Romeo, Romeo, why are you... Carrow?

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    Iniziare una nuova vita poteva risultare piuttosto complicato, soprattutto quando si era vittime di una storia di cui non ci si poteva definire protagonisti pur sapendo che questo fosse esattamente ciò che altri si auguravano.
    La nuova vita per Lyall Carrow era ormai iniziata da un po', e la sua natura era in verità duplice: la sfaccettatura che tutti riuscivano a scorgere e a esibire come propria in un guizzo di orgoglio negli occhi e quella di cui in pochi erano consapevoli, un segreto che sarebbe dovuto rimanere tale. Era di quest'ultima che andava fiero, il minore dei Carrow, la stessa che tuttavia doveva tenere nascosta a colui che avrebbe fatto carte false per riscontrare un altro solo, insensato motivo per massacrarlo, così come in altre occasioni passate non si era risparmiato di fare. L'amore che Abraxis nutriva per la propria prole era cosa risaputa, ma Lyall a volte si era domandato cosa sarebbe accaduto se la realtà effettiva fosse venuta fuori oscurando le apparenze. La risposta, in ciascuna di tali occasioni, era stata una e una soltanto: con ogni probabilità, quella triste successione di eventi si ripeteva costante e immutata nella vita di tutti i rampolli dell'alta società, costretti a realizzare in toto le aspettative dei propri predecessori.
    Aveva imparato la lezione, il bruno, lasciandosi guidare da una bugia che gli avrebbe concesso di respirare aria pulita nei nidi in cui gli era permesso farlo.
    Il corso per diventare Restauratore era stata una gentile concessione del padre per accontentarlo in un desiderio che non avrebbe mai riscontrato la propria realizzazione, il club dei Belladonna un modo come un altro per tenere sotto controllo la bramosia che Scylla nutriva per tutto ciò che lui non riusciva a comprendere, ma il resto... il resto era soltanto suo.
    C'era tuttavia qualcosa di intrigante nella scia che Abraxis gli aveva imposto di percorrere, alcuni compromessi che, pur non andandogli a genio, riuscivano a solleticarne l'interesse fino a consentirgli di provare addirittura piacere nel perseguirli con tenacia e bramosia. Fra le tante dame che avevano fatto il rispettivo ingresso nell'alta società dei maghi Purosangue del Regno Unito, ve n'erano alcune più idonee agli occhi del capofamiglia dei Carrow, coloro a cui Lyall avrebbe dovuto fare da pretendente valutando eventuali seconde scelte, pur tenendone a mente una e una soltanto: la più ambita, la più potente e la più desiderabile. Meave Cousland non sapeva a quale destino infausto sarebbe potuta andare incontro, laddove Lyall si fosse rivelato incline a ottemperare alle richieste del padre. Pretesa da corteggiatori posti ben più in alto del bruno nella catena alimentare della fetta più elitaria della comunità magica, l'erede dei Cousland avrebbe avuto il suo bel daffare nel ponderare una scelta che fosse ben allineata con le pretese della famiglia. D'altro canto solo il meglio per la nipote del Ministro della Magia inglese.
    Emise uno sbuffo verso l'alto, scostando il ricciolo ribelle che negli ultimi minuti era stato tanto determinato a solleticargli la fronte nonostante le numerose rimostranze delle sue dita.
    Si lasciò indietro i compagni, quegli invasati che in parte erano diventati amici, ma per lo più erano rimasti conoscenti con cui non aveva nulla da spartire, se non la consapevolezza di aver trovato un posto in cui esprimere se stessi. Non poteva certo fotografare i loro volti o sfogliare le riviste babbane sui motori davanti ai loro occhi né invitarli a bere qualcosa nello squallore di un minuscolo appartamento a Hogsmeade, ma quanto meno tra i Belladonna poteva respirare, smetterla di trattenere il fiato come fosse costantemente sotto esame.
    Aveva finto per tutta la vita, sapeva dunque come fare, ma questo non lo rendeva meno difficile ogni anno che sfumava al pari di un colore sbiadito dalla sua esistenza.
    Fischiettava, quasi non dovesse temere di venire scoperto o svegliare i più impiccioni tra i quadri di quel noto corridoio. Aveva infilato le mani nelle tasche dei jeans - altra diavoleria babbana che apprezzava oltre ogni dire - riteneva gli conferissero un look più sbarazzino - e una felpa oversize ricopriva una schiena ricolma di striature per la brutta caduta che aveva collezionato durante l'allenamento di quel pomeriggio. Si era ripromesso di andarci piano: l'ultima cosa che voleva era restare bloccato in infermeria per qualche giorno, dato l'importante evento nel quale era stato ingaggiato come fotografo. Quando quella sua bislacca idea aveva preso piede, non credeva che sarebbe riuscito a ottenere incarichi: il nome di suo padre era piuttosto noto da far sì che nessuno rischiasse di farselo nemico assumendo il figlio minore affinché scattasse qualche foto ricordo di eventi importanti, eppure era evidente che ci fossero in circolazione più Carrow di quanti lui credesse, alcuni più importanti di altri e altrettanti lasciati a perire ai margini di una società intenta a ignorarli. Mai una discriminante realtà fu più gradita agli occhi del bruno.
    Da poco si era concesso un orecchino, un cerchietto che brillava d'argento sul lobo sinistro, quell'altro minuscolo piede fuori dalla porta e di cui andava molto fiero.
    E a proposito di questo, una volta richiusa la porta della Stanza delle Necessità alle proprie spalle Lyall si ritrovò di fronte una presenza che lo fece impercettibilmente trasalire, salvo poi riconoscerne le fattezze e tirare un sospiro di sollievo.
    «Beccata.»
    Inspirò fra i denti, come per sottolineare la gravità delle circostanze che lui stesso aveva contribuito a creare.
    «Violi il coprifuoco, Cousland?» La rimbeccò Lyall inarcando un sopracciglio e rivolgendole un sorriso sornione. «Dovrei proprio farti sottrarre qualche punto dalle autorità scolastiche.» Di cui una, tanto per precisare, era lei.
    Restò in silenzio a osservarla scoppiare, dunque, permettendole di regalandogli la prima, vera gioia di una serata fino ad allora considerata da lui esageratamente sterile.
     
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    Si trovava in una radura. Pur essendo avvolta dall'oscurità, glielo diceva lo scricchiolio dell'erba sotto di sé, frammenti di foglie e terriccio che affondavano nella fanghiglia insieme ai suoi piedi nudi. Glielo raccontava l'aria, sempre più gelida, dal caratteristico odore di pino e le note verdi e legnose di abeti e conifere. Avvertiva un gelo sempre maggiore avvolgerla, lasciandole ondeggiare al vento i lunghi capelli ramati, ma non la preoccupava il suo corpo tremante per il freddo. Né l'angosciava il buio dal quale era serrata, avvinta in una presa di tenebra. Era confortante, in un certo senso. In quel luogo non riusciva a pensare. Non si sentiva soffocare, per il peso di tutte le sue aspirazioni. Non c'era posto per nient'altro che non fosse la sua essenza. Forse avrebbe fatto meno male, restare lì per sempre, a crogiolarsi nel conforto della scurità. Forse sarebbe stato più giusto così: nessuna pressione, alcun vincolo od aspettativa per una vita nella quale si sentiva, ogni giorno di più, sempre più oppressa e in una condizione di costrizione. Sola. La solitudine, in fondo, scevra da ogni sorta di condizionamento. E poi... lo scrociare dell'acqua la ridestò. Maeve osservò il proprio riflesso nello specchio per diversi istanti, immobile di fronte al lavabo del bagno dei Prefetti. Non ricordava perché fosse arrivata lì, il motivo per cui avesse interrotto la ronda, attirata da quel ronzio immateriale che riecheggiava ormai da tempo nella sua testa. L'aveva soltanto seguito, obbedendo a quelle voci che udiva, il fruscio indistinto percepito in lontananza. Ancora una volta era stato come se fosse stata la sua stessa mente a richiamarla, tempestandola di violenti brusii finché non gli aveva dato ascolto. Continuava a ripetersi si trattasse semplicemente della sua Legilimanzia fuori controllo, ma anche se così fosse stato, doveva iniziare a trovare un rimedio a quella fonte di distrazione. Le capitava sempre più spesso. E tutti sapevano, perfino nel Mondo Magico, quale mesta fine attendesse chi udiva voci inesistenti. Coriolanus gliel'avrebbe fatto pagare col sangue, un qualsiasi imprevisto per i loro piani. Il suo 'piccolo progetto' non poteva perdersi strada facendo. Tutto doveva seguire quel percorso prestabilito, in una serie di eventi e decisioni già prese al posto suo, probabilmente prim'ancora della sua nascita. Ogni atto di ribellione, sarebbe finito inevitabilmente nello stesso massacro ai danni della piccola Cousland; un pretesto in più, per consentire all'uomo d'esercitare nella forma più brutale il pieno potere del quale vantava. O, sarebbe stato più opportuno definirli "metodi educativi", così come il Ministro della Giustizia li chiamava sin da quando Maeve ne avesse memoria. C'era da riconoscergli, che avesse sempre fatto in modo che i castighi, gli incantesimi e malefici per rimetterla in riga, non la sfigurassero in modo permanente e non le lasciassero alcuna traccia visibile. Forse era quella, la reale fonte del problema: sentirsi incastrata in una vita che non la soddisfaceva. Il non provare quasi nulla, ormai da tempo. La sensazione persistente d'essere vuota. Aveva tutto: soldi, fama, popolarità, amiche fidate, un'avvenire roseo e un futuro nel mondo della politica. Eppure, il più delle volte, era con quel perenne senso di vacuità che si ritrovava a coesistere. Come se niente, di ciò che possedeva, fosse davvero suo. Se non altro il pensiero di suo nonno e dei metodi persuasivi utilizzati per piegarla, riportandola all'ordine, la scosse del tutto da quello stato di intorpidimento. Venne fuori dallo stato di apatia e la mancanza di reazioni emotive, rendendosi conto di star rabbrividendo, le mani infilate sotto l'acqua scrosciante del rubinetto. « Che diamine fai, Maevey? » Parlò fra sé e sé, scostando le dita intirizzite dal getto freddo. Era di ronda quella notte. Cosa ci faceva quindi a perder tempo in bagno? Armandosi della solita maschera indossata ogni giorno nel Castello, prese un respiro profondo e ritornò a svolgere il suo ruolo, calandosi nei panni della Maeve Cousland pubblica - come se, in quegli ultimi minuti, non fosse stata risucchiata in un vortice di elucubrazioni sulla sua esistenza. Si era suddivisa col Caposcuola Superior i compiti. Ed era grata di poter fare i suoi giri di perlustrazione in quell'ala di Hogwarts in totale solitudine. Tanto passare la nottata fra i monosillabi di Baek è equiparabile allo stare da sola. Anzi, sono decisamente più a mio agio così. Anche se è sempre meglio di stare accoppiata con Roy. Fu quel fugace pensiero indirizzato al prefetto Grifondoro, a portarla a sbuffare e perdere un passo a vuoto... proprio mentre svoltava l'angolo di un noto corridoio, con tanto di quadri a far spesso da testimoni alle violazioni del coprifuoco e prodezze degli studentelli più giovani. Per un attimo, non aspettandosi alcun tipo di presenza su quel piano a quell'ora tarda, sussultò nello scorgere una figura nella penombra. «Beccata.» L'istante dopo, non fu difficile associare il tono di voce fastidioso, ad un viso conosciuto. Riccioli scuri ribelli, un viso dai lineamenti mascolini fin troppo marcati, ed una fisicità e portamento dietro i quali non poche ragazzette perdevano la testa. Lyall Carrow. Non poteva dire in realtà, di conoscere davvero quel ragazzo. Erano piuttosto le loro famiglie, ad essere sempre state in buoni rapporti, per quel tipo di legami secolari sanciti tacitamente fra le dinastie Purosangue. Non era mai stata un'ingenua, Maeve. Probabilmente sin da bambina, aveva compreso il reale motivo per il quale i Carrow fossero tanto disponibili e ben disposti nei confronti dei Cousland. Nella scala gerarchica, gli ultimi erano rimasti in cima alla piramide, ricoprendo ruoli di massima autorità. E ciò li rendeva appetibili, soprattutto per quei rami d'alta borghesia che dopo la Seconda Guerra dei Maghi avevano dovuto rimboccarsi le maniche, per riconquistarsi il consenso della società e ricostruirsi una reputazione. I Cousland erano invece nel loro periodo di pieno prestigio, ormai da decadi. Coriolanus aveva lavorato duramente, per far sì che accadesse. Non aveva compiuto un solo passo falso, durante la scalata per il potere. Nonostante ciò, Maeve sapeva quanto in realtà i Carrow gli andassero a genio. Erano dei fieri Purosangue, dopotutto. Abraxis era un uomo del quale tesseva spesso le lodi, pur riconoscendogli anche molti errori di percorso; Xaden il nipote che avrebbe desiderato avere come erede, anziché quello scellerato di Caél, se non fosse stato invischiato in assurdi pettegolezzi con la sorellastra. Sui più giovani non si era ancora professato, ma per quanto riguardava Lyall... poco importava, alla rossa, se fosse un Carrow, un Mezzosangue, un Nato Babbano od un Troll. Avrebbe potuto essere anche il figlio del Supremo Pezzo grosso od il Capo del Mondo, la sua opinione su di lui non sarebbe cambiata. I Carrow erano dei leoni abituati ad essere collocati in cima alla catena alimentare, divorando le loro prede. E potete proprio scordarvelo, che ricopra il ruolo della piccola, ingenua gazzella. Perché era quello, lo scopo di molte famiglie titolate come le loro. Accoppiare la prole, per continuare a mantenere intatto il loro status di sangue. Inalterato. Nobile, come quello dei Cousland. « Sei impazzito? Mi hai quasi fatto venire un infarto. » Sbottò con un sibilo silenzioso, compiendo gli ultimi passi per avvicinarglisi, una mano sul petto per accentuare la scenetta. Dovette sollevare lo sguardo ed il viso, considerata la loro massiccia differenza d'altezza, per puntare gli occhi in quelli di lui, il volto una maschera granitica di risoluta freddezza. «Violi il coprifuoco, Cousland?» Ma Lyall Carrow aveva sempre avuto l'insolito potere di infastidirla, ad un livello viscerale maggiore di qualsiasi altra conoscenza dotata di tale enorme virtù. Si era sempre sentita in allerta, in sua presenza, sin da quando erano bambini, costretti a fare amicizia e passare eventi di quella loro casta sotto lo sguardo vigile delle rispettive famiglie. Se per Scylla - la gemella del bruno - provava un'inclinazione tendente alla simpatia, per quel rampollo dal sorriso sornione non poteva dirsi lo stesso. « Sei sempre così dannatamente simpatico, Carrow. » replicò, caustica, il sorriso più artificioso e tirato del proprio immenso repertorio. Carrow. Sempre e solo per cognome. Non lo chiamava mai Lyall, né tantomeno Alphonse. Non erano mai stati in un grado di confidenza tale, da permetterle di superare quello step. E poi creava un dissidio ancora maggiore, rivolgerglisi così distaccatamente. «Dovrei proprio farti sottrarre qualche punto dalle autorità scolastiche.» Non si sforzò neppure di trattenersi: sollevò lo sguardo verso il soffitto e scosse il viso da una parte all'altra. Indicò quindi la propria spilla da Caposcuola sul petto, appuntata sulla camicetta della divisa Corvonero. « Mh, mh. In effetti sarebbe divertente, essere per una volta quella ribelle della famiglia. Magari però già che ci siamo spieghiamo al Preside anche cosa ci facevi tu, qui, al settimo piano in piena notte? » Fronteggiandolo, non solo verbalmente, compì un ulteriore accenno verso di lui. In quanto Superior, Lyall era ovviamente esente dalle regole sul coprifuoco, ma ciò non lo rendeva intoccabile se fosse stato affaccendato in questioni sospette. Era ormai risaputo, fra le mura di Hogwarts, che qualcuno si divertisse a spacciare un qualche genere di sostanza. E c'era anche chi faceva di peggio, pur non essendo stati ancora beccati. Quindi cos'è che ci facevi qui, anziché startene nella tua bella Torre Superior? Non fu complicato, capire il motivo della presenza del bruno proprio su quel livello del Castello: dietro di lui, scorse la porta inconfondibile dalla quale era appena fuoriuscito. « La Stanza della Necessità, quindi. » Inarcò un sopracciglio ramato ed incrociò le braccia sotto il seno, giungendo alla conclusione con un cipiglio incuriosito ad ammorbidirle i lineamenti. Non appena schiuse le labbra, per continuare a pungolarlo, qualcos'altro attirò la sua attenzione. Vennero interrotti da delle risatine smorzate e dei mormorii divertiti, provenienti dall'altro lato del corridoio, la porta della stanza a scomparire proprio nello stesso istante in cui su udì uno scalpitio di più persone sul pavimento. Non aspettò una qualsiasi reazione del Superior, lo smarcò e supererò per svoltare l'angolo e capire cosa stessero combinando tutti quegli studenti lassù. Un qualche festino? Era assai probabile. Ma perché mai un Superior che può uscire come gli pare e piace, dovrebbe ingabbiarsi là dentro? Non corse certo dietro a quelle presenze, Maeve, ma accelerò il passo quantomeno per scorgere qualcuno e capire se ci fosse qualche Elementary... troppo tardi, perché arrivata di fianco alla nuova porta di servizio della stanza, erano già corsi tutti giù dalle scale. La Caposcuola inclinò il viso, ed emise una sorta di sospiro mentre si rivoltava verso Lyall dietro di sé. « Sai che ho da tempo, il sospetto sicuramente fondato, che avvenga qualcosa di veramente proibito qui dentro? » Sperando che, lo scenario all'interno non fosse ancora cambiato vista la presenza di uno dei "banditi" in prossimità dell'accesso, la rossa allora allungò rapidamente la mano verso la maniglia e la ruotò.
    « Di cosa hai così tanta necessità, Carrow? » Con una vena di sarcasmo controllato nella voce, spalancò infine la porta. E, contro ogni aspettativa, si trovò di fronte ad un semplice vano, neppure troppo ampio, con varia attrezzatura disposta ordinatamente lungo tutto il perimetro del quadrato. Soltanto qualche lampada accesa, collocata qui e lì sulle varie superfici, le permise di mettere a fuoco i primi dettagli. Gli occhi della giovane guizzarono da una parte all'altra della strana stanza, l’aria perplessa e confusa di chi non avesse la benché minima idea del tipo di posto nel quale fosse capitata. Ci si addentrò comunque, compiendo qualche passo verso il tavolino più vicino, lanciando un'occhiata oltre la spalla per capire se Lyall la stesse seguendo o avesse deciso di svignarsela insieme ai suoi compari. « In genere la Stanza appare a chi ne ha davvero bisogno e crea ciò che si cerca. Questo scenario è piuttosto... singolare. » Avanzò di altri piccoli passetti con ancora più curiosità, le dita a sfiorare il legno del tavolino man mano che lo sguardo smeraldino scorgeva particolari di quell'ambiente dalla luce soffusa. Sul ripiano alla sua destra scorse una serie di lavelli, con una tinozza nella quale erano disposte delle vaschette colme di un qualche liquido sconosciuto. Sul lato opposto, degli strumenti piuttosto ingombranti dall'aspetto minaccioso. Sembravano una sottospecie di pressa, ma non era certa si trattasse di un aggeggio del genere. È un laboratorio di... qualcosa? Furono alcune macchine fotografiche affisse dalla tracolla su una rella ed altre su dei cavalletti, ad aiutarla a capire. E dei fili penzolanti in aria, con delle mollettine puntate su. Scorse infine un grosso interruttore su una parete. Ci si avvicinò per spingerlo, forse aspettandosi che le luci sul soffitto potessero rendere il tutto più luminoso, ma nell'attimo successivo al clic la camera piombò in un'intensa atmosfera ancora più cupa. Tutto si fece rosso. Strizzò gli occhi, Maeve, tentando di abituarsi a quel cambio inaspettato di bagliore. Soltanto allora, facendo appello a quello che conosceva dalla "tecnologia" babbana, iniziò a formulare un'ipotesi. Ne aveva sentito parlare, di una stanza usata per lo sviluppo dei rullini fotografici. Com'è che la chiamano? Camera obscura? Non poteva trattarsi, di una necessità creata ad hoc per lei dalla Stanza. Anche perché, se avesse dato ascolto a me, avrebbe tirato fuori una bella piscina nella quale affogarti anche soltanto per quel sorrisetto sfacciato che hai sempre in mia presenza. E con quel pensiero, rispinse il pulsantino per smorzare la luce scarlatta, venendo al contempo abbagliata da un flash che avrebbe costretto entrambi a strizzare gli occhi. In quella frazione di tempo, qualcosa cambiò nel piccolo vano: si espanse in misura e oltre alla camera oscura, in posizione speculare, apparve una sottospecie di piccola piscina al coperto. Fu come ritrovarsi, a conti fatti, su un allestimento di un set fotografico sotto un cielo incantato. C'erano davvero poche cose, capaci di provocare nella Corvonero una reazione di stupore. Non riuscì a controllarlo, il guizzo delle labbra che finirono distese in un sorriso, accompagnato da una lieve risatina armoniosa a fuoriuscirle dal petto. Era come se, in qualche assurda maniera, la Stanza delle Necessità stesse giocando in contemporanea con loro. Era magica, d'altronde, sotto l'influsso di chissà quale genere di potente incantesimo trasfigurante. « Conosci quest'attrezzatura? » chiese dunque al bruno, spogliandosi per la prima volta in assoluto in sua presenza, della maschera di indifferenza e serietà riservata a chiunque. Quasi fosse un indumento troppo stretto, fingere al momento d'essere Maeve Cousland, si avvicinò ad una delle scrivanie e prese fra le mani uno degli strumenti fotografici. Lyall era stato ingaggiato più volte, per fare da fotografo agli eventi della Cousland Express. Era dovuto a lui, quello scenario? « Come si usa questo, ad esempio? » Ricercandone le iridi scure, quasi fosse una bambina desiderosa di scoprire un qualcosa a lei estraneo, gli porse l'obiettivo di una Reflex con su stampata la dicitura "27mm". Era una Corvonero, dopotutto. Erano famosi per la loro naturale predisposizione a voler conoscere ogni cosa. Non era soltanto l'apprendimento e la saggezza, tuttavia, ad aver da sempre appassionato la rossa. Tutto ciò che apparteneva ai Babbani le era sempre stato negato; di conseguenza, ciò l'aveva spinta da piccola all'assurda mania di rubacchiare e collezionare oggettistica appartenente proprio ai non-magici - ovviamente prima d'essere scoperta dai suoi familiari. Il falò che suo nonno aveva fatto con tutte le reliquie, era ancora ben impresso nella sua mente. Si era salvato un solo e singolo libro, dalla furia di quell'Incedio, ma non voleva pensare a quello. Incrociato lo sguardo del mago, si soffermò per un attimo di troppo nella profondità di quegli occhi castani, nella particolarità dei suoi lineamenti ed il profilo del suo naso. Era decisamente cresciuto, rispetto al rampolletto marmocchio che ricordava. Poi, come se qualcuno avesse premuto un interruttore dentro di lei, l’espressione della strega si chiuse e ritornò più controllata. « Oh, no. Lasciami indovinare: la tua necessità è scattare qualche foto a qualcuno in acqua, come se fosse una sirena? » Sarebbe stato in ogni caso un attimo destinato a durare troppo poco, perché dopo quel breve cedimento, Maeve si smosse dalla postazione come se volesse andare via, rivolgendoglisi di nuovo sarcastica. « Stai pur certo che non accadrà, Carrow. Avrai sicuramente altri soggetti più cedevoli ai quali chiedere. » Si strinse nelle spalle e, dopo una piccola pausa in cui tentò di superarlo, gli diede un piccolo colpetto della mancina sulla parte alta dalla schiena come gesto di "commiato", affinché la lasciasse passare in direzione della porta. Lyall invece reagì in maniera strana, sotto quel suo semplice gesto, e ad un'attenta creatura com'era la Cousland non poté sfuggire. Corrugò la fronte, osservandolo con molta più attenzione. « Tutto okay? » Fu attraversata da uno strano brivido, non capendo neppure lei se dietro quella domanda ci fosse ancora della neutra curiosità od era solo frutto di un'apprensione della quale non era neppure consapevole di possedere per terzi.
     
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    Se ne stava lì, con espressione indolente e un sorriso sornione, ad ammirare la figura della Caposcuola dai capelli di fuoco e lo sguardo lancinante che, tuttavia, sapeva celare tra le screziature cangianti di quel verde smeraldo un animo che agli occhi di Lyall era tutt'altro che chiaro e definito. Erano cresciuti insieme, lui e Maeve, tanto da potersi dire in grado di conservare memoria degli anni trascorsi e condivisi, ma che la Cousland gli apparisse prevedibile o scontata, questo il ragazzo non avrebbe potuto dirlo.
    Non si conoscevano davvero, non erano entrati in confidenza più di quanto non facessero due estranei né avevano oltrepassato la soglia dei rispettivi mondi.
    Che Abraxis vedesse in quella ragazza l'occasione di redenzione per una famiglia che aveva commesso l'abominio di seguire il Signore Oscuro di un tempo in un'impresa suicida era risaputo, d'altro canto non era l'unico a voler tentare l'impresa. Maeve Cousland era l'ereditiera più facoltosa e ambita della comunità magica britannica e tanto bastava a renderla attraente agli occhi di chiunque, persino di coloro che avrebbero preferito virare lo sguardo su altre. Era una fortuna per Abraxis, dunque, che Lyall non avesse punti fissi nella propria vita, sebbene ciò non sarebbe bastato a liberarsi dell'influenza del nonno.
    Non nutriva per Maeve quel sentimento che molti si auguravano nascesse in un'unione destinata a perdurare nel tempo, pur sapendo quanto raro fosse che ciò avvenisse nel loro mondo: un fiore appassito o mai nato, quello che aleggiava su alleanze intente a riformare l'aristocrazia di un tempo. Non la odiava, Lyall, non avrebbe mai potuto farlo, in fondo non la conosceva abbastanza. Non la considerava piacevole, simpatica né di compagnia, limitandosi invece a quanto di più oggettivo vi fosse: era bella, di quella bellezza in grado di mozzare il fiato - e persino lui, con tutta la determinazione che poteva investire nell'evitarlo, si soffermava più tempo di quanto non desiderasse su quel viso - intelligente e talentuosa, ma non avrebbe potuto dire di più. Non avrebbe mai ammesso quanto quella chioma rossa avesse abitato i suoi sogni né per quanto tempo, dando vita a pensieri lascivi, ché il solo riconoscere un'invadenza tale da parte della Cousland in un mondo che avrebbe dovuto appartenere unicamente a lui le avrebbe concesso un potere che Lyall non era disposto ad concederle.
    Non sapeva, il giovane Carrow, che vi fosse un altro motivo a far sì che la presenza della strega lo influenzasse tanto da impedirgli di togliersela dalla testa nei minuti successivi, nelle ore successive. Quella scintilla che divampava in sua vicinanza e la necessità impellente che lo spingeva ad avvicinarsi, a sfiorarla, a respirarne il profumo. Un'ossessione, la sua, che sfiorava i limiti del patologico.
    Aveva deciso di ignorare quell'inspiegabile spinta, l'aveva soffocata per anni, ma più il tempo passava, meno diventava probabile la sua riuscita in un'impresa ormai titanica.
    La osservava con circospezione, il taglio delle labbra con l'apparente intento di esprimere leggerezza, un divertimento che via via sarebbe andato scemando. «Vero? Ho sempre pensato di avere un simile potere su di te.» Dubitava che qualcuno l'avesse mai spaventata, non con quell'aria di spavalderia che sembrava avvolgerla in una coltre di arroganza e presunzione. Sarebbe bastato andare oltre quel sottile velo che la rendeva irraggiungibile, per accorgersi di una realtà ben differente da quella che la strega si impegnava tanto a concedere a chi osava porre lo sguardo su di lei.
    Infilò le mani nelle tasche e spostò il peso sulla gamba sinistra, la spalla a poggiarsi contro il muro e il capo che si inclinava appena lateralmente. «Sei tante cose, Cousland, ma non certo ribelle Affermò, studiandola con falso interesse. Mantenevano una distanza di sicurezza, quella manciata di centimetri che garantivano a ciascuno di loro di poter respirare la propria aria senza la prepotente invadenza di quella altrui. Eppure, si diceva Lyall nel tentare di ignorarlo, il suo profumo non faceva che sfiorarla, quell'aria che non poteva più vantare una qualche forma di esclusiva su di lui. L'immagine di una Maeve Cousland ribelle, rivoltosa contro una famiglia che - immaginava come la sua - pretendeva da lei l'impossibile, che la obbligava a percorrere passi impressi da altri, gli attraversò la mente per un fugace istante, sufficiente tuttavia a lasciare che un guizzo di curiosa aspettativa ne illuminasse lo sguardo. «Un vero peccato.»
    Che non lo fosse.
    O forse si trattava di una fortuna: in quel momento Lyall Carrow si domandò come l'avrebbe guardata in vesti di colei che non rispecchiava affatto le apparenze della diligente Caposcuola, lasciandosi invece andare a ciò che la vita le offriva e di cui lei, come conseguenza inevitabile del proprio sangue, non poteva godere.
    La vide avvicinarsi, si sentì domandare cosa ci facesse in quel corridoio, cosa desiderasse e lo sguardo di Lyall si fece più intenso, il sorriso più affilato. «Cos'è, adesso soffrire di insonnia è un crimine?» Quella vicinanza sembrò solleticargli la pelle, i peli del braccio si rizzarono e le narici fremettero. Furono le voci degli altri membri della Belladonna a distrarla dall'intento di cavargli le informazioni di cui disponeva sulla serata appena trascorsa e, quando la Corvonero lo superò per controllare di chi si trattasse, lui rimase esattamente dov'era, limitandosi a voltarsi verso di lei e ad attendere di vederla tornare indietro. Si era domandato spesso se anche Maeve, un giorno o l'altro, si sarebbe unita al gruppo di élite, ma, fino ad allora, avrebbe dovuto mantenere il segreto. Soprattutto con lei.
    A quel punto avrebbe smesso di porre tutte quelle domande, la rossa, un'abitudine che tuttavia Lyall si augurò potesse far virare su altro. Cosa stavano combinando? Cosa stava accadendo di tanto illegale tra le mura di Hogwarts?
    Sorrise di nuovo. «Se anche fosse, dovrai essere molto brava a scoprirlo da sola.»
    La vide poggiare la mano sulla maniglia che prese forma davanti ai loro occhi, la mente vagò su ciò di cui lui necessitava, quello di cui aveva sempre avuto bisogno e, quando Maeve spalancò la porta, scoprì che quel qualcosa - la libertà - aveva preso la forma di ciò che più lo avvicinava a sperimentare sulla propria pelle una simile sensazione.
    Di cosa aveva bisogno, Lyall? La risposta era scritta tra le foto appese ai sottili fili sospesi sopra le loro teste, increspava quell'acqua che rifletteva il cremisi delle tenui illuminazioni e velava gli obiettivi in attesa di poter immortalare momenti che avrebbero dovuto essere indimenticabili. La seguì all'interno della Camera Oscura, un luogo così familiare e intimo, quasi privato per lui, che percepì un brivido percorrergli la schiena.
    Maeve avrebbe dovuto interpretare, ma aveva comunque ottenuto una risposta.
    Lyall virò lo sguardo su di lei, ricercandone il volto fin quasi a volerne cogliere anche la minima reazione. «E tu?» Di cosa necessitava? E con quale fine?
    Domande, le sue, che suppose non avrebbero mai ricevuto risposta. In fondo era quello il bello tra loro: l'incertezza, l'inaspettato.
    La vide aggirarsi tra i tavoli, notò come persino le luci vermiglie non reggessero il confronto con il fuoco dei suoi capelli e, poggiandosi contro lo stipite della porta che si chiuse alle spalle e incrociando le braccia al petto, inarcò un sopracciglio facendo calare le iridi sull'obiettivo che lei gli porse.
    «Vagamente, sì.» Sapeva usarlo in realtà, e anche molto bene. Quello che l'altra le aveva offerto era uno dei suoi preferiti, e in risposta sciolse l'intrico delle braccia e si avviò verso il tavolo, lì dove afferrò la macchina fotografica assemblandola. Se la portò al viso, controllò con i propri occhi ciò che la stessa avrebbe immortalato e, avvicinandosi alla ragazza, gliela porse. Fu un peccato che quel lieve filo di contatto venisse adombrato dalla comparsa di una piscina solcato da uno sfondo stellato, quel soffitto che intaccava il cremisi del laboratorio con il cobalto del cielo notturno.
    Le rivolse uno sguardo accigliato e schioccò la lingua tra i denti. «Non provarci, la piscina è tua.» Non aveva alcuna intenzione di fotografarla né ne aveva nel farlo invitandola a immergersi oltre la superficie dell'acqua. Certo non se ne sarebbe lamentato, ma non era stato quello il suo primo pensiero. Roteò gli occhi lasciandola andar via, facendosi da parte quel tanto che bastò all'altra per superarlo, tuttavia non abbastanza da evitare quel rapido, innocente contatto. Una lieve carica elettrica partì dal punto in cui Maeve lo aveva toccato, diradandosi in tutto il resto del corpo e costringendolo a voltarsi verso di lei, a ricercarne lo sguardo. Non vi avrebbe posto particolare importanza né vi avrebbe riflettuto più del dovuto, se non avesse intravisto negli occhi di lei il medesimo turbamento.
    «Sì, credo di sì.» Trattenne il fiato per qualche attimo, prima di lasciarlo andare in uno sbuffo e passarsi la mano libera sul volto, stropicciandosi gli occhi. Quando tornò a guardarla, Lyall le fece cenno di restare, allungando il braccio tanto quanto bastava per impedirle di uscire da quella porta. «Non avevo quelle intenzioni e, per dimostrartelo, ti lascio in ostaggio questa meraviglia.» Le concesse un sorriso incerto, ancora profondamente scosso da quanto appena accaduto. Le porse la macchina fotografica e, con un chiaro intento, le offrì il coltello dalla parte del manico. «Posso insegnarti a usarla, se vuoi.» E, se l'altra avesse accettato la sua offerta, si sarebbe preso il proprio tempo per portarsi alle sue spalle, sollevare l'oggetto e tentare di non inalare quel dannato profumo.
    «Dammi le mani.» Aveva bisogno di sentirla ancora, quella scossa anomala, e nel mentre si ritrovò a domandarsi da quanto non si toccassero o se addirittura lo avessero mai fatto.
     
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    Da quanto tempo, lei e Lyall Carrow si conoscevano? Non ne aveva idea, Maeve. Non ricordava, in quel momento, l'istante preciso in cui aveva visto il giovane Purosangue per la prima volta. Le sembrava di averlo sempre avuto attorno, una presenza fissa di sfondo, per lo scarto minimo d'età che li aveva visti crescere di pari passo. D'altronde, membri di famiglie rinomate come le loro, avevano vissuto quasi la stessa vita. Abituati a frequentare gli stessi posti, le medesime feste e gli eventi dove, in un modo o nell'altro, si erano ritrovati ad interagire e far amicizia. Con una ragazza come la Cousland tuttavia, restia a regalare il proprio tempo e difficile a scendere in confidenze perfino da bambina, era assai complicato definire l'entità di un rapporto. O quantomeno carpire, dai suoi atteggiamenti e modi di fare distaccati, quanto e come le si potesse essere entrati nelle grazie. Non aveva mai compreso in prima persona, lei stessa, il motivo per cui il moro si divertisse a stuzzicarla ed istigarla, quando aveva palesato sin da piccola il suo scarso interesse. Rispondergli caustica e sarcastica, con quel solito sguardo impenetrabile, avrebbe dovuto essere un monito per il Carrow. In genere funzionava. In pochi, si erano avventurati nella difficoltosa missione di avvicinarla. Sarebbe stato autolesionista, dopotutto. Non era mai andata bene, con nessuno. Pretendenti rifiutati. Letterine arse sotto l'eco di un Incendio non verbale. Occhiate gelide e tempestose che, negli anni, le avevano fatto guadagnare lo pseudonimo di 'storm witch' fra le mura del Castello. Eppure, per chi la conosceva oltre quella facciata di austera rigidità, le cose erano del tutto differenti. In pochi, avevano il privilegio d'aver intravisto altri suoi lati. Inimmaginabili. E di certo Lyall non rientrava in quella stretta cerchia, soltanto perché Abraxis Carrow fosse stato tanto abile da addestrarlo e spingerlo verso uno dei gioielli della stagione - così come, suo fratello Caél la definiva. Perché era quello il motivo per in quale se lo ritrovava spesso e volentieri attorno, no? Non aveva trovato altra giustificazione, la rossa, se non quella e l'aggiuntiva indole naturale del moro di irretirla con la propria irritante presenza. Probabilmente avvertiva, quanto fosse infastidita da quel suo sorrisetto sornione e le battutine che le indirizzava. E più Maeve gli avrebbe dato peso, assecondandolo in quei botta e risposta perentori, maggiormente avrebbe protratto la diatriba senza fine che li vedeva invischiati praticamente da sempre. Era però un qualcosa che esulava dal suo controllo, cedere a quelle provocazioni. Non ricordava neppure quale fosse stato il primo dei loro battibecchi - ma non che la cosa avrebbe aiutato, per migliore la situazione del bruno. «Vero? Ho sempre pensato di avere un simile potere su di te.» Trattenne uno sbuffo, la Caposcuola, dopo esserselo ritrovato in quel corridoio. L'ombra del sospetto ancora ad adombrarle il volto. « Sì, ripetitelo ancora all'infinito, e forse potrebbe avverarsi nelle tue più fervide fantasie. » replicò continuando a non smuoversi da quella sua posizione, gli occhi smeraldini inseriti in una coriacea maschera d'indifferenza, puntati in quelli dell'ex concasato. «Sei tante cose, Cousland, ma non certo ribelle Inarcò un sopracciglio in risposta e un angolo delle labbra le si sollevò in un sorrisetto affilato. « E tu che ne sai? Non mi conosci. » Era vero, in fondo. Cosa e quanto conosceva, Lyall, di lei? La facciata pubblica, la Corvonero dalla media impeccabile e la fedina scolastica invidiabile; la giovane donna di buona famiglia e di nobili origini, impegnata in chissà quante attività in campo sociale e d'attivismo. Ma oltre quello, a volte neppure Maeve stessa ricordava cosa ci fosse - davvero - celato dalla superficie abbagliante del suo essere. La bambina traumatizzata, vittima di una famiglia abusiva? Un uccellino in gabbia, troppo a lungo soffocato dalle lucenti sbarre dorate? Non era, in ogni caso, il contesto nel quale soffermarsi a pensarci. Non in presenza di un Carrow che continuava a sfidarla per farle scoprire la verità sul motivo della sua presenza al settimo piano di quella specifica ala. Non credette minimamente, alla storiella sull'insonnia, intenzionata ad estorcergli le informazioni con la forza... se non fossero stati interrotti dagli altri studenti oltre il corridoio. Le sfuggirono per un soffio, ma in quel frangente la sua attenzione era ormai catalizzata su un singolo elemento per scoprire cosa stessero combinando. Ed allora era stato piuttosto rapido, il passaggio nella Stanza delle Necessità. Anche se, perfino una volta addentratasi nella camera generata magicamente seguendo chissà quali desideri, la rossa continuò a non capire. Cos'è che ci fai qui dentro, Lyall?
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    «E tu?» E lei? Cosa desiderava lei? Di cosa aveva così tanta necessità, da richiederla ad una stanza incantata per far sì d'avverare ogni fantasia? « Io ho già tutto, Carrow. » Mentì, spudoratamente, stringendosi nelle spalle e continuando ad avanzare fra quei tavoli e l'attrezzatura sconosciuta. Mentì con una facilità estrema, la voce a tornarle priva di inflessioni quasi non stesse nuovamente provando nulla. Un fondo di verità c'era, fra quelle parole: neppure la Stanza delle Necessità poteva darle ciò che ricercava, quello stato di libertà ed autonomia al quale anelava sin da quando ne aveva memoria. Nonostante ciò ci provò, ad esaudire un suo malsano pensiero, generando una piscina sotto il cielo stellato. Più romantico di quanto avessi immaginato, non credi? «Non provarci, la piscina è tua.» Si limitò a ridacchiare, scuotendo il viso, non avvalorando né contraddicendo l'ipotesi del bruno. Scoprire che l'attività illecita nel quale era coinvolto, si riducesse probabilmente soltanto ad uno studio fotografico altamente accessoriato, aveva posto una fine a quel loro tempo speso insieme. , trovava il tutto piuttosto strano, considerata la totale libertà di entrata ed uscita dal Castello conferita al giovane, in quanto Superior; ma non era vietato utilizzare quella stanza, finché si fosse trattato di nulla di compromettente o pericoloso. Ma è davvero in questo modo, che la stavi usando anche prima? Vuoi dirmi che con tutti i soldi dei Carrow, non sei riuscito a comprarti un piccolo ufficio giù ad Hogsmeade? Delle curiosità che la Cousland non avrebbe messo a tacere quella notte, perché non sarebbe stato assolutamente da lei, palesargli quell'interesse di capirlo e scoprirlo in delle sfaccettature così intime. Lei in primis, era l'esempio lampante di quanto apparenza e sostanza non corressero di certo di pari passo. I Carrow potevano non essere cambiati affatto; Abraxis, su tutti, non appariva poi così diverso da Coriolanus o suo padre. Tentò quindi di ritornare sui suoi passi ed abbandonare la camera oscura, per tornare alla ronda notturna, se soltanto Lyall non l'avesse destabilizzata. Il lieve sussultò che lo colpì sotto quel suo innocente ed inavvertito contatto le si ripercosse fin su lungo tutto il braccio, facendole avvertire quella scossa quasi come se fosse propria. Sotto l'effetto di quel tremito, Maeve ritirò le dita e sentì i polpastrelli formicolare, tornando a lasciar penzolare le braccia lungo i fianchi per stemperare la strana reazione. «Sì, credo di sì.» E allora perché stai trattenendo il fiato? Fissandogli il volto illuminato dallo spettrale bagliore della stanza, la rossa non riuscì a decifrare lo sguardo che aleggiava negli occhi del Superior. Per la seconda volta, in quella serata, fu colta dall'istinto di chiedergli ancora qualcosa; di indagare maggiormente e capirlo, quantomeno per mettere a tacere la vocina della coscienza, che le ripeteva di non scappare e lasciarlo lì da solo. In fondo non era ancora giunta ad una confessione. Non aveva scoperto, cosa ci facessero lassù lui ed altri ragazzi. È solo per questo, giusto, Maevey? «Non avevo quelle intenzioni e, per dimostrartelo, ti lascio in ostaggio questa meraviglia. Posso insegnarti a usarla, se vuoi.» Fu Lyall stesso, a darle un pretesto per non uscire di lì, uscendosene con una proposta che di primo impatto lasciò la Cousland... perplessa. Aggrottò la fronte, osservandolo armeggiare con quella macchina fotografica da lui stesso assemblata, inclinando leggermente il viso quasi a volergli entrare - tramite il contatto visivo - maggiormente nella testolina dalla chioma ribelle. Sapeva di avere il potere di farlo. A meno che il bruno non fosse stato un Occlumante, sarebbe stato semplice esplorargli la mente, carpire la sua vera natura e prendersi delle risposte ad un'infinità di interrogativi che lo riguardavano. Non lo capiva, Maeve. Non che fosse brava a mettersi nei panni altrui ed empatizzare col prossimo, ma con Lyall era sempre stato piuttosto complicato, andare oltre le rispostine create ad hoc per stuzzicarla e le occhaitine indolenti. Forse perché, in un certo qual senso, era più simile a lei di quanto credesse. Cosa vuoi da me, Lyall? La tua serata era così noiosa, da avere addirittura necessità della mia compagnia? Non è sempre stato paparino, a costringerti a passare quei pomeriggi con me? «Dammi le mani.» Se lo ritrovò dietro di sé, mentre lei ancora taceva, lasciandolo fare. Per un infinitesimale istante lo assecondò. Non si ritrasse, dalla posizione ricercata dal ragazzo: voltando appena il viso oltre la spalla, lo scrutò da sotto le ciglia mentre le si posizionava vicino in modo da poterla aiutare ad utilizzare la Reflex. Erano mai stati così vicini? Probabilmente sì, di certo da bambini; o costretti negli eventi pubblici, fra balli da sala od altri contatti consentiti dell'etichetta. Da adulti - o quasi - la sensazione non poté che essere differente, quantomeno per lei. Lyall la sovrastava, con la sua stazza... Ed il suo profumo, arrivato a distanza ormai così ravvicinata a solleticarle la narici, non era fastidioso. Anzi. Sollevò ancora di più lo sguardo, reclinando un po' il volto per guardarlo dal basso, giungendo a sfiorargli il petto con la testa. Poteva quasi sentirlo, il cuore del bruno battere dietro di sé. Le iridi smeraldine vagarono soltanto per pochi secondi, sulla durezza di quei lineamenti e poi - come se non fosse stata lì a scrutarlo incuriosita - tornò con l'attenzione sull'oggetto del mistero. Non sapeva davvero, come funzionasse una macchina fotografica babbana. « Non basta puntare e scattare, come con gli smartphone? » chiese sottovoce, calandosi nuovamente in quell'assetto più infantile ed innocente, una bambina alla scoperta di un mondo del quale conosceva poco o niente. Non fosse stato per le lezioni di Babbanologia, avrebbe saputo ancor meno, sulla controparte del mondo non-magico. Le sollevò dunque, le mani, seguendo la richiesta del Carrow che avrebbe assecondato nelle spiegazioni e passaggi da rispettare. « È questo che fai qui, quindi? Insegni a fotografare a qualcuno? » Mormorò ancora, improvvisamente non riuscendo a starsene zitta ad ascoltare semplicemente lui. Strinse appena gli occhi e, rivoltando leggermente il capo all'indietro, andò allo ricerca dello sguardo dell'altro. « O sono così speciale, da essere la tua prima ed unica? » Maeve esalò il fiato, nel pronunciare quella domanda con una traccia evidente d'ironia, la voce a calarle in un sussurro e un piccolo sorriso a distenderle le labbra. Un breve, ennesimo istante in cui abbassò momentaneamente le sue coriacee difese, ma l'istante dopo tornò a trincerarsi dietro un'occhiata più distaccata. « Perché adesso sei gentile con me, Lyall? » Lyall. Non Carrow. Un atto di gentilezza, ricambiato con un altro. Sospettosa di natura, ed abituata a convivere con la torbidezza della natura umana, era pressoché impossibile per lei fidarsi di qualcuno soltanto per il semplice desiderio di volerlo fare. Andava conquistata, la sua fiducia e confidenza. E quello, era un altro di quei percorsi ad ostacoli 'made in Maeve Cousland', nel quale chiunque era caduto prima di Lyall Carrow.
     
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    Non ricordava da quanto tempo conoscesse Maeve Cousland, e di certo non aveva memoria dell'idea che si era fatto di lei quando i suoi occhi si erano rispecchiati nei suoi tanti anni prima. Erano solo dei bambini ai tempi e certamente avevano giocato insieme, per quanto sia consono "giocare" nel loro ambiente, indifferentemente dall'età. Un'infanzia triste la sua, in tal senso - e a dire il vero in molti altri - di cui Maeve aveva condiviso con ogni probabilità persino il più misero e singolo dettaglio. Erano cresciuti nello stesso mondo, lui e la rossa, con le medesime regole, eppure il punto d'incontro che probabilmente avevano scovato era da allora rimasto celato sotto l'opprimente peso dell'orgoglio macerato negli anni.
    Nonostante caratterialmente facessero fatica ad allinearsi, lì dove Maeve era scontrosa e arcigna, Lyall si lasciava trasportare dal sarcasmo e dall'ironia, due atteggiamenti agli antipodi che generavano indignazione nella ragazza e spudorato divertimento nel ragazzo. Che per quest'ultimo stuzzicarla fosse diventata ormai una priorità, nonché consuetudine, era cosa nota a chiunque li avesse visti interagire.
    Il motivo per cui le gravitava intorno aveva ben poco a che fare con la pretesa di suo nonno affinché Lyall riuscisse a sposarla. Non nutriva alcun interesse, l'anziano e austero mago, per la felicità di uno dei suoi innumerevoli nipoti, né rispetto per quello che lui e Maeve avrebbero potuto provare l'uno per l'altra nell'ipotetico futuro a lui gradito. Per quanto attraente e accattivante fosse la ragazza che aveva di fronte, il giovane Carrow avrebbe evitato a qualunque costo quel futuro a entrambi loro. Ciò tuttavia non gli impediva di parlarle, cercarla con lo sguardo nelle occasioni più disparate, ammiccarle quando la incontrava nei corridoi.
    Quando asserì di avere un certo effetto su di lei, la rossa gli rispose per le rime. «Sì, ripetitelo ancora all'infinito, e forse potrebbe avverarsi nelle tue più fervide fantasie.» Sorrise, il ragazzo, pensando che l'altra fosse capace di fare meglio di così.
    «Continua a mentire a te stessa, Cousland. Prima o poi cederai.» Le rivolse un occhiolino prima di poggiare una spalla contro il muro e incrociare le braccia al petto. «Sai, non è che dobbiamo per forza sposarci. Esistono una marea di altri modi per trascorrere del tempo insieme.» La malizia di cui intrise il proprio sguardo sarebbe stata evidente a chiunque, e Maeve non avrebbe fatto eccezione: lo conosceva troppo bene sotto alcuni aspetti, in particolar modo quelli che Lyall aveva affinato in sua presenza.
    Tuttavia, la rossa non aveva tutti i torti su di lui: era masochista, di tanto in tanto, mosso dalla spasmodica necessità di alimentare il brivido d'avventura che raramente animava la sua esistenza. Sgranò appena le palpebre su occhi che si illuminarono di una forma di competizione anomala, mai sperimentata con lei, se non un paio di volte e con toni tutt'altro che verosimili. «Dovresti proprio uscire con me, una volta o due.» Strinse le labbra, che si tesero, un sorriso aleggiava su di loro adombrando le remore che solitamente si faceva nei confronti delle ragazze che frequentava di tanto in tanto. Che Maeve rifiutasse sarebbe stato l'esito di una scommessa vinta a priori, tuttavia quel giorno decise di voler rischiare.
    Di fronte all'evidenza che si conoscessero poco e niente, però, dovette darle ragione: non sapeva nulla di lei, Lyall, per quanto si atteggiasse a poter dimostrare il contrario. Lo sapeva lui, lo sapeva lei, eppure c'erano tratti di quella ragazza che il giovane sapeva di essere riuscito a cogliere senza alcun margine di errore. Sbuffò, dunque, smuovendo col fiato i riccioli ribelli che gli solleticavano la fronte. «Parli seriamente?» Domandò quasi oltraggiato dal dubbio che la ragazza tentò di insinuare fra loro. «Cos'è, hai indossato un maglione al contrario o rubato un paio di biscotti dalle cucine?» La prese in giro bonariamente il Carrow, conscio di essere andato un tantino oltre, nonostante il sorriso che esibiva di fronte ai suoi occhi. «Ti conosco abbastanza da essere certo che tu non abbia il coraggio di fare certe cose.» Voleva metterla alla prova. Sperava di far emergere quella vena battagliera che sapeva esistesse da qualche parte, sotto quella coltre di diligenza e perfezione che la agghindava a brava ragazza. Purtroppo quelle tattiche non avevano granché fortuna con la Cousland, motivo per cui Lyall sospirò teatralmente, fino a staccarsi dalla parete e avvicinarsi alla rossa con le mani in tasca. Sembrava che quel giorno fosse impossibile svagarsi un po', persino prendendo in giro lei.
    Tra le voci in corridoio e la porta della Stanza delle Necessità che apparve come trascinata dalle esigenze di uno di loro - o di entrambi - la diatriba fra i due andò scemando e, una volta oltrepassata la soglia di uno dei pochi posti in cui poteva realmente respirare, si chiuse la porta alle spalle. Le lampade che emettevano quella fioca luce purpurea li accolsero in una dimensione che il suo cuore riconobbe come familiare, lasciando che si domandasse quali fossero le sue apparenze agli occhi di chi non aveva conosciuto altro che il meglio della comunità magica.
    Non si era reso conto di trattenere il respiro fino a quando Maeve non gli domandò cosa desiderasse e lui, rispondendo a una domanda con un'altra, le aveva rivolto la medesima curiosità. La sua risposta lo fece naturalmente sorridere. «Io ho già tutto, Carrow.» Lo sguardo di lei si accese di determinazione, quasi volesse dimostrargli di essere dannatamente seria, ma Lyall colse quelle parole con espressione beffarda e la superò, indirizzandosi verso una realtà che era in grado di illuderlo con false aspettative e incredibile dolcezza. «Solitamente chi risponde così non ha proprio un bel niente.» Si incamminò verso un tavolo da lavoro e, dopo aver fatto scorrere il proprio sguardo su di esso, vi si poggiò con il fianco e infilò le mani in tasca. «Credimi, so di cosa parlo.»
    Non vi era alcun bisogno di precisazioni di sorta: Maeve avrebbe potuto immaginare con estrema facilità quale fosse il significato nascosto - neppure troppo - tra quelle parole.
    Una teoria, la sua, che si concretizzò nelle acque profonde di una piscina intinta nelle stelle, specchio di una coltre notturna puntellata di diamanti.
    Si limitò a ridacchiare di fronte al tentativo dell'altra di attribuirgli pensieri che non gli appartenevano. Andando per esclusione, si disse, non poteva che essere un'esigenza della strega, qualcosa che gli fece inarcare un sopracciglio e gonfiare il petto di una sensazione di pieno compiacimento.
    Quando Maeve decise di andarsene, Lyall percepì dell'amarezza in sé, quasi come se fosse ancora troppo presto per terminare la partita. Non aveva idea di che ore si fossero fatte e smise di pensarci prima ancora di darle una scusa per rimanere, fosse stato anche mentirle nuovamente sulla ragione che lo aveva spinto a restare tanto a lungo fuori dal proprio dormitorio. Quel contatto con la ragazza, però, fu come la scintilla che gli servì ad accendere una fiamma sopita che di tanto in tanto veniva alimentata dall'inspiegabile. E quella notte, quel qualcosa di inspiegabile si annidava tra le dita di quella ragazza.
    Aveva trattenuto il respiro, l'aveva guardata con un'intensità tale da rimanere invischiato in quegli occhi di smeraldo in grado di riflettere i raggi di luce cremisi, prima di trovare la forza per parlare di nuovo. Se avesse saputo cosa vagava per la mente di quella ragazza, probabilmente avrebbe dovuto trovare un paio di scuse per giustificare pensieri ben poco coerenti con quanto palesato fino a quell'istante.
    Si portò alle sue spalle proponendole di assecondarlo, e sorprendentemente così lei fece. Immaginava fosse bramosa di conoscenza, la Corvonero, tuttavia non credeva si sarebbe fatta guidare da lui. Così, posizionandosi alle sue spalle e sollevando entrambe le braccia oltre il suo corpo, Lyall si ritrovò a racchiuderla in una morsa tutt'altro che serrata. Era più alto di Maeve di almeno una spanna, e quando la vide volgere il capo e sollevare lo sguardo su di sé, fece finta di nulla, sistemando la macchina fotografica affinché fosse pronta per essere utilizzata da lei. I suoi capelli gli solleticavano il mento e il profumo, ormai noto, gli risvegliò i sensi, tuttavia non vi fu alcun cenno da parte sua, se non un'impercettibile sbalzo nel battito cardiaco. Decise che si fosse trattato di quell'anomala scarica che avevano entrambi percepito un attimo prima.
    «Non basta puntare e scattare, come con gli smartphone?» La sua voce lo riportò al presente, a quell'attimo in cui le mani di lei trovarono le sue e lui, attento a quel che le stava facendo saggiare con parsimonia, rideva sommessamente scuotendo il capo. «No, decisamente non è come gli smartphone.» Le posizionò le dita lì dove dovevano sfiorare la Reflex, calando appena il capo fin quasi a sfiorarle la spalla con il mento per raggiungere la sua altezza. «Se provi ad avvicinarti, a guardare il mondo dalla sua prospettiva» indicò, con uno sguardo che lei non poteva cogliere, la macchina fotografica «ti accorgerai che non esiste nient'altro. Sarete solo tu e lei: niente social, niente apparenze, neppure suoni, colori o persone che ti girano intorno. Solo tu e il mondo per com'è, quello che stai immortalando per sempre.» Un concetto difficile da spiegare a parole, ma sufficiente a lasciarle intuire quanto profonda e intima fosse la sua passione per quella sfumatura di vita.
    «È questo che fai qui, quindi? Insegni a fotografare a qualcuno?» Non si era accorto di aver abbassato tanto il tono della voce da iniziare a sussurrare, trovandosi in perfetto accordo con il mormorio di Maeve e riscontrando nel proprio sguardo quello di lei. «O sono così speciale, da essere la tua prima ed unica?» Si morse la lingua e scosse la testa. «Di certo non sei la prima a cui ho fatto usare una Reflex» ammise, raddrizzando di poco la schiena «sull'unica...» Si strinse nelle spalle e non distolse lo sguardo da lei. Mai.
    C'era da ragionarci, in effetti: aveva mostrato come scattare una foto a tante, troppe ragazze, ché quell'arte era parte del suo fascino. Tuttavia nessuna aveva avuto accesso alla camera oscura che celava nel proprio appartamento a Hogsmeade. E per quanto quella fosse una replica inesatta, Maeve Cousland era stata l'unica a cui era stato concesso di entrarvi, di scorgere una parte di lui, forse la più intima. Una curiosa piega degli eventi, pensò, mentre un invisibile filo conduttore legava la sua anima a quella della Caposcuola, concedendogli una scarica talmente piacevole da farlo rabbrividire. Non aveva idea di quello che stava succedendo, ma decise che non gliene importava.
    «Perché adesso sei gentile con me, Lyall?» Si riscosse da quella sensazione e le palpebre si abbassarono per un momento su occhi che non avrebbero avuto nel proprio sguardo una valida risposta a quella domanda, così fu la bocca a dar voce all'unica plausibile. «Sono spesso gentile con te, Maeve Enfatizzò il suo nome come aveva fatto lei, ma era certo che quella non fosse stata la prima volta che le sue labbra lo avevano sfiorato.
    Raddrizzò la schiena in modo da sollevarsi e ristabilire l'usuale distanza fisica tra loro, prima di incoraggiarla con un cenno del capo a scattare una foto. «Su, prova. Scegli un soggetto e clicca qui.»Dopo averle mostrato il pulsante, Lyall dovette infilarsi le mani in tasca per far tacere il formicolio che lo aveva colto impreparato ancora una volta, mordendosi il labbro inferiore per costringersi a tacere.
    Un tentativo, il suo, che ebbe breve durata. «Dunque...» Domandò cercando inutilmente di trattenere un sorriso divertito mentre lasciava che la parete sorreggesse il peso della schiena e della nuca. Il tutto guardandola in tralice. «Esci con me?»
    L'inaspettato.
     
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