Vent'anni

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    Caposcuola
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    Jun-Hyeok Juno BaekMa c'ho solo vent'anni, e già chiedo perdono per gli sbagli che ho commesso

    SCHEDA | superior | caposcuola | 22 Y.O. | SERPEVERDE | DISTURBO BORDERLINE | ♑︎/♈︎/♍︎

    Non era mai stato troppo tipo da sontuose colazioni fuori, Juni, un po' perchè la mattina era già tanto se riusciva a carburare senza ruzzolarsi giù dalle scale del castello, un po' perchè lì in Inghilterra, la tipologia tipica del primo pasto della giornata, beh.. Era assai differente da quella coreana.
    « Per me uova fritte con bacon, grazie! » « E per me toast imburrati con salsicce! »
    Un sopracciglio s'inarcò sul faccino pallido ed assonnato del Caposcuola. Si trovava in uno dei localini che costeggiavano le stradine di Hogsmeade, in compagnia dei suoi soliti compari: gli ex compagni di Casa, nonchè attuali componenti della squadra di Quidditch verde-argento. In un modo o nell'altro, ormai l'aveva capito -Juno- non se ne sarebbe mai liberato.
    « Che c'è, Baek? » « Uova e pancetta fritta alle sette di mattina? A pranzo cosa mangerete, topi morti? » « Ah-ah. Guarda che me la sono cercata sul web, la tua fantomatica colazione cinese. » « Coreana. » « Coreana. » « Non è la stessa cosa? » « No. » « No.. » « Vabeh comunque. » Coventry respirò a fondo, come faceva spesso quando cercava di mostrarsi informato ed intelligente. Ovviamente, inutile a dirsi, con più che scarsi risultati. Fu per questo motivo che, nonostante il ragazzo avesse già schiuso la bocca come per parlare, i due altri lo ignorarono.
    « A che ora vi siete accordati per l'allenamento di oggi? » « Cinque di pomeriggio. » « Bene, cercherò di esserci. » « Ehi! Io stavo parlando con voi! » « Ecco le vostre ordinazioni, ragazzi. Per te, Juni, il solito caffè lungo? » L'ex Serpeverde annuì. « Grazie. » E la giovane cameriera, che si chiamava Meredith Turner e frequentava il primo anno Superior ad Hogwarts, con un sorriso si allontanò. « Juni? La conosci? » « Welà, Baek, un'altra delle tue conquiste? » « In effetti ha delle gran belle tette, sempre pensato. Le sa usare bene? Se capisci cosa intendo. » « Ma vi drogate? L'ho solo aiutata con alcune materie in arretrato. » « Ah adesso si dice così? » « Quindi ti scoperesti anche me, se ti chiedessi aiuto con delle materie arretrate? » Juno respirò a fondo, socchiudendo gli occhi e reprimendo l'istinto di sbattere i due compagni testa con testa. Poteva andar peggio di così?
    « Bastardi. Vi avevo detto di aspettarmi e siete comunque usciti senza di me! » ...La risposta, all'arrivo del terzo acquisto sulla scena, sarebbe stata: sì. Poteva decisamente andar peggio di così. Octavia gli si sedette praticamente di sopra, strofinandogli ben bene il sedere sul cavallo dei pantaloni. Juno sospirò. « Allora, di che parlavate? Delle conquiste di Baek? Mh mh mh. In effetti, hai la bacchetta in tasca, o sei solo contento di vedermi? » Coventry e Foster risero, Octavia gli diede un bacino sulla guancia, Juno decise che li avrebbe affogati nel sonno tutti quanti. Ed avrebbe anche fatto per dire qualcosa, se non fosse stato per un improvviso vocio alle loro spalle.
    « Signorina, davvero, mi dispiace. Non è nulla di personale.. » Era il proprietario del localino, a parlare con una ragazza girata dal lato opposto. « Ma sapete, ci sono mamme con bambini.. - E sono un po' preoccupate, mh, riguardo la presenza di..Insomma, una come voi. » Buona parte della clientela, era voltata verso la sconosciuta in questione.
    « Una lupa mannara, forse? - O una fata. » « Che palle. Ormai sono ovunque, 'sti orecchie a punta di merda. Non ci bastavano i mezzosangue ed i nati babbani. Ehi! » Octavia alzò un braccio, per attirare l'attenzione. Come suo solito. « Io non ci mangio nello stesso posto di una come loro. Faccia qualcosa! E tu, stronza - Sì proprio tu. Non avete i vostri covi in mezzo alle foreste, per fare colazione? » « Octavia, andiamo, non ti immischiar-.. » Ma fu nell'adocchiare il voltarsi della giovane, che gli occhi del giovane Baek si spalancarono. Capelli rossi. Un'inconfondibile cicatrice sul viso a sporcarne la pelle altresì diafana. Sguardo nocciola. « Nour.. » Sbiascicò, tra sè e sè. Quegli occhi li conosceva fin troppo bene. E quel volto, assieme a quei capelli, li aveva accarezzati così tante volte...Seppur il ricordo di quell'unica e fatidica volta in cui aveva al contrario tirato e colpito, riuscisse ad annullarle tutte. D'istinto si alzò, senza nemmeno curarsi del fatto che, nell'impeto con cui lo fece, Octavia per poco non volò a terra. Del suo hey! infastidito poco gliene sarebbe importato, mentre si precipitava in direzione del tavolo, afferrando la ragazza per un polso e trascinandola sul retro del locale. Del giudizio di, beh, tutti sul suo conto, poco se ne curò, mentre la sua mente vagava nel delirio più totale che, qualsiasi cosa la riguardasse, gli causava da un po' di tempo a questa parte.
    « Si può sapere che diavolo ci fai qui? »
    La sua voce era confusa. Il respiro affannoso. Il cuore impazzito. E fu in quella follia che nemmeno se ne rese conto, della velocità con cui si spinse in avanti. Era la prima volta che la vedeva. La prima volta che la sentiva. Dopo secoli, dopo quello che era successo, dopo che nessuna sua altra notizia gli fosse trapelata. In ospedale, le volte in cui era andato a trovarla, i Signori Vanserra gli avevan impedito anche solo di arrivarsi, alla porta della sua stanza. E lui non aveva opposto resistenza, perchè in fondo non avrebbe potuto dar loro torto. Così come non avrebbe dato torto adesso a lei, se lo avesse spinto via, preso a pugni, bruciato vivo o chissà cos'altro, in quell'abbraccio in cui l'avrebbe presto stretta. Così poco da lui. Così sciocco. Così avventato. Così pericoloso.
     
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    Nour VanserraWhat matters more is how well you walk through the fire

    Inferno
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    Alphea
    Erano giorni che la pregava, giorni che tentava inutilmente di convincerla ad accompagnarla in quel di Hogsmeade che, dopo la conoscenza di Caleb, aveva assunto tutto un altro fascino: perché mai avrebbe dovuto limitarsi al solo mondo fatato? Perché mai avrebbe dovuto temere anche le terre dei maghi, come se la sola Corte della Notte non bastasse?
    In quei giorni si sentiva instabile, una pericolosa scintilla che, con un nonnulla, rischiava di tramutarsi nel più temibile degli incendi. Rabbiosa e per nulla incline a restare incatenata ai limiti imposti dalla famiglia - e dalla comunità fatata - Nour aveva dato prova di sé appena pochi giorni prima, quando con innegabile ingenuità si era diretta in completa solitudine in quel di Diagon Alley. Era stata insultata, minacciata e tacciata di essersi palesata in una zona evidentemente riservata ai soli maghi. Aveva svelato immediatamente la propria identità e non aveva neppure tentato di trattenersi o, fatto il danno, almeno di porvi rimedio. Si era semplicemente lasciata trascinare dagli eventi, e Caleb - Cal - era stato particolarmente incline a scivolare con lei nella follia di quell'impresa.
    «Non sono convinta sia una buona idea, Nour.»
    Ci pensava spesso, Nour, a quel pomeriggio, e in particolar modo a quel ragazzo. Si era ritrovata più di una volta a sorprendere la propria mente sul momento in cui il biondo aveva urlato contro quelle persone, all'occhiata che aveva scagliato contro la donna che aveva osato insultarla e a tanti altri momenti che avevano colorato una giornata altrimenti tinta di cenere. Quelle considerazioni la imbarazzavano oltre il limite consentito e che non avrebbe mai ammesso. In fondo la possibilità di rivederlo era decisamente ridotta, checché ne dicessero i più progressisti, e ricordare non era un crimine.
    «Ho imparato di recente che difficilmente la gente ha qualcosa da dire ad alta voce, e se anche fosse dovremmo imparare a fregarcene.» Rivolse un mezzo sorriso all'amica, la quale esprimeva senza mezzi termini il timore di trovarsi in mezzo a tutta quella gente. Il caschetto di capelli corvini riusciva a nascondere perfettamente le sue orecchie e, sebbene facesse attenzione a non svelarne la punta, sembrava terribilmente a disagio. «E poi non ero mai sta a Hogsmeade e vorrei tanto visitare la Stamberga.»
    Nour era allegra, vivace, ritrovando tuttavia nella reticenza dell'amica un riflesso di quel che aveva in parte palesato lei appena pochi giorni prima. Quasi saltellò fino a raggiungere uno dei locali a ridosso della strada principale del villaggio magico che sorgeva nei pressi della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Un castello, quello, che aveva imparato a conoscere piuttosto bene dai racconti di una persona a cui aveva smesso di pensare ormai da un po'.
    «Ma non è vietato l'ingresso?» Le domandò Selene guardandosi intorno e avvicinandosi a lei di riflesso. «E allora?» Nour afferrò la sua mano stringendola in dita sottili e calde, intenta a concederle quanto meno di smettere di tremare.
    Non era la prima volta che Nour violava le regole, eppure in qualunque altra occasione Selene avrebbe saputo come reagire di conseguenza, ché il più delle volte il tutto avveniva nella comunità che le aveva accudite e accettate fin dalla nascita.
    Presero posto a un tavolino poco distante dall'ingresso del locale, la mora si sedette rigida sulla sedia che occupò, mentre Nour le rivolse un sorriso. Sentì alcuni ragazzi ridacchiare non troppo distanti da dove si trovavano loro, ma non vi fece particolarmente caso: l'ultima volta aveva rischiato di dar fuoco ad alcuni studenti e preferiva non aizzare inutili liti. Dubitava, in effetti, che spuntasse un altro Caleb per sedare la situazione.
    Si morse l'interno guancia quasi come per costringersi a smettere di pensarci e, in un gesto totalmente inconscio, raccolse una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
    Non avrebbe dovuto farlo, avrebbe pensato Selene. Forse, col senno di poi, persino lei stessa se ne sarebbe pentita, ma in quell'istante quel semplice gesto la costrinse a concentrarsi sulla catena degli eventi che ne seguirono.
    «Nour...» Lo sguardo sgranato della Fata dell'Aria puntò il volto del proprietario del locale che, con aria contrita e a tratti infastidita, si avvicinò a loro. Le aveva sentite quelle parole, Nour, così come aveva colto il chiacchiericcio delle streghe e gli sguardi supponenti che venivano loro rivolti. «Sta' calma. Ci penso io.»
    Sentì il corpo surriscaldarsi, le mani fremere e i lineamenti del volto irrigidirsi.
    Doveva mantenere la calma.
    «Raggiungi gli altri.»
    Selene per un momento sembrò titubare. Poi, a seguito di un'occhiata perentoria della Fata del Fuoco, ripercorse reticente la strada che avevano intrapreso insieme.
    «Oh, sono così mortificata.» Rilassò appena il volto, alzandosi dalla sedia e volgendo il corpo verso il mago. Fece in modo che la propria voce potesse essere sentita da tutti i presenti e, rivolgendogli un sorriso, continuò. «Dica loro che solitamente li uccido, i bambini, prima di mangiarli. Non soffriranno poi troppo.»
    Il sorriso divenne ancor più teso di fronte alla reazione dell'uomo e ai sospiri allarmati delle donne, ma lei non riusciva a pensare ad altro che ad attirare tutta l'attenzione su di sé. Era bastato mostrare per brevi attimi le proprie orecchie, quelle punte che facevano tanto la differenza, per mettere in pericolo Selene. Doveva quanto meno permetterle di allontanarsi senza ripercussioni.
    Fu la voce di una ragazza che la distrasse da ciò che fu sul punto di fare, ovvero dar fuoco a qualcosa di poco conto per dimostrare quanto poco convenisse far arrabbiare una Fata - un tovagliolo, un ciuffo d'erba - e lo sguardo di Nour virò sulla figura volgare di colei da cui provenivano gli insulti, non potendo non domandarsi come mai il suo strusciarsi sul un ragazzo non turbasse tanto quelle mamme con i bambini.
    «Cos'è che hai de-» Fu sul punto di accanirsi su di lei riducendo le distanze, le mani che sfrigolavano raggiungendo temperature che andavano oltre la norma, quando nel volto dell'altra riconobbe qualcuno che aveva già intravisto nei pressi di casa. «Ehi, tu non sei quella che Drake si fa quando si annoia?» Inarcò un sopracciglio e, nel constatare quanto fino ad allora solo supposto, ridacchiò. «Te l'ha mai detto che è un Grisha?» Le mani si spensero e raggiunsero i fianchi, e fu pronta a infierire, quando sentì qualcuno pronunciare il suo nome e, lasciando virare il cremisi delle proprie iridi sul volto del ragazzo a cui non aveva posto attenzione un attimo prima, riconobbe parte del proprio passato.
    «Jun...»
    Si sentì mancare il fiato e una serie di ricordi - alcuni bellissimi, altri terrificanti - la assalirono con violenza, così come fece lui nell'alzarsi dalla propria seduta scaraventando la compagna per afferrarle il braccio e trascinarla via.
    Quello che accadde fu talmente rapido che Nour non riuscì a reagire per tempo. Non fu in grado di liberarsi dalla sua morsa. Riuscì invece a urlare contro di lui. «Lasciami
    Venne trascinata sul retro del locale, il fiato corto dovuto alla tensione del momento e lo sguardo letteralmente infuocato all'indirizzo di quello che era stato il suo primo e unico amore.
    Cosa ci faceva là? Evidentemente a giocare il ruolo della più ingenua vittima di un destino infausto.
    «E tu?» Le sopracciglia pesavano su uno sguardo ricolmo d'ira e risentimento. Le tornarono in mente le sue percosse, il dolore, il cuore infranto e ciò che aveva dovuto subire in ospedale, ciò che aveva - avevano - perso.
    Non lo avrebbe tenuto quel bambino, si ripeteva spesso, ma avrebbe voluto poter scegliere.
    «Bella compagnia che ti sei trovato.» Con un cenno del capo indicò la ragazza di poco prima, incrociando le braccia al petto e mettendo ancor più distanza tra loro. «Una merda ipocrita, un po' come te.»
    Voleva lasciar intendere fosse calma, addirittura rilassata, ma dentro fremeva. La leggerezza di prima era svanita nel nulla.
    Juno fece per avvicinarsi, il tentativo di abbracciarla sulle soglie di uno sguardo che tentava di metterla a fuoco. Solo che lei ci andò letteralmente, in fiamme.
    «Non devi più toccarmi!» Un urlo, il suo che spezzò il silenzio e infranse l'aria pulita che li attorniava con un'improvvisa vampata di fuoco premonitore - di ciò che gli avrebbe fatto se solo avesse compiuto un altro passo verso di lei.

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    Edited by Nour. - 25/4/2024, 10:59
     
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    Jun-Hyeok Juno BaekMa c'ho solo vent'anni, e già chiedo perdono per gli sbagli che ho commesso

    SCHEDA | superior | caposcuola | 22 Y.O. | SERPEVERDE | BORDERLINE | ♑︎/♈︎/♍︎

    Aveva immaginato questo momento un milione di volte, Jun. A lezione, a letto, fuori dal castello, dentro. Quel volto il quale si trovava adesso dinnanzi, che ricambiava il suo sguardo con una vera e propria scintilla la quale -ne era certo, e forse un po' ci sperava- sembrava in procinto di volerlo mandare a fuoco da un momento all'altro, l'ex Serpeverde l'aveva pensato spesso. Troppo, spesso. Suo padre, l'intransigente Signor Baek, era stato lapidario. Lui, Nour, avrebbe dovuto dimenticarla per sempre. La relazione con una Fata, in fondo, scoperta soltanto a seguito del guaio, non era stata vista come cosa buona e giusta dalla sua famiglia. E Juno si chiedeva come i Signori Baek potessero esser stati in grado di metter da parte il vero fulcro della questione che no, non era la forma delle orecchie o il colore degli occhi di Nour, ma il fatto che -diamine- lui l'avesse ridotta in fin di vita. Eppure di questo, tra le invalicabili mura di quei giganti imprenditoriali che eran la signora ed il signor Baek, sembrava -di giorno in giorno, e da allora- vietato farne parola. Jun-Hyeok Baek, il ragazzo d'oro e futuro erede della Baekhyn Magic Group, non poteva avere proprio nulla che non andasse. Nessun tassello di quella sua perfetta figura, sarebbe stato ritenuto fuori posto, e quegli attacchi d'ansia, quella patologia non riconosciuta che l'aveva portato a distruggere l'esistenza di alcune delle persone più importanti della sua vita, aveva fatto ben presto, ad esser messa in secondo piano. E quindi un po' s'era convinto anche lui, in quei mesi, che non ci fosse nulla di sbagliato in quella sua salute psicofisica eppure.. - Eppure ogni volta che anche solo per sbaglio la sua attenzione si trovasse a gravitare su quel nome, su quel tono di voce ormai custodito solo ed esclusivamente tra le sue memorie, eran diversi i battiti che il suo cuore avrebbe perso.
    « E tu? » Tum tum tum. Lo stesso che sarebbe stato anche adesso, in quel suo osservarla con sguardo stralunato ed espressione confusa. Terrorizzata. Nour era lì. Aveva dubitato, negli ultimi tempi - e nei momenti più bui, potesse essere ancora, effettivamente, viva. Ogni contatto con la Fata gli era stato negato, dai suoi familiari, dai Vanserra, da lei stessa. Bloccato ovunque, ogni qualvolta tentasse di riallacciarsi in qualche modo a lei, anche solo ricercandone un qualsivoglia indizio per vie traverse, gli si sarebbe rivelato impossibile riuscirci. Non eran state poche le volte, specie i primi tempi, in cui si era preso la briga di disturbare alcune sue amiche. Ma queste ultime non gli avevan risposto, e quelle rare volte in cui l'avevan fatto, non era stato certo con parole rassicuranti che gli si erano rivolte. E, in fondo, non avrebbe potuto dar loro torto. E quindi in quel baratro d'indifferenza e non detto, Juno ci aveva convissuto per giorni, settimane, mesi. Fin quando la figura della Vanserra non s'era fatta evanescente, in quei suoi pensieri, alla stregua di un'entità a parte - forse un sogno. Ed in effetti l'aveva sognata spesso, specialmente quelle volte in cui era andato a dormire con una silente voragine aperta nel petto. D'altra parte, Nour gli mancava. Certo, mai lo avrebbe ammesso, Juni, ma gli mancava. I suoi sorrisi. Il modo in cui sussurrava il suo nome, sbagliando spesso e volentieri pronuncia. Il calore della sua pelle. Il rosso del suo sguardo e dei suoi capelli.. - Già. Il rosso. Non l'aveva mai denigrata per questo, d'altra parte. A lui, che Nour fosse una Fata, non era mai interessato. Trovava la punta delle sue orecchie carina, così come la sfumatura del suo sguardo.
    « Bella compagnia che ti sei trovato. Una merda ipocrita, un po' come te. » Eppure, ad oggi, in quel cremisi, Juno non avrebbe più trovato nessun focolare a scaldarlo, come un tempo era stato. Il tono di lei era tagliente, così come il fuoco che quasi gli parve scorgere aldilà di quelle iridi scure. Distruttivo, ecco cos'era. Ecco cosa gli sembrò, ed ecco a cosa sarebbe andato in contro, con un'incoscienza che assai poco gli apparteneva, ma che era tipica in verità di quella patologia che tanto tutti si convincevano non avesse, e che invece faceva tristemente -e pericolosamente- parte delle sue giornate. Disturbo Borderline - non diagnosticato. E cioè una grave condizione psicologica caratterizzata dalla costante e continua voglia -nonchè bisogno- di camminare sulle rotaie di un treno in corsa. Di muoversi sul limitare di un profondo e terrificante dirupo.
    « Non devi toccarmi! » O, ancora, di avvicinarsi al più pericoloso degli incendi divampanti. E Juno lo sapeva, lo sapeva bene che ad approssimarsi troppo al fuoco, sarebbe sempre e solo finita male. Eppure parve non curarsene, quando quella fiamma premonitrice esplose tra di loro, nell'intimargli di non muovere un solo -altro- passo in sua direzione. Ma in uno stato d'imprudenza di cui forse, soltanto in un secondo momento, se ne sarebbe reso conto, comunque l'ex Serpeverde avanzò. E se la Fata del Fuoco avesse preso a bruciarlo vivo avrebbe continuato a muovere quei pochi -pochissimi- passi che li separavano, fino a che le sue braccia non si sarebbero chiuse contro le sue spalle, per stringerla a sè in un abbraccio che aveva del folle. Chiudendo gli occhi, e poggiando il capo sull'incavo del collo di lei -che era di diverse spanne più bassa di lui- attese che da un momento all'altro quel fuoco lo bruciasse vivo. Ma non aveva paura. Anzi forse un po' lo desiderava. E di certo lo meritava. Dunque, inspirando a pieni polmoni, le sussurrò all'orecchio.
    « Sei qui.. - sei davvero qui. » Biascicò. « Ti ho cercata per un sacco di tempo. Ho avuto paura.. - » Fossi morta. Ti avessi uccisa. Esitò, e nel mentre la strinse ulteriormente con quelle stesse mani che soltanto poco tempo fa l'avevan ridotta una maschera di lividi e sangue. « - Fossi.. - morta. Invece sei qui, e non mi interessa di esser bruciato vivo. Fallo, se devi, fallo se vuoi. Ma sei qui.. - » Tremava. « E questo è tutto ciò che ha importanza. »
     
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    Non sembrava ascoltarla.
    Lo aveva amato per tante cose, per così tanti aspetti e sfaccettature di una personalità talmente complessa da esserne inevitabilmente attratta, condotta in un baratro di incertezze e sofferenze. Accettare la realtà e la crudeltà degli eventi a cui era andata incontro era stato tremendamente difficile. Aveva tentato di trovare una giustificazione a quanto accaduto, a minimizzare la permanenza in quell'ospedale in cui ben più di una volta le era stato chiesto cosa fosse accaduto... poi, all'improvviso, i Medimaghi avevano smesso di fare domande, e così gli infermieri e tutti coloro che fin dal giorno del suo arrivo erano sembrati intenzionati a cavare fuori dai guai quella ragazzina sofferente, vittima di un individuo talmente violento da aver compromesso una gravidanza agli albori. I calci che le avevano tolto il respiro la privarono del frutto indesiderato di un amore adolescenziale, di quelli che non potevano essere dimenticati neppure volendo, e così sarebbe stato per Nour, ma per motivi ben diversi da quelli che solitamente animavano il cuore di altre ragazze.
    Era stato allora che aveva colto il reale potere della famiglia di lui.
    Quei ricordi vennero spazzati via dal suo profumo, da quelle mani che le avevano percorso ogni lembo di pelle e da quella bocca che le sfiorava il collo e che un tempo l'aveva lambita con fare sapiente. Conosceva ogni sua debolezza, Jun, ché a suo modo l'aveva amata. Ma non qualunque forma d'amore era, in un certo senso, giusta, checché se ne volesse dire.
    Rimase immobile, in una gelida stasi che via via fu destinata a sgocciolare nell'ombra di un'ira che lentamente montava dentro il suo cuore. Le era mancato così tanto da renderla vittima del panico più totale, da toglierle il respiro. E nell'averlo lì, intento ad abbracciarla e a confessare quanto preoccupato fosse stato per lei, Nour scoppiò.
    «Non dire che non ti avevo avvisato.» Reagì alle sue parole, rammentando tutte quelle occasioni in cui aveva desiderato averlo accanto. Non aveva mai pensato che il ragazzo non l'avesse cercata, che non avesse tentato l'impossibile per vederla, ma era parimenti conscia di quanto la sua famiglia avesse avuto un peso sull'accaduto.
    E se in un primo momento li aveva odiati, col trascorrere dei giorni e delle settimane era arrivata alla consapevolezza che forse era stato meglio così.
    E, appunto, esplose.
    Una palla di fuoco scaturì dal suo petto, riversandosi su di lui con una violenza che avrebbe dovuto costringerlo ad arretrare, fino a scagliarlo contro la parete alle sue spalle. Nour avrebbe concesso al proprio sguardo di focalizzarsi sulla sua maglia, sull'ardore con cui il proprio volere avrebbe dovuto renderla cenere, rischiando di ustionarne la pelle.
    «Vedrò di essere più chiara» lo avrebbe avvertito con voce atona e guardandolo con espressione tetra. «Mi hai lasciata a morire su quel marciapiede, gonfia di lividi e ricoperta del mio stesso sangue.» Si sarebbe avvicinata con fare minaccioso. «Non ho mai capito il perché, poi. Ero convinta che lo stronzo fosse tuo padre.»
    Avrebbe sollevato una spalla inclinando il capo verso di essa, le labbra si sarebbero distese in una linea sottile. Ogni suo muscolo avrebbe bruciato dal desiderio di restituirgli la medesima sofferenza a cui era andata incontro lei tempo prima, ma si sarebbe trattenuta.
    Aveva bisogno di esorcizzare tutto ciò che l'altro le aveva fatto.
    Si sarebbe inginocchiata di fronte a lui. «Sarei morta, se qualcuno non mi avesse trovata e portata al San Mungo. Quindi non dobbiamo certo ringraziare te per questa miracolosa piega degli eventi.» Avrebbe poggiato il gomito destro sul ginocchio, le dita intente a formicolare, lambite da scintille implacabili.
    «Ciò che ha importanza è che tu abbia fatto la tua scelta quel giorno.» Avrebbe inarcato un sopracciglio nel constatare di essere cambiata, nel costringersi a ritenere le sue parole bugie o il risultato di una pura follia. «E col senno di poi direi che è stato meglio così.»
    Si sarebbe rimessa in piedi, un'espressione ormai arresa al tentativo di odiarlo che, a dire il vero, stava dando i suoi frutti da un po'. O di questo tentava di convincersi da tempo.
    Gli avrebbe voltato le spalle in una rinuncia in cui avrebbe dovuto imbattersi tempo prima, così ingenua da credere a quel grande amore che l'altro le aveva tanto decantato.
    Illusa.
    Avrebbe soffocato l'impulso di lasciarsi andare alla dolce tentazione di ricadere vittima tra le sue braccia. Piuttosto si sarebbe concessa il lusso di fermarsi, guardarlo ai di là della spalle e dar voce a quella domanda che l'aveva torturata fin troppo a lungo. «Ti è piaciuto?» Avrebbe smesso di respirare. «Picchiarmi.»
    Il mondo si sarebbe fermato, la tensione l'avrebbe resa inerme.
    «E' una domanda a cui non ho mai voluto dare una risposta.» Forse per il dolore che avrebbe dovuto tollerare nel sentirsi rispondere di sì. O forse perché non era mai stata realmente pronta a rinunciare a loro, a quello che avevano vissuto insieme.
    Avrebbe voluto chiedergli anche cosa lo avesse spinto a farlo, ma sarebbe stato come gettare benzina su un fuoco che aveva iniziato ad ardere da ciò che credeva fosse solo cenere.

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