione fin nei minimi dettagli, così da dare l'impressione a tutti gli invitati di non essere più alle porte della grigia Londra, ma di essere arrivati senza alcun preavviso in un angolo di Giappone trapiantato in quelle terre lontane per il solo piacere di ognuno dei loro sensi. Dal prato perfettamente curato ai bassi tavolini sistemati a formare un ferro di cavallo tra i ciliegi in fiore, fino ai cuscini disposti per accogliere ogni ospite e le eleganti figure intente a camminare placidamente in quel paradiso terrestre, i bei volti dipinti di un bianco tanto intenso da far risaltare i colori intensi di quelle labbra peccaminose ed i sontuosi kimono ad adornarne i corpi giovani. La musica accompagnava dolcemente i primi sussurri dei fortunati che avevano ricevuto da parte del giovane signore di quella terra un invito formale a recarsi presso la sua abitazione per potersi presentare ufficialmente alle più ricche ed importanti famiglie sul territorio inglese, così da poter dopo anni di preparativi silenziosi quanto meticolosi fare ufficialmente il proprio ingresso nella società magica londinese, riprendendo il posto meritato così come per nascita era appartenuto in passato alla nobiltà nipponica, prima che tutto gli fosse strappato di mano. Satoru sedeva su un piccolo palco sistemato a pochi metri di distanza dai posti riservati ai visitatori, distante e bello come solo una divinità avrebbe potuto sembrare agli occhi affatto abituati a quel genere di eleganza, profumata di una solennità che l'occidente sembrava aver dimenticato o forse, semplicemente, mai posseduto. Il corpo avvolto in un kimono nero dai pregiati ricami dorati sembrava del tutto immobile sotto le lente carezze dei piccoli petali di ciliegio che scendevano volteggiando dal cielo per poggiarsi su ogni superficie, lo sguardo puntato davanti a sé come se fosse del tutto estraneo agli stimoli esterni. Se qualcuno avesse provato ad avvicinare la sua figura sarebbe stato uno dei suoi sottoposti a ringraziare l'ospite per la propria presenza, rendendosi poi disponibile ad accogliere ogni dubbio o richiesta. Non era possibilità di tutti, rivolgere parola al bambino prodigio. Solo quando tutti gli invitati ebbero preso posto il corpo fino a quel momento immobile sembrò tornare in vita, muovendosi il tanto necessario ad abbandonare il cuscino su cui aveva seduto perfettamente inginocchiato fino a quel momento per potersi avvicinare al bordo più esterno del piccolo palco, lì dove lo sguardo di tutti avrebbe potuto facilmente raggiungere il volto solenne e sentirne senza difficoltà ogni parola pronunciata dalla voce particolarmente profonda. « Vi ringrazio per aver accettato il mio invito ed esservi riuniti qui, oggi, nella speranza di una conoscenza reciproca che possa portare fortuna a voi ed a me in egual misura. Come prova della mia gratitudine ho preparato una dimostrazione della famosa quanto antica cerimonia del tè, conosciuta come Sadō. Spero possa allietare le vostre anime ed i vostri cuori, miei signori. » Tra gli applausi contenuti la figura esile di una donna dal volto solcato da numerose rughe avanzò fino al centro dello spiazzo erboso lasciato appositamente vuoto tra i tavolini, lì dove tutto l'occorrente per la cerimonia sembrava attendere quasi fremendo di poter dare spettacolo agli occhi di quei bianchi ignoranti. Sotto gli sguardi sorpresi la teishu prese posizione, sistemando meticolosamente ognuno degli utensili necessari a quella cerimonia, prima di procedere con la vera e propria preparazione della bevanda. La tradizione avrebbe voluto ovviamente che il tè venisse preparato per tutti i presenti dalla teishu, così come che gli ospiti bevessero a turno e non contemporaneamente... eppure, quella società tanto instabile sembrava costringere persino le usanze più antiche a piegarsi ai propri frenetici ritmi. Mentre ancora la dimostrazione proseguiva figure silenti si avvicinarono ad ogni ospite per poter sistemare davanti a loro una tazza di tè fumante. Veloce, impersonale, fittizio... eppure abbastanza esotico da lasciare sui volti un'espressione estasiata a quella messa in scena ben costruita unicamente per il loro diletto. Le labbra di Satoru si tesero appena, prontamente nascoste dietro la propria tazza per non lasciar modo a nessuno di intravedere l'ombra di quel fastidio. Apparivano come nient'altro che miseri insetti ai suoi occhi, quelle creature elevate al di sopra degli altri unicamente dal mero denaro, eppure prive di qualsiasi bellezza intrinseca. La rinascita richiedeva tuttavia sforzi e compromessi, persino quello di respirare la stessa aria di esseri tanto inferiori. Attese che la cerimonia finisse prima di far perdere le proprie tracce lasciando ai fidati sottoposti il compito di intrattenere quegli ospiti indigesti, così da potersi allontanare il tanto necessario ad evitare che quel puzzo gli rimanesse addosso. A passi lenti lasciò che il corpo lo guidasse verso il lato opposto dell'enorme giardino, lì dove la lenta caduta dei fiori di ciliegio era meravigliosa nella propria silente tristezza. Con il capo appena sollevato ammirò quella pioggia rosata, respirandone a pieni polmoni il profumo dolciastro per ripulire l'anima. E solo nell'abbassare lo sguardo, allora, la vide. La chioma dorata adornata da qualche petalo ed il visino sollevato verso l'alto, tanto immobile da sembrare a dire il vero appartenere ad una statua più che ad un essere umano in carne ed ossa. Al contrario di ogni altra figura, quella donna sembrava fondersi perfettamente con quello scenario senza intaccarne la poesia. Satoru inclinò appena il capo, lasciando modo agli occhi di godere finalmente di qualcosa che valesse la pena ammirare. Si trattava probabilmente della figlia di uno degli uomini che avevano ricevuto il suo invito, eppure la repulsione provata istintivamente per quei volti sconosciuti non arrivò a scaldare le viscere del giapponese nel posarsi sulla sua figura. In silenzio la contemplò fin quando il più piccolo movimento di quel corpo non lo costrinse a prendere parola. « La fioritura dei ciliegi è una perfetta cornice alla vostra bellezza. Sarebbe un peccato tornare tra gli altri invitati proprio ora e negare al padrone di casa una tale visione. »
     
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    Un ingresso in società, è così che Abraxis le ha descritto quell'evento, con lo sdegno in volto di chi non è abituato ad avere mine vaganti che sa di non poter controllare nel proprio quadro d'azione. L'ha percepita tutta, l'agitazione che ne ha scosso i piedi mentre sedevano, l'uno di fianco all'altra, nella parte posteriore della lussuosa macchina che li sta conducendo a casa di Mr. Yamazaki, quel nuovo nome che ha destabilizzato la quiete di una società amante dello status quo, portandola a chiacchierare, a confabulare malignamente per tutti i giorni antecedenti al giorno della speciale occasione. Si è goduta ogni istante di quell'evidente apprensione che lo costringeva a smuovere di continuo la gamba sinistra, tanto da portarla ad appoggiare il palmo della mano sul ginocchio, rivolgendogli un sorrisetto ingenuo, maschera di tutto il compiacimento che provava nel vederlo così in difficoltà. « Tranquillo papi, che nessuno potrà mai metterti in ombra. » Quello sai già perfettamente farlo da solo, aveva pensato con gli occhi pieni di quell'amore bambinesco che si trascina dietro da anni. La sente ancora tutta, l'indignazione che gli sta animando il corpo ad ogni passo mosso in direzione degli ampi giardini che attendono gli ospiti perfettamente curati, all'ombra di un'imponente casa che lascia la piccola Carrow a bocca aperta per l'architettura così differente se messe a confronto a quelle intraviste dal finestrino lungo il percorso. La pecora nera del vicinato. Registra allegramente, ritrovandosi già più a suo agio nel passeggiare sotto gli alberi di ciliegio in fiore, accarezzati dolcemente da una leggera brezza che li accompagna entrambi ad un tavolino basso, alla cui vista Abraxis sbuffa. « Tu prendi posto e aspettami, devo scambiare due parole con Algernon. » Sotto testo: non mettermi in imbarazzo e fai la brava. La biondina annuisce, con le pappe gonfie, aspettando giusto qualche istante prima di voltarsi per parlare con il primo addetto ai lavori che le passa di fianco. I fermagli iridescenti che porta tra i capelli semi raccolti tintinnano gioiosi. « Salve, sono così contenta di essere qui. Che meraviglioso vestito, le dona tantissimo, le mette in risalto gli occhi. Crede che il mio vestiario sia adeguato? Non vorrei mancare di rispetto né fare brutte figure. » Il poveretto, investito da quel fiume in piena, sbatte le palpebre cercando una scappatoia evidente, gli occhi che fuggono di fronte allo sguardo ipnotico di Scylla. « Io..ehm, state molto bene, signorina. Il rosso porta con sé buon auspicio e felicità nella nostra cultura. » Il visino ovale della ragazza si illumina immediatamente, portandola a battere le mani, felice di apprendere di essere riuscita nell'impresa di aver reso giustizia a quell'invito tanto particolare. Che lo diventa ancora di più quando una voce decisa, austera, corposa, si fa strada tra le sue sinapsi. « Vi ringrazio per aver accettato il mio invito ed esservi riuniti qui, oggi, nella speranza di una conoscenza reciproca che possa portare fortuna a voi ed a me in egual misura. Come prova della mia gratitudine ho preparato una dimostrazione della famosa quanto antica cerimonia del tè, conosciuta come Sadō. Spero possa allietare le vostre anime ed i vostri cuori, miei signori. » L'attenzione di Scylla, solitamente così labile, così difficile da ottenere, rimane bloccata, completamente focalizzata sul palchetto dal quale parla un ragazzo - indubbiamente Mr. Yamazaki -, che incede in quella società di vipere mostrando il suo miglior sorriso, porgendo una guancia, offrendo un fianco. Chissà in cambio di cosa. Immagina nella sua piccola testolina, le labbra arricciate in un sorriso, le mani ad unirsi in quell'applauso misurato ma estasiato quando la cerimonia ha inizio, con un'anziana signora che mostra la via del tè, in ognuno di quei minuziosi passaggi affascinanti. La concentrazione della ragazza, a quel punto, si fa sempre più instabile, un richiamo lontano che cerca di attrarla a sé, spingendola ad alzarsi, a correre via, lasciandosi guidare dal brusio inconsistente che si frappone tra sé e quella gentile signora che continua a presentare loro la gratitudine che Mr. Yamazaki sta mostrando attraverso di lei. Stringe i denti, Scylla, le unghie appuntite conficcate nei palmi delle mani per cercare di resistere all'impulso di alienarsi, di cadere nella tana del Bianconiglio ancora una volta. Rimani, rimani, rimani. Si intima, cercando di scacciare quella che per lei altro non è che la dimostrazione del suo disturbo della concentrazione. Riesce a bere il tè che le viene offerto, fissando i propri occhi su un petalo di ciliegio che, sbarazzino, le danza di fronte alle iridi di smeraldo. Si fissa su quell'insignificante dettaglio per ritrovarsi a sorridere. « Piccola mia. » Le pupille si sgranano appena nel momento in cui quella voce la chiama. Con la coda dell'occhio nota l'inconfondibile vestiario rosso che conosce ormai fin troppo bene. « Sei vestita di vermiglio per me? » Sospira, pronta a scappare con lui, decidendo di congedarsi da suo padre quanto più in fretta e nel modo più pulito possibile, tanto da non permettergli di poter aggiungere alcuna replica. « Non credevo fossi stato invitato anche tu. » Una volta allontanata di qualche metro si rivolge, canzonandolo, all'uomo che incrocia la sua strada un po' troppo spesso la sua strada, nell'ultimo periodo. Ha ormai capito, dopo i primi strambi episodi in cui si è ritrovata a conversarci in posti affollati, di essere l'unica a poterlo vedere. Curioso. « Io sono ovunque tu sia. » Capelli lunghi raccolti in una coda, pelle ambrata, vestito di tutto punto, occhialetti rotondi ben calati davanti agli occhi. « Me li farai mai vedere? » Gli indica lo sguardo sempre oscurati da quelle pesanti lenti scure, talmente buie da non permetterle di percepire nemmeno i battiti delle ciglia. « Ne rimarresti turbata. » È sempre così criptica, la Morte. Lui le parla e lei fa fatica a capire veramente cosa le voglia dire eppure gli sorride, felice di non essere più sola, con quel ronzio che, quando lui è con lei, sembra scomparire. Sovrastato dalla magnificenza che l'uomo emana persino semplicemente camminando. Lo osserva, passo dopo passo, ritrovandosi a passeggiare ancora una volta sotto alcuni ciliegi che salutano la primavera offrendole i migliori dei loro boccioli. « Quindi ti piaccio? » Fa per lui una piccola giravolta, al quale la Morte risponde con un ridacchiare di pancia. « Del tutto appropriato al tuo cuore. » La fa sorridere mentre alza il volto, giusto in tempo affinché un petalo, cadendo, possa accarezzarle la punta del naso. Una scampanellio che arriva direttamente dalle sue corde vocali le accarezza le labbra nel fuoriuscire in una risata di cuore. « La fioritura dei ciliegi è una perfetta cornice alla vostra bellezza. Sarebbe un peccato tornare tra gli altri invitati proprio ora e negare al padrone di casa una tale visione. » Gli occhi della Carrow scattano verso destra, lì dove non c'è più la Morte, ma l'ospite principale dell'occasione in persona. Le guance si tingono di un leggero strato di porpora, che va confondendosi con le efelidi che le ricoprono, gonfiate immediatamente dopo da una smorfia imbarazzata, tipica di una bambina colta con le mani nel sacco. L'indice a nascondere la parte superiore delle labbra, a camuffare un po' di quel disagio. « Sarei una tale sciocca a non approfittare della vostra compagnia, strappandovi alle aguzze attenzioni altrui. » Negli occhi verdastri tutta l'innocenza di una ragazzina presto ventenne, sulla lingua parole che
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    sembrano alludere alla malignità come unica fonte alla quale tutti gli invitati si abbeverano, felici. « Non credo però di essere la conoscenza più vantaggiosa che potrete fare quest'oggi. » Le labbra carnose si stringono, risucchiate giusto un istante all'interno della bocca per non mostrare il sorriso affilato che stava per nascervi. O forse sì, forse sarei la più interessante. Si domanda allora se non sia tutto un piano di suo padre, quello di aver chiesto proprio a lei di accompagnarlo. Non Xaden, non Hecate, non Efrem e sua moglie, di certo tutti più avvezzi a certe formalità rispetto ai tre più piccoli della cucciolata. Vuoi che mi avvicini a lui? Oppure no, forse è più probabile che non voglia affatto che sia proprio lei a farsi vicina ad un tale elemento di scompiglio. E proprio per questo, diventa ancora più irresistibile ai suoi occhi. « Priscilla Carrow. » Non è certa di dover allungare una mano verso di lui, o magari fare un inchino. Nel dubbio, fa una contenuta riverenza prima di offrirgli il suo palmo della mano per essere accolto al di sotto del suo braccio, in quella che spera essere una passeggiata che possa riempirle gli occhi della bellezza che la circonda. « È un onore avere il padrone di casa in persona a farmi da Cicerone. » Aggiunge con un'alzata di spalle e un timido sorriso che, man mano che camminano, oltrepassando alberi e siepi curati nei minimi dettagli, si fa sempre più largo non appena nota alcuni bastoni variopinti, abbandonati al loro destino nei pressi di uno spiazzo erboso. Non riesce a trattenersi, la bionda, buttandosi in avanti, in una leggera corsa che la costringe a tenere ben alti gli strati della gonna, per ritrovarsi poi a poter raccogliere una di quelle mazze, dalle fattezze tanto particolareggiate e rifinite da lasciarla a bocca aperta. « Sembrano quelle da Pall. » Arriccia il naso nel compiere una giravolta di fronte agli occhi del suo accompagnatore, la mazza a roteare tra le sue dita, a sembrare una majorette. « Ma potreste non conoscerlo, ancora. Voi mi fate scoprire il vostro gioco -» un sorriso si apre sulle labbra scarlatte, i denti affondati in esse mentre lo fissa in quegli occhi di tenebra che la richiamano, le spalle ondeggianti in un movimento quasi bambinesco «- e io vi mostro il mio? »


    Edited by moondust. - 26/4/2024, 10:06
     
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    Satoru Akira Yamazaki

    Qualcuno aveva di certo svolto un ottimo lavoro nel consigliare alla giovane come vestire per l'occasione. Al contrario degli altri invitati, ostinati nelle loro vesti occidentali, la piccola si era premurata di ricercare un vestiario che rendesse omaggio ai paesi natali del padrone della residenza. Il rosso intenso che l'avvolgeva in una morbida stretta richiamava i tramonti più intensi, la passione più vorace, il richiamo irresistibile del sangue, creando un piacevole contrasto con quella pelle tanto pallida ed immacolata. Che avrebbe voluto macchiare quella stessa pelle di una passione ben più intensa di qualsiasi tinta, Satoru lo pensò immediatamente. Il bambino prodigio aveva infondo mostrato sempre una particolare... attrazione verso qualsiasi cosa fosse bella, quasi la sua anima sporca di fin troppi peccati ricercasse costantemente nella bellezza estetica che lo circondava un qualcosa in grado di ripulirlo di volta in volta. Si era circondato negli anni di oggetti di inestimabile valore e di donne così belle da sembrare irreali, posizionando ogni dettaglio nell'ambiente con maniacale cura perché tutto risultasse in perfetta armonia. Sarebbe allora riuscito l'Aka a mantenere il proprio ruolo protettivo, al fronte dell'avanzata di quell'Oni vestito di nero ed oro? Si dipingevano di rosso templi e torii per mantener lontani gli spiriti maligni, ma non sempre era abbastanza. Eppure quella creatura all'apparenza tanto innocente sembrava nascondere tra le labbra carnose una lingua in grado di carezzare verità che la giovane età avrebbe forse dovuto tenerle segrete per ancora qualche altro anno. « Sarei una tale sciocca a non approfittare della vostra compagnia, strappandovi alle aguzze attenzioni altrui. » In totale contrasto con il rossore fanciullesco mostrato ai complimenti ricevuti quella dolce melodia che ne accompagnava la voce cristallina sembrava macchiata di una lucidità spietata per alcuni versi, in un'ennesima contraddizione che lasciò i severi angoli della bocca del giapponese inclinarsi appena e quasi impercettibilmente nell'ombra di un sorriso. Che la bellezza si sposasse con qualcosa di anche vagamente interessante era d'altronde assai raro, quanto affascinante. Con passi lenti lo Yamazaki avanzò sotto quei ciliegi in fiore che ancora lasciavano cadere il una profumata pioggia i loro fiori più belli, disseminando il prato ben curato di un mantello di malinconica perfezione su quale i piedi potevano concedersi il lusso di poggiare senza alcuna pietà, calpestando quei minuscoli doni della natura. Con le mani ancora nascoste nelle maniche del pregiato kimono rimase a poco più di un metro da quel figurino biondo, lasciando agli occhi modo di scorgerne sempre più dettagli man mano che la distanza diminuiva. Gli occhi di un sorprendente verde. Le labbra carnose. La forma del naso, appena arricciata all'insù proprio sul finale. « Priscilla Carrow. » Una delle figlie di Abraxis Carrow, quindi. Dalle ricerche condotte sulla famiglia erano emersi diversi figli ed appena sotto la facciata da perfetta famiglia sembrava celarsi qualcosa di maleodorante su cui tuttavia Satoru non aveva ancora rivolto le proprie attenzioni, intento a decidere quanto effettivo guadagno avrebbe potuto ricavare da quel nucleo familiare che aveva visto passare i propri giorni di gloria con la sconfitta dell'oscuro signore, riuscendo a mantenere integra nient'altro che una ricchezza piuttosto noiosa agli occhi di chi ricercava contatti influenti più del denaro. Dedicarsi tuttavia a scoprire cosa nascondesse Priscilla Carrow dentro quegli occhioni da bambina e sotto quelle vesti sembrava abbastanza per convincere Satoru a concederle per qualche altro minuto la propria attenzione. Ne seguì i movimenti con lo sguardo affilato, dalla piccola riverenza al successivo avvicinamento, del tutto privo di quel timore che accompagnava solitamente chiunque avesse ricevuto dapprima il permesso di sfiorarlo con un solo dito. Ma la giovane non attese alcun cenno d'assenso per posare la piccola mano contro il suo braccio, come se le fosse concessa per diritto quella confidenza che mai nessuno osava avanzare al cospetto dell'uomo. Ne sentì la lieve pressione attraverso la stoffa, Satoru, un attimo prima di portare le proprie dita su quelle di lei, catturandole in una morbida morsa alla quale sembrava tuttavia impossibile sottrarsi. Allontanò dal braccio quel palmo caldo, dando in un primo momento forse l'impressione di volersi sottrarre al tocco della ragazza... e tuttavia e contro ogni previsione, fu vicino al naso che condusse quel polso su cui le vene bluastre disegnavano percorsi delicati. La costrinse a tenere il braccio sollevato per il tempo necessario a permettere alle narici di intercettare e memorizzare il suo profumo, prima di tornare a condurre quella manina contro il proprio braccio. Il Kōdō era sempre rientrato infondo tra le sue pratiche preferite, che la via della fragranza si perdesse tra le spire dell'incenso o sulla pelle di una giovane dagli occhi di bosco. « È un onore avere il padrone di casa in persona a farmi da Cicerone. » Senza ancora proferire parola la guidò attraverso i giardini curati e sempre più lontano da dove gli ospiti continuavano a muoversi nello spazio per loro preparato, sentendo il solo desiderio di poter guidare quel figurino il più lontano possibile da occhi indiscreti e sempre più vicina all'enorme figura della villa dalla struttura tanto inusuale per quei luoghi. Lì dove l'Oni nascondeva la propria tana. Era forse per preservarsi, al solo sentore delle intenzioni dell'altro, che Priscilla sembrò allontanarsi allora alla ricerca di un diversivo? Satoru la osservò correre come una bambina guidata dal solo entusiasmo davanti a sé, fino a raggiungere degli Hagoita – probabilmente abbandonati sul prato da alcune delle domestiche dopo qualche ora di svago tra un'incombenza e l'altra – e metter le mani sulle palette in legno dipinte con paesaggi di un paese ben lontano. Lo Hanetsuki era un gioco riservato principalmente alle donne, eppure Satoru aveva qualche vago ricordo di aver scambiato qualche passaggio in passato, nelle torride giornate dell'estate giapponese, sul prato dell'enorme villa di suo padre dove aveva vissuto i primi anni della propria vita. Si ritrovò ad inclinare appena il capo. « Sembrano quelle da Pall. Ma potreste non conoscerlo, ancora. Voi mi fate scoprire il vostro gioco e io vi mostro il mio? » « Le usanze ed i giochi del vostro popolo non sembrano in grado di attirare la mia attenzione, a dire il vero. Eppure non sono nemmeno giocare per nulla. Come potremmo fare? » Recuperò dal manto erboso la leggera pallina ornata di piume, prima di tornare ad avvicinarsi a lei tanto da poter chiudere la presa della mano libera attorno alla sua mano e la paletta che stringeva. Con un leggero strattone la costrinse ad avanzare di un passo, il tanto necessario a permettere alle labbra di scivolare ad un solo soffio da quell'orecchio pallido e dalla forma tanto graziosa. « Chi per primo farà cadere la pallina dovrà donare all'altro un qualsiasi desiderio. Vi sembra un giusto premio? »



     
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    Non è certa che le piaccia il silenzio che il padrone di casa decide di concederle in risposta alla sua evidente curiosità. Il mutismo, difatti, non è mai andato molto a genio alla piccola Scylla, sempre iperattiva e talmente piena di vita da riuscire a sciogliere persino gli animi più rigorosi e austeri, di certo sono pochi quelli che riesce ad infastidire a tal punto da costringerli a cambiare strada per non aver niente a che fare con quella palletta di luce e raggi solari. Per questo motivo si chiede come il ragazzo che ora fronteggia, con la sua racchetta ben stretta tra le dita, faccia a rimanere così irrigidito, trincerato dietro un'alta fortezza di pietra spessa che lo nasconde nella sua interezza, costringendo il mondo ad osservarlo da lontano, attraverso le fenditure. Neanche il tuo nome mi hai detto. Si ritrova a pensare, la biondina, un improvviso broncio costringe le labbra ad incurvarsi gravosamente verso il basso, sotto il peso della delusione che la sta improvvisamente cogliendo alla sprovvista. Una bambina insoddisfatta dall'invito a giocare che non viene minimamente preso in considerazione dall'altra parte. « Le usanze ed i giochi del vostro popolo non sembrano in grado di attirare la mia attenzione, a dire il vero. Eppure non sono nemmeno giocare per nulla. Come potremmo fare? » Il solo sentirlo nuovamente parlare porta gli occhi verdognoli a riempiersi di luccichii che gli dedica nel momento in cui li fissa sulla sua figura, che sembra muovere con sé, ad ogni passo, la pura oscurità che vortica tra le trame del suo vestiario scuro. Non c'è nulla che desti la tua attenzione, quindi? La lucentezza eloquente in quelle iridi che sembrano più scure sotto il cielo non particolarmente limpido di quella giornata, messe ancora più in ombra dalle fronde degli alberi che formano una specie di cupola su quella radura intima in cui si ritrovano a fronteggiarsi. Scylla lo fissa, dal basso, quando lui decide di strattonarla verso di sé, le dita serrate sulla sua mano. Hai la mia attenzione, un sopracciglio si piega sotto il carico di quella parole, così come le labbra si distendono non appena lo sguardo ricade sulla mano di lui che la stringe, tornando lentamente ai suoi occhi. « Chi per primo farà cadere la pallina dovrà donare all'altro un qualsiasi desiderio. Vi sembra un giusto premio? » Alza il viso verso di lui, Scylla, un sorrisetto quasi bambinesco a deformarle le labbra gonfie, poi annuisce, diligente, decisa a seguire le sue regole, accettando la posta da lui decisa per quel gioco. E pensa, al proprio desiderio, Priscilla, quando si allontana di qualche passo, abbassandosi giusto un istante per sfilarsi le scarpe che si potrebbero rivelare soltanto un impiccio. Ci pensa mentre aspetta che lui lanci il volano per primo, allontanandosi abbastanza da esserci più di trenta piedi, misurati uno davanti all'altro, con il tallone di quello davanti incollato alla punta di quello dietro, come faceva da bambina con Merope, non riuscendo a fare i calcoli reali in yard, con tutti quei numeri che le si confondevano davanti agli occhi. Desidera tante cose, Scylla, come una ragazzina dagli occhi troppo grandi che vorrebbe avere tutto, persino il mondo ai propri piedi per poter arrivare ad esplorarlo in ogni suo più remoto angolo. Pensa al suo desiderio quando la mazza batte contro la pallina una prima volta, restituendola alla portata del suo avversario. Pensa alla tranquillità che quello spiazzo le regala nel momento esatto in cui il canto degli uccellini si fa più concitato quando la sua racchetta colorata colpisce ancora una volta la palla che, con un movimento curvo, torna al padrone. Gli occhi della Carrow si riempiono di accesa competizione quando i passaggi si fanno via via più concitati, tanto da portarla ad affrettare il passo, costringendosi a correre da una parte all'altra del campo per non lasciare il punto all'avversario. Il cuore prende a batterle più forte, il petto ad alzarsi sempre più velocemente, stretto com'è tra quelle vesti di taffetà. Per quanto provi a fare tutto con la grazia e la leggerezza che da sempre la contraddistinguono, l'orlo del vestito, infine, si ritrova a scivolarle sotto i piedi nudi, portandola ad allungarsi un'ultima volta per recuperare la pallina in uno slancio degno della Sharapova nella migliore delle sue forme, prima di ruzzolare a terra in una capriola di tessuti svolazzanti, rosso e oro, la racchetta che le cade dalle dita per cadere a sua volta tra i filamenti di quel prato talmente perfetto da essere palesemente curato giornalmente. « Perlomeno sono riuscita a salvare l'ultimo punto. » Si trova a dire una volta messasi a sedere, con una mano pronta a togliersi le ciocche di capelli incastrati tra i fermagli tintinnanti. Con uno sbuffo divertito, fissa gli occhi cangianti sulla figura del ragazzo, le labbra arricciate in una smorfia nel rendersi conto di essere in una posizione di svantaggio, terreno sul quale non è solita giocare, decisamente più abituata a vincere per il suo riconosciuto spirito competitivo. « Seppur creda di aver fatto un tale ottimo salvataggio da valermi la vittoria, stata ai vostri giochi, ora starò alle vostre regole. » Il contatto visivo, volutamente, fino a quel momento non viene reciso in alcun modo e continua a mantenerlo vivo anche mentre ride, una risata trasparente che lentamente scema in un sorriso più tenue, i lineamenti del volto più decisi. « Il mio desiderio è conoscerti. » Volontariamente si prende nuovamente una confidenza che lui non le ha concesso, e insolentemente lo guarda dal basso, da sotto le ciglia lunghe, lasciando che quella posizione sfavorevole possa garantirle l'accenno di un'utilità che possa tornarle in aiuto come vantaggio. Un rivolo di vento le accarezza la pelle nuda, costringendola ad asservirsi a quel brivido che l'attraversa il corpo quando si accorge di avere la parte inferiore completamente esposta. La gamba destra, sinuosa e dalla pelle rilucente, da mostra di sé dalla caviglia fino all'inguine, sfuggita alla pesantezza delle balze della gonna per mostrarsi attraverso lo
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    spacco presente al centro. Non si lascia andare ad un sorriso aperto, Scylla, non accenna nemmeno a stenderne gli angoli seppur sia effettivamente compiaciuta da quel risvolto inaspettato sul proprio terreno di gioco. Non vuoi essere una preda, ma sai essere un predatore? « Voglio sapere com'è essere te. Com'è essere temuto come ho visto fare dalla metà delle facce dei presenti, che mai si sarebbero perse quest'evento pur non conoscendo l'essenza che vi era dietro l'invito. Com'è non farsi toccare minimamente da ciò che ti scivola, addosso ma lontano, persino gli sguardi non sembrano toccarti. » Le braccia scivolano all'indietro, le dita si arpionano al prato, il petto viene in avanti grazie a quel suo sedere elegantemente. « Com'è essere venerato a distanza come un Dio. » Gli occhi ora si uniscono nuovamente a quelli d'ombra di lui, vi si fissano come a volervi scavare attraverso, pronti ad arrivare ad un qualcosa che quel ragazzo non gli ha ancora dato. E io lo voglio, è questo il mio desiderio. La gamba, ancora scoperta, mette in mostra il tatuaggio prima di fuggire al di sotto dei veli rossi e tornare nuovamente a farsi intravedere tra di essi, in un ciondolare giocoso e continuo, da destra a sinistra. Sul volto di lei la luce tipicamente spassosa e briosa che solo l'età fanciullesca sa donare. « Si sente mai sola una divinità, lassù, come decide di porsi, al di fuori della portata di chiunque, al di sopra delle teste di chiunque? » Come sembra effettivamente piacerti. « Io mi ci sentirei, terribilmente. »
     
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    Satoru Akira Yamazaki

    Era piacevole poter osservare come la preziosa giada contornata dalle ciglia dorate vibrasse nel reagire ad ogni sua parola senza ancor piegarsi al terrore che solitamente accompagna gli sguardi che gli venivano rivolti, ma animata unicamente dalla curiosità che quella straniera rivolgeva alla figura di Satoru, evidentemente tanto differente da chiunque avesse conosciuto nel corso della sua vita da risultare a lei come proveniente da una dimensione ben più eterea e divina di quella a cui apparteneva ogni uomo. Solleticava il suo ego, carezzandolo con esili dita e sorrisi tinti di entusiasmo che si posavano su di lui come acqua profumata per ripulirne il corpo. Ed era così leggera Priscilla Carrow, nella convinzione di aver avuto per un solo attimo libera scelta sull'eventualità di prestarsi alle regole imposte dalle labbra dello Yamazaki o di poterle rifiutare. Come se non fossero le volontà di un Dio quelle pronunciate dal moro ed una semplice umana avesse poi possibilità di contestarle. La lingua si arrotolò pigramente dentro la bocca ben chiusa, portandone la punta a carezzare il palato come alla ricerca di un sapore rimasto lì sopra per poi essere invero dimenticato. Ma sapeva bene Satoru che non era ancora possibile trovare nel calore della propria bocca il sapore che il suo corpo iniziava inconsciamente a bramare mentre il figurino avvolto nell'oro e nel rosso si allontanava il tanto necessario a metter tra loro un'esigua distanza. Affatto sufficiente a metterla al sicuro, a dire il vero. Priscilla come una bambina sorrideva senza tentare di nascondere l'eccitazione per il gioco che stava per avere inizio, riempendo il petto di Satoru alla sua vista di un sospiro appena più profondo degli altri. Aveva capito presto, il bambino prodigio, di come gli abitanti di quelle terre lontane dal Giappone fossero incapaci di percepire la verità in lui celata. Smossi dall'idea del loro fittizio Dio misericordioso e sempre giusto, avrebbero invece sottovalutato la mutevole natura dei Kami. C'era affetto nella loro devozione, ma vivevano solo nel timore di quello che le loro azioni avrebbe potuto riservagli poi nell'aldilà e mai nella cieca paura che il capriccio di una divinità li distruggesse senza apparente ragione. Tanto stolti da risultare nauseanti. Non percepivano sotto la pelle d'alabastro di quel ragazzo il potere di Izanagi, che creò dalla sua lancia ogni isola, né riuscivano a sentire nel rumore dei suoi passi l'eco dei tamburi di Raijin, pronto a radere al suolo ogni cosa con la tempesta. Nessuno aveva quindi messo in guardia Priscilla, che guardava a lui con curiosità bambinesca piuttosto che con quel timore che le avrebbe forse suggerito di allontanarsi il prima possibile. Che di giocare con divinità tanto capricciose, finivano gli umani quasi sempre con il pentirsi. Perché era per capriccio che Satoru decideva di concederle il proprio tempo, guidandola lontana da chiunque avrebbe potuto nell'osservare come il padrone di casa avesse posato gli occhi su di lei intimarle di compiere un passo indietro per uscire dalla sua portata. Sussurrandole con fare concitato di come i desideri potessero rivelarsi letali se ben usati. Ma era troppo tardi e già la leggera pallina ornata di piume librava nell'aria, simile ad un uccellino intento a volare tra di loro con sempre maggior foga, senza tuttavia mai perdere la sua eleganza. Muovendosi appena lo stretto necessario, in un morbido fruscio delle pregiate vesti nere e dorate, lo Yamazaki seguì ogni movimento del volano, colpendolo con flessioni eleganti del polso che portavano la paletta in legno a cambiarne la traiettoria Lanciò per le prime volte in direzione della ragazza, allargando tuttavia colpo dopo colpo il campo di gioco, spedendo quel capriccioso uccellino sempre più distante dalla racchetta dell'altra, così da costringerla a correre da un lato all'altro del prato ben curato con sempre maggior foga. Non giocava assieme a lei, quanto più con lei, comandandone i movimenti senza proferir parola, con le labbra appena arricciate agli angoli in quello che ad osservarlo da vicino sarebbe parso come l'accenno di un sorriso. Fu solo quando vide la giovane ruzzolare a terra nel tentativo di raggiungere per un'ultima volta la pallina piumata - riuscendo a rispedirla verso di lui - che nell'intercettarne la traiettoria, la afferrò senza difficoltà tra le dita affusolate piuttosto che colpirla nuovamente. Il gioco era giunto a termine. « Perlomeno sono riuscita a salvare l'ultimo punto. Seppur creda di aver fatto un tale ottimo salvataggio da valermi la vittoria, stata ai vostri giochi, ora starò alle vostre regole. » Non sembrava aver intenzione di alzarsi, la Carrow, così stesa tra i fili d'erba ed improvvisamente scombinata da causare un brivido di fastidio lungo la schiena del moro, che della ricerca dell'equilibrio aveva fatto negli anni una patologica costante in ogni sua giornata. Avvertì i polpastrelli formicolare, tanto era il desiderio di posarsi su di lei per sistemarla. Eppure si limitò ad immettere aria tra le labbra appena socchiuse, concedendole dall'alto uno sguardo che non avrebbe di certo risentito della pressione di quell'unione tanto duratura con le iridi di lei. Non era certo nella natura di Satoru la vergogna. « Il mio desiderio è conoscerti. » E nel mentre che gli occhi vagavano ancora da lontano lungo le pieghe di quella stoffa cremisi e, senza alcun pudore, sulla sensuale visione della gamba nivea che la Carrow sottoponeva al suo sguardo, il bambino prodigio percepì ognuna di quelle parole scivolar sensualmente sotto la propria pelle, tornando a solleticare quell'ego invero smisurato che sembrava cantare al pensiero di essere al centro dei desideri altrui. Si avvicinò di qualche passo, senza produrre alcun rumore nel pestare il prato al punto da sembrare quasi levitare a pochi centimetri da terra. Non allungò verso di lei una mano per aiutarla a tornare in piedi, né la esortò in alcun modo ad abbandonare la posizione nella quale ancora si crogiolava. Era cosciente che fosse uno spettacolo volutamente concesso al suo sguardo quello, nulla di accidentale. « Voglio sapere com'è essere te. Com'è essere temuto come ho visto fare dalla metà delle facce dei presenti, che mai si sarebbero perse quest'evento pur non conoscendo l'essenza che vi era dietro l'invito. Com'è non farsi toccare minimamente da ciò che ti scivola, addosso ma lontano, persino gli sguardi non sembrano toccarti. Com'è essere venerato a distanza come un Dio. Si sente mai sola una divinità, lassù, come decide di porsi, al di fuori della portata di chiunque, al di sopra delle teste di chiunque? Io mi ci sentirei, terribilmente. » « Il vostro desiderio è quindi quello di scavare nei segreti di una divinità. » Potrebbe essere pericoloso. Nessuno avrebbe visto quel giorno il corpo del Dio chinarsi, fino a poggiar le ginocchia proprio tra quelle cosce che Priscilla schiudeva a lui senza ancora rivelarne tutti i misteri. Le dita affusolate sfiorarono l'oro ed il rosso senza fretta e sul petto della giovane prima, sulla sua vita poi, ne sistemarono con maniacale attenzione le increspature. Come fosse una bambola la vestì come preferiva, senza ancora toccarne la pelle eppure lasciando che fosse per lei inevitabile chiedersi come sarebbe stato quel tocco al di sotto delle pesanti vesti che indossava. « Vi soffermate mai a pensare su come sia sentirvi addosso gli sguardi colmi di desiderio degli uomini che cercate di trascinare nella vostra trappola, oppure avete avuto a solleticarvi quelle sensazioni ormai così tante volte da considerarle parte inscindibile di voi, così da aver alla fine smesso prestarci attenzione? » La lingua scivolò lentamente tra le labbra carnose a lasciarne intravedere appena la punta rosata mentre lo sguardo ricercava ancora gli occhi di giada per intrappolarli nei propri. Mentre il gioco iniziava ancora una volta. « Essere osservato da lontano, temuto, venerato è per me come respirare. Come sentire in petto il battito del mio stesso cuore. È parte di quel che sono, inscindibile ed immutabile. È naturale come aprire gli occhi ad ogni alba, come sentire i profumi ed i suoni di ogni cosa. Non è bello o brutto. Semplicemente è. » Allontanò allora da lei le mani, seppur non sembrasse aver intenzione di privarla altrettanto in fretta della vicinanza del suo corpo. Le dita le portò contro l'apertura della stoffa che sul petto formava una rigorosa V, spingendola a scivolare lungo le spalle. Lasciò che la stoffa ricadesse fino alla vita, rivelando il petto e le braccia, il ventre e la schiena. Era un tripudio di colori e forme quel corpo, una tela meravigliosa con demoni e divinità incise nella carne in rossi accesi e neri profondi. « E quando una divinità ha fame, saranno i suoi servitori a portargli cibo. Quando ha sete qualcuno correrà a versare acqua sulle sue labbra. Quando si sentirà sola, allora gli basterà ordinare che qualcuno riempia il vuoto ed ogni desiderio diverrà legge. » Non fu gentile la stretta attorno all'esile polso della giovane, ma nemmeno dolorosa. Esigente. Guidò la sua manina al centro del proprio petto, a sfiorare la pelle calda e profumata. « Vi sembro solo, ora? Credete dovrei ordinarvi di farmi compagnia? »
     
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