Kryptonite's games

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    Annabelle CarrowMADRE È L'ALTRO NOME DI DIO SULLE LABBRA E SUI CUORI DI TUTTI I NOSTRI FIGLI.

    Era stato uno sguardo fugace, un incrocio di attenzioni, l'immobile sovrapporsi di due orbite astrali che mai avrebbero dovuto coesistere tra pareti tanto compromesse. Annabelle aveva appena ridisegnato le labbra col nudo del rossetto, proprio dopo aver rivestito invece la nudità del corpo col composto tailleur blu notte: una concatenazione di gesti abituali, quella, che non le permise di vagliare l'artiglieria con sufficiente margine d'anticipo, quando a ridosso dell'ingresso di casa del suo fidato Rotas si imbatté nel figurino smarrito ed etereo di Merope Carrow, unico elemento della famiglia che mai una sola volta prima d'allora Belle aveva creduto di poter reputare pericoloso; da altri aveva diffidato e con alcuni aveva simulato affabilità, ma la più piccola della generazione non era mai arrivata a sfiorare neppure accidentalmente i confini più esterni della sua allerta.
    Fino a quel momento, almeno.

    Erano trascorsi appena due giorni e due notti dal fatale incontro, quando Annabelle si materializzò all'ingresso della tenuta Carrow lasciando il tempo a guardiani e servitù di accorgersi di lei. Impeccabile nella cappa in velluto nero che sposava alla perfezione quella primavera in ritardo, nascondeva la parte alta del volto sotto a un cappellino a cloche che sposava il soprabito nel colore e nel tessuto. Respirava, Annabelle, eppure si percepiva in apnea da ormai più di quarantotto ore. Alle sue spalle, fidate ancelle ben note nella società borghese, le due elfe domestiche si impegnavano a sincronizzare i passi per non perdere il sostegno dell'ingombrante oggetto che sostenevano insieme, forse più pesante persino di entrambi i loro corpicini tarati insieme, ma dal valore inestimabile per la padrona che aveva commissionato loro il suo trasporto. Accolte tutte e tre da chi incaricato di farlo, Annabelle avrebbe cortesemente espresso il volere di essere accolta in giardino, un qualche ritaglio di verde che garantisse - oltre all'aria pulita della vegetazione - anche la privacy necessaria a discorrere di argomenti più spinosi dei rovi circostanti. Avrebbe a quel punto sopportato la sorpresa negli occhi dei propri interlocutori, quando domandò della più piccola di casa anziché dei più anziani, forte delle informazioni raccolte in merito al momentaneo allontanamento dal nido dei due coniugi senior.
    «Merope, tesoro, ti ho disturbata?» Sfilando i bottoni che fermavano il colletto del mantello, non avrebbe risparmiato il più raggiante dei sorrisi alla più giovane, quando finalmente fosse giunta al suo cospetto. Lasciando allora ricadere il drappo damascato tra le braccia di Ava, si sarebbe avvicinata alla giovane cognata per affiancarla a vantaggio di una visuale adesso condivisa, la silhouette svelata di un trespolo lucidato in legno scuro. «Ho saputo che ami la pittura, tra le altre cose, e pensavo che questo cavalletto in rovere potesse essere più utile a te che a me.» Lo indicò con un gesto distratto della mano destra, lasciandole eventualmente tempo e spazio per avvicinarlo e osservarlo, oppure semplicemente ignorarlo. Sarebbe andata bene in ogni caso, non era certo per un cavalletto che Annabelle Hallmoon si era scomodata dalla propria reggia. «È stato rinvenuto nel primo laboratorio di Renoir, una sorta di capanno in mezzo alla laguna. Ci sono le sue iniziali sull'asta centrale.» Persino un'informazione tanto preziosa, credibile già solo perché proferita da chi disdegnava ogni falso, venne snocciolata con la noncuranza di una mente troppo distratta da pensieri più impellenti.
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    Qualunque sarebbe stata la reazione della minore dei Carrow, Annabelle avrebbe ammorbidito la voce in uno sbuffo docile, l'accenno di una risata di cortesia e non più divertita di quanto fosse consono, anticipazione dello sguardo che planò a rivolgersi alla schiera di domestici posti a sorveglianza della giovane. Guardie, presumibilmente, chissà poi perché. «Avrei bisogno di qualche minuto di riservatezza con la Signorina Carrow.» Gentile, accennò addirittura una riverenza col capo per mostrarsi ben disposta, aggiungendo una specifica talmente avventata da somigliare alla passeggiata sul bordo di un precipizio. «Mi è stato accordato da sua madre: dovremmo scomodarla per averne garanzia?» Mentiva, Annabelle, consapevole come un kamikaze, ma così convinta di quanto detto da persuadere i limitrofi a desistere da ogni insistenza; scomodare la Signora per una possibile inadempienza era, d'altronde, un'eventualità tutt'altro che auspicabile a qualunque servitore degno di tale nome.
    L'esitazione generale sospese l'atmosfera per attimi interminabili, il silenzio riempì orecchie e anime per una parentesi dilatata all'infinito, prima che la servile accettazione dei sorveglianti cedesse a quanto richiesto, pochi inchini sbrigativi a congedare i presenti nel sospiro esalato dalla Hallmoon in un soffio sommesso. «Molto gentili.» E lei era salva, per adesso.
    Riuscita a conquistare la solitudine condivisa unicamente con la sorella di Efrem, Annabelle si trovò a riconoscere che persino l'ambiente circostante parve farsi più respirabile; aiutata allora dal cavalletto che le mani di Renoir dovevano aver accarezzato in un tempo ormai tramontato, lasciò abbassare gli occhi sulle rifiniture del legno al solo scopo di tenersi impegnata in un prologo che si sarebbe presto fatto impegnativo, forse problematico. «Mio fratello dipingeva, era l'artista della famiglia. Ha provato così tante volte a trasmettermi la sua passione...» Mosse la mano destra assorta in una trance riflessiva, ma non arrivò mai a sfiorare il rovere, dal quale si allontanò lasciando semplicemente ricadere il braccio lungo il fianco. «...Niente da fare, ho sempre preferito leggi e numeri all'estro creativo.» Inclinazione che l'aveva portata al successo, certo, ma anche a perdersi tra braccia fedifraghe in grado di colmare tutte le altre mancanze.
    Fu su quelle che si concentrò il pensiero, finalmente, sulle braccia dalle quali il corpo si era lasciato riscaldare fino a pochi attimi prima che gli occhi di Merope la inchiodassero solo guardandola alla croce della colpa. Con gli occhi ancora pieni di quei ricordi, allora, soffiò poche sillabe così essenziali da affettare l'aria come il sibilo di una spada: «Hai mai notato la meraviglia degli affreschi in casa di Horace?»

     
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